X

Andare a votare è una cosa importante: si stacca con la routine di tutti i giorni, si fanno due passi in centro, si incontrano vecchi amici e ci si tiene in allenamento con le X, cosa che può sempre tornare utile se un domani si dovesse diventare analfabeti. L’unica cosa a cui di sicuro non serve è eleggere. Non voglio fare il solito discorso che i partiti sono tutti uguali eccetera. I partiti non sono tutti uguali: ci sono partiti che si chiamano “partiti”, partiti che si chiamano “popoli” e partiti che si chiamano “movimenti”, non è questo il problema. E non è nemmeno che i politici sono corrotti, che sarà mai un po’ di corruzione? Dicono che il partito meno corrotto d’Italia sia stato quello fascista, ma non per questo mi precipiterei in massa a votarlo. Il problema è solo numerico.
Quante sono le persone che hanno diritto di voto? Cinquanta milioni? Bene, la mia povera piccola crocetta ha l’incidenza di una parte su cinquanta milioni. In pratica è come fermarsi al distributore a fare 10-6 euro di benzina. Senza contare che uno su cinquanta milioni è molto, ma veramente molto meno dell’errore che si commette nel contare le schede, il che significa che magari io faccio la fatica di andare a votare (tutto ciò che non può essere fatto on line per me è  “fare la fatica”) e poi arriva quello che mi annulla la scheda solo perché ho aggiunto alcuni consigli su dove potersela infilare. No grazie. Se proprio devo fare qualcosa di inutile, almeno che sia piacevole. Inutile più spiacevole uguale no grazie.
L’obiezione più comune che mi viene fatta è “e se tutti facessero come te?”. Magari tutti facessero come me: la TV trasmetterebbe solo videoclip del Settecento, i registi italiani andrebbero a lavare i vetri ai semafori e il Papa sarebbe solo un anziano in costume. Il problema, se mai, è proprio che fra quello che faccio io e quello che fanno gli altri quarantanove milioni e novecentonovantanove mila e novecentonovantanove elettori non c’è assolutamente nessun nesso. Sia che io voti sia che non voti, il risultato finale non cambia. Si chiama proprietà del non contare niente. “E la teoria che il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo?”. Certo, peccato che non si dica mai che questa teoria funziona solo con farfalle giganti.
La verità è che il suffragio universale è una fregatura, com’è ampiamente dimostrato dall’esistenza dei sondaggi. Con un sondaggio puoi sapere cosa voteranno cinquanta milioni di persone intervistandone solo mille, e tutto questo senza ricorrere a estenuanti poteri soprannaturali. Infatti, se una frazione f della popolazione vota per un certo partito (UCP), quando si prende un campione di n persone, con n molto minore dell’intera popolazione ma molto maggiore di 1, la probabilità UCP(x) che x persone del campione siano elettori dell’UCP può essere approssimata con una gaussiana avente valore atteso nf e varianza nf(1-f). Supponiamo per esempio che ci siano tre partiti: Partito Uno (PU), Partito Due (PD) e Partito Tre (PT), i cui elettori sono rispettivamente il 10%, il 40% e il 50% della popolazione. Preso un campione di 1000 persone, ecco come sono le gaussiane dei tre partiti


I risultati più probabili del sondaggio sono quelli individuati dai picchi delle tre gaussiane: 100 persone per il PU, 400 per il PD e 500 per il PT, cioè il 10%, il 40% e il 50% del campione. Però questi non sono gli unici risultati possibili, per esempio è possibile che il sondaggio dia invece ai tre partiti il 9%, il 39% e il 52%, rispettivamente. In linea di principio tutti i risultati sono possibili, tuttavia solo quei valori di x per i quali PU(x), PD(x) e PT(x) sono apprezzabilmente maggiori di 0 possono essere considerati realistici, mentre tutti gli altri sono così improbabili da essere praticamente impossibili. Quindi il fatto che le tre gaussiane della figura non si sovrappongano in maniera apprezzabile significa che, in questo caso, è sufficiente intervistare 1000 persone per avere un risultato elettorale attendibile. Infatti gli errori associati ai risultati percentuali (100√varianza/n) sono 0.9% per il PU, 1.5% per il PD e 1.6% per il PT, cioè molto meno della distanza fra i partiti. Ma se c’è bisogno di essere più precisi, si possono anche intervistare 10000 persone:


Tanto le persone da intervistare non mancano mai.
Il fatto che i sondaggi ogni tanto sbaglino non è colpa della teoria statistica, ma del campione. È colpa di quelli che cambiano idea all’ultimo momento, di quelli che mentono o di quelli che si vergognano di dire che votano per il PDQCSV (Partito Di Quelli Che Si Vergognano), ma se il sondaggio fosse segreto e valido come voto allora sarebbe tutta un’altra cosa. Avendo tempo da perdere e soldi da buttare, si potrebbe addirittura far votare un milione di persone e arrivare così ad apprezzare differenze fra i partiti dello 0.05%, così da permettere anche ai Radicali di stimare il loro elettorato. Capisco che possa sembrare poco educato abolire il suffragio universale, però una cosa è certa: far votare tutti non ha nessun senso, o meglio ha lo stesso senso di un rito magico collettivo.
È per questo motivo che la mia fedina elettorale è pulita.

DIO NON È UNO CHE SA STARE ALLO SCHERZO

A ripensarci, le persone più fastidiose del mondo non sono quelle che ho detto l’altra volta, ma i narcisisti. Tutti sono narcisisti, ognuno a modo suo: alcuni tanto, altri di più.
La cosa che rende il narcisismo così fastidioso è che è inconsapevole. Per qualche strano effetto distorcente del cervello umano (secondo me è stato montato al contrario), ognuno si vede molto più affascinante, arguto e sveglio di quello che è e dà per scontato che anche chi vive fuori dalla sua testa lo veda così, invece chi vive fuori dalla sua testa lo vede com’è in realtà e questo crea non pochi problemi nei rapporti sociali, primo fra tutti il fatto che sia considerato offensivo ricordare a una persona la verità, e cioè il suo non essere particolarmente affascinante, arguta o sveglia (nota per gli extraterrestri: sulla Terra la verità si chiama insulto).
Ma purtroppo il narcisismo non è limitato alle manifestazioni individuali. Se così fosse sarebbe tutto sommato sopportabile, anzi in certi casi sarebbe addirittura utile, visto che non c’è persona al mondo più facilmente manovrabile del narcisista.


Allora prendimi latte, uova, patate, anguille, grappa, prezzemolo e otto chili di farina. Mi raccomando, distribuisci la farina in bustine trasparenti da dieci grammi l’una.

Ma --

Se qualcuno ti fa storie sovrastalo con la tua smisurata intelligenza superiore.

Lo farò a polpette.

E non dimenticare il mercurio: sei bottiglie da un litro e mezzo da portare rigorosamente sulla schiena.

Ma --

Intelligenza superiore.

Vado.


Il narcisismo diventa veramente fastidioso quando assume forme collettive, come per esempio le religioni. Contrariamente a quello che si dice, il sentimento che sta alla base della religione non è l’amore per l’umanità, l’amore per la verità o l’amore per le frasi a effetto, ma l’amore per se stessi. Il tacito assunto di ogni religione è sempre e solo uno: “sono talmente affascinante, arguto e sveglio che solo un dio può avermi creato, di certo non una volgare trombata”. Ogni idolatria è in fondo un’egolatria e tutti i preti del mondo non sono altro che delle specie di ventriloqui, gente che si mette sulle ginocchia un pupazzetto di dio e gli fa dire quello che vuole. Mi dai torto? Relativista! Non mi obbedisci? Peccatore! Mi sfotti? Empio! Il sentimento religioso è solo narcisismo messo dietro il paravento della metafisica, in modo che uno possa lasciarsi andare alla più sfrenata autocelebrazione al riparo da occhi indiscreti, compresi i suoi (nota per gli extraterrestri: sulla Terra l’autocelebrazione si chiama “devozione”, l’autostima si chiama “fede” e i gusti personali si chiamano “leggi morali”). Quando un paravento è fatto bene ed è stato intessuto e amorevolmente preparato per millenni, magari con l’aiuto di qualche filosofo specializzato in paraventi, allora un narcisista può veramente realizzare il suo più grande sogno, che non è tanto autocelebrarsi, quanto rompere la testa a chiunque non lo celebri. Perché, dice il narcisista mentre impugna il badile, se non mi celebri non stai mancando di rispetto a me, nel qual caso potrei anche chiudere un occhio, ma stai mancando di rispetto a dio, e dio non è uno che sa stare allo scherzo (nota per gli extraterrestri: in caso di sbarco sulla Terra, meglio non togliersi il casco).

L'APPRENDISTA

ABBOZZO DI DIZIONARIO DELLE PAROLE MOLTO USATE MA DAL SIGNIFICATO POCO NOTO (IN RIGOROSO DISORDINE ALFABETICO)

Ci sono parole che tutti usano ma di cui nessuno conosce il significato. A prima vista potrebbe sembrare assurdo: come si fa a usare una cosa se non si sa a cosa serve? Sarebbe come pulire gli occhiali col prosciutto, fare surf in bicicletta o soffiarsi il naso con le orecchie di Mario, tutte cose assurde non tanto perché calzini, bicicletta e Mario servono ad altro, quanto perché chiunque usasse queste cose per pulire occhiali, fare surf o soffiare nasi si troverebbe a essere ostacolato, anziché agevolato, nel raggiungimento dei suddetti scopi. È assurdo fare una cosa allo scopo di non fare quella cosa. Quindi ci si dovrebbe aspettare che, essendo scopo precipuo delle parole il comunicare, chiunque usasse parole che non conosce, dovrebbe subito smettere di usarle. Ma questo non succede. Anzi succede il contrario: meno è noto il significato di una parola più la si usa, e più la si usa più la parola si diffonde, e più si diffonde meno se ne conosce il significato. Così capita che la gente usi parole senza significato in conversazioni senza senso nelle quali si infervora, litiga e qualche volta si ammazza per motivi a lei del tutto ignoti. Questa è l’assurdità, ma è un’assurdità che sembra tale solo finché ci si ostina a pensare che le parole servano a comunicare. In realtà basta aprire un giornale qualsiasi, affacciarsi in Parlamento o anche solo scambiare due parole col primo che passa per rendersi conto che le parole non servono a comunicare. La comunicazione è al massimo un comodo optional. È come avere un orologio con le lancette d’oro, il bracciale in acciaio satinato e un’impermeabilità garantita fino a milleduecento metri e scoprire che segna pure l’ora. Molto comodo, ma un orologio così non serve a segnare l’ora, serve a decorare il polso. Le parole servono a decorare la bocca.
Qui di seguito riporto le definizioni di alcune delle parole sconosciute attualmente più in voga, senza pretesa di completezza né di originalità, ma con la sola speranza che, diffondendosi il loro significato, se ne perda l’uso.

DIGNITÀ s.f. 1. Tessuto denso e untuoso, dalla consistenza molliccia, accumulato nel corpo degli animali, in particolare dei mammiferi: d. della donna, d. del malato, d. della balena. 2. Più in generale una qualsiasi sostanza oleosa usata per scopi industriali o alimentari: d. lubrificante, d. idrogenata | macchia di d., patacca.

VALORE s.m. Successione ritmica di movimenti del corpo secondo figure più o meno prestabilite, normalmente accompagnata da strumenti musicali quali nacchere, tamburello, ukulele o altri | v. classico, inteso come arte e tramandato di padre in figlio per impressionare la gente poco istruita | v. popolare, che è espressione del folclore di un popolo, p. es. v. del ventre | v. della vita, rituale tipico di molte società primitive, spesso accompagnato da sacrifici umani | v. della famiglia, eseguito collettivamente dai componenti di una famiglia, in casa e al riparo da sguardi indiscreti, se nudi si chiama “incesto”.

DIRITTO s.m. 1. Parole o gesti con cui si intende esprimere affetto o rispetto o semplice cortesia verso qualcuno o qualcosa, in particolare quando lo si incontra o lo si lascia: d. al lavoro, d. allo studio, d. alla salute. 2. (spec. pl.) formula convenzionale di congedo usata soprattutto alla fine di lettere, mail e sim.: distinti d., cordiali d.; porga i miei d. alla signora.

IDEALE s.m. 1. Parte incavata e fonda, generalmente vuota: un i. del terreno. 2. (anat.) Parte cava interna al corpo di un animale o a un suo specifico organo: i. orale, i. pleurico, i. cranico.

SPIRITO (meno com. SPIRTO) s.m. 1. Apertura generalmente circolare posta all’estremità di una tubatura, dalle dimensioni molto inferiori rispetto alla lunghezza della tubatura stessa e adibita alla fuoriuscita o al semplice passaggio di fluidi. 2. (anat.) Apertura che mette in comunicazione uno o più ideali del corpo fra loro o con l’esterno: s. pilorico, s. anale.

ONORE s.m. Formaggio tipico dell’omonima valle svizzera, dal sapore dolce, di colore giallo, senza troppa dignità ma molti ideali.

GIUSTIZIA s.f. Sorta di rete da pesca.

L’elenco sarebbe ancora lungo, ma questo dizionario è solo un abbozzo e tale è destinato a rimanere, almeno fino a quando qualcuno di più diligente non avrà il tempo di completarlo. Io, per quanto riguarda la mia personale ambizione, mi accontento del merito di aver aperto la strada. Per questo mi fermo qui e tanti diritti.

APOFTEGMI

Finalmente anch’io ho il mio tumblr.

MERDA? NO GRAZIE

So che può sembrare incredibile, ma io non mangio la merda, e non perché sia allergico, schizzinoso o per chissà quale principio etico, ma perché non mi piace. Anzi, mi fa proprio schifo. Non è come le altre cose che non mi piacciono, come il sughero, la crema solare o le tapparelle, che se mi sforzo posso anche riuscire a mangiarle. La merda è diversa, basta che ne metta in bocca un pezzettino e subito mi viene da vomitare. Naturalmente l’ho assaggiata, dopotutto sono solo protoni, neutroni e elettroni come tutto il resto, ma non c’è niente da fare: mi fa schifo. Questo di per sé non sarebbe un problema, se non fosse che dove vivo io tutti mangiano la merda. Tutti la considerano una prelibatezza da raffinati gourmet, ma anche un ingrediente fondamentale per dare sapore a ogni piatto, o uno sfizioso spuntino da gustare in ogni momento della giornata, succhiandosi adeguatamente le dita. In pratica sono sempre circondato da gente che mangia la merda. Ma nemmeno questo è il vero problema. Per me ognuno può mangiare quello che vuole, tanto ormai sono abituato a sentire l’odore della merda calda che si scioglie sui maccheroni o a vedere la gente coi frammenti di merda nei baffi. So perfettamente che il sapore di una cosa è solo un fatto culturale e che, in linea di principio, tutto è commestibile: ci sono posti dove la gente mangia le cavallette, le zampe dei ragni, le ali dei pipistrelli, le larve di mosca, le budella di vacca, eccetera, che cosa c’è di strano se qui la gente mangia la merda? Ognuno chiama “buono” quello che è abituato a mangiare e chiama “schifoso” quello che non ha mai pensato si possa mangiare. Quindi la merda va benissimo. L’unico vero problema di vivere in un posto dove tutti mangiano la merda non è che loro mangiano la merda, ma che vogliono che la mangi anch’io. E lo vogliono molto insistentemente. Le persone hanno questo difetto: quando si accorgono che non ti piace una loro presunta leccornia, cercano in tutti i modi di fartela mangiare. Prima ti spiegano che è un alimento sano e nutriente indispensabile per una dieta equilibrata, poi te la sventolano sotto il naso, poi ti accusano di essere schizzinoso, strambo, matto, finché un giorno te la schiaffano direttamente nel piatto, poca poca e di nascosto, pensando che tanto non te ne accorgerai visto che, dio mio, non è possibile che non ti piaccia una cosa così buona come la merda.


Abbiamo il risotto alle quattro merde, gli gnocchetti zafferano e merda, il vitello in crosta di merda e del polistirolo.

Nel polistirolo c’è la merda?

Solo un po’.

Vorrei un po’ di polistirolo senza merda.

Ma, signore, è merda di capra freschissima.

Preferirei senza, è possibile?

Neanche una o due palline per insaporire?

No, grazie.

Per caso è allergico alla merda?

No.

Perfetto, allora un piatto di polistirolo “senza” merda per il signore.


Se vivi nella patria della merda non puoi permetterti di non mangiare la merda, almeno un pochino di tanto in tanto, giusto per far vedere che non ti credi migliore degli altri. Purtroppo tutti si identificano sempre con quello che piace a tutti, e se nella patria della merda disprezzi il loro cibo di merda, allora vuol dire che disprezzi anche le loro abitudini di merda, la loro musica di merda, i loro ideali di merda e, fondamentalmente, la loro vita di merda. Ma io non disprezzo la merda, solo vorrei non mangiarla.

IL CAPOLAVORO

MIRACULUM SIGILLUM MENDACII

Signore?

Che c’è?

Posso disturbarla?

L’hai appena fatto.

C’è uno sulla Terra che chiede il suo aiuto.

“Uno” chi? Uno stambecco? Un salmone? Un rametto di rosmarino?

No, un --

Ma che te l’ho chiesto a fare? Senti, finisco questa cosa e poi mi dici, okay? Forse sono finalmente riuscito a fare un universo senza inutili barioni.

Ma dice che è --

“Urgente”, certo. Mamma mia che creature lagnose! Cosa vuole questo? I soldi per la benzina?

Vorrebbe guarire.

Originale...

È molto malato.

Questi mi hanno preso per un medico. “Dio della mutua” dovevano chiamarmi.

Dice che non vuole morire.

Non vuole cosa?

Morire.

Non capisco.

Nel senso che vorrebbe vivere più a lungo.

Ah, quindi non è dei nostri.

È dei nostri.

No, scusa, allora non ho capito.

Ora le spiego --

Questo è dei nostri.

Sì, Signore.

E non vuole morire?

Proprio così, Signore.

Ma allora non ha capito niente.

Dice che vorrebbe almeno vedere il matrimonio di sua figlia.

Ha una figlia?

Non ancora.

Sai cosa bisognerebbe fare?

Far precedere le preghiere da un test d’ingresso.

Esatto, un piccolo test a crocette sulla comprensione della religione di appartenenza, così almeno si evitano inutili chiamate.

È un suo vecchio progetto, Signore.

Quante volte ho detto a questa gente che c’è la vita eterna?

Non saprei, Signore.

Gliel’ho detto, gliel’ho ridetto, gliel’ho pure scritto in un libro, e adesso questo... questo...

Luigi.

Questo Luigi vorrebbe che io, Dio in persona, esaudissi i suoi futili desideri come un qualsiasi genio della lampada?

Più o meno.

Ora lo sistemo io.

Dice che lei è il suo unico Dio.

Ah, si?

Sì, Signore.

Continua.

Dice che è onnipotente, infallibile, infinitamente buono, Signore del cielo e della terra e fonte di ogni bene.

Nient’altro?

Dice anche di trovarla terribilmente sexy.

Okay, accontentalo.

Sì, Signore.

Ma è l’ultima volta.

Sì, Signore.

Altrimenti poi non sono più credibile.