CERCASI GIANFRANCO DISPERATAMENTE

Ho un’idea, potremmo dire che sei tu Gianfranco.

Ma io sono davvero Gianfranco.

Intendo quel Gianfranco.

Quale? Quello?

Stai indicando un Gianfranco con un cappello di carta che imbianca una parete fischiettando.

Sì.

Io intendevo il Gianfranco che stiamo cercando.

No, non mi sembra una buona idea.

Perché?

Non mi sembra buona.

A me sembra ottima.

Se ne accorgeranno tutti che non sono io.

No.

È troppo rischioso.

Se ci scoprono diremo che è stata un’idea tua.

Mia?

Sì.

Non mi piace.

Diremo che è stata un’idea tua, diremo che hai insistito, che hai tirato in ballo l’amicizia e quelle cose lì.

Noi non siamo amici.

Possiamo diventarlo.

Impossibile, ho un pessimo carattere.

Lo so.

Sono una persona servile, insipida, rancorosa, tramo nell’ombra, sono vendicativo, viscido, vigliacco, ho sempre le mani sudate e l’alito puzzolente, mi lavo una volta alla settimana e godo delle disgrazie altrui.

Fai schifo.

Sono una vera e propria merda.

Pettinami.

Sì, signore.

DOCCE

THE COLLEAGUES - EP. 9


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Musica di Max Jacob.

NOBEL DI CIOCCOLATO

Ammettere di avere torto è uno dei fenomeni più rari dell’universo, ben più raro del decadimento del protone. In base ai miei studi condotti sugli animali, ho scoperto che in media una persona ammette di avere torto una volta ogni 1039 anni, il che significa che al momento nell’universo ci sono circa 10-28 persone che hanno ammesso di avere torto, cioè grosso modo un protone.
Una volta ero lì lì per scoprirne una tutta intera. Sarebbe stata la scoperta del secolo, anche se, devo ammetterlo, una scoperta del tutto casuale visto che io stavo solo cercando le sigarette, che è un po’ la stessa cosa che è successa a Jocelyn Bell quando ha scoperto le pulsar, anche lei stava cercando le sigarette.
Ero per strada in cerca di un tabaccaio, ma purtroppo era domenica sera e la domenica sera, si sa, le città sono vuote e senza vita come un promotore finanziario. Appoggio l’orecchio sul marciapiede, ma niente: nessuna mandria di tabaccai nei paraggi. Questa è una cosa che non ho mai capito: se c’è tutto questo odio per i fumatori, perché non li si lascia fumare come e quando vogliono così muoiono tutti? Nelle città dovrebbe esserci un tabaccaio a ogni angolo, i pacchetti di sigarette dovrebbero regalarteli e si dovrebbe poter fumare anche dentro il casco, invece no, la gente odia i fumatori e, contemporaneamente, fa di tutto per non farli fumare. È una cosa che mi sconcerta. Quando finalmente capirò il funzionamento del cervello umano forse tutto questo mi sembrerà logico e naturale, ma fino a quel momento io rivendico il mio diritto di essere sconcertato. Io sono permanentemente sconcertato, il mio sconcerto non passa né diminuisce, lo porto sempre in faccia come un paio d’occhiali, solo che non me lo posso togliere quando vado a letto. A volte c’è qualcuno che mi si avvicina e mi chiede se per caso mi sento male, no signora, rispondo, sono solo sconcertato.
Mentre penso a tutte queste cose, a poca distanza da me si produce uno stranissimo fenomeno acustico e subito vengo investito dalla seguente bizzarra sequenza di suoni: “ho torto”. Ovviamente il mio corpo cerca di opporre resistenza a una simile assurdità: le mie orecchie si ripiegano su se stesse come due ravioli al vapore e dentro di me parte il conto alla rovescia per l’autodistruzione. Mi scusi, si sente male? Mi chiede una signora. No, rispondo, non vede che sono sconcertato? E le indico la fronte aggrottata.
A quanto pare nessuno sembra essersi accorto di niente. È incredibile come la gente non faccia mai caso a niente, potresti spararla in orbita intorno al Sole a centomila chilometri all’ora e non si accorgerebbe di niente. Mi dirigo piano piano verso una finestra aperta sulla strada, cioè quello che sembrava essere l’epicentro sonoro del fenomeno, e sbircio dentro: non c’è nessuno, a parte un pappagallo in gabbia che fa: «Hooo... TORTO! Hooo... TORTO! Hooo... TORTO!». Persino le bestie ogni tanto lo ammettono.


Ciao, uccello.

COLPA MIA!

Sei solo?

NON SO! SCUSA! SBAGLIO SPESSO!

Per caso hai una sigaretta?

NON SONO ALL’ALTEZZA!


Se questo uccello dice tutte queste cose, probabilmente le ha imparate da qualcuno, uno qualsiasi che magari adesso sarà chissà dove a godersi la propria obiettività. Ovunque sia io lo troverò, mi dico, lotterò con le unghie e coi capezzoli, ma lo troverò!
Salgo in macchina e parto subito a perlustrare sistematicamente tutte le città del mondo: Aabenraa (Danimarca), Aachen (Germania), Aalborg (Danimarca), Aalen (Germania) e così via. Alla fine lo trovo a Zywiec, in Polonia. Si chiama Luigi Sbatacchio e fa il rappresentante porta a porta di vocali. L’età è quella giusta, 1039 anni appena compiuti, e anche la faccia è quella di uno che ogni tanto si rende conto di aver detto qualche stupidaggine: ha il classico segno delle cinque dita sulla fronte. È fatta, come minimo mi daranno il Nobel, e non un Nobel qualsiasi, ma un Nobel di cioccolato con la sorpresa dentro (forse un altro Nobel). Mi avvicino a lui tranquillamente con le mani in tasca, lo saluto con un cenno del naso e, con tutta la gentilezza di cui sono capace, gli dico: hai torto! Che bella sensazione poter finalmente dire che ha torto a uno che ha torto, quasi più bello che avere ragione. Invece lui che fa? Nega. Dice che non ha mai avuto torto, che se fosse successo se ne sarebbe accorto, che non ha mai detto né pensato “ho torto” in tutta la sua vita e che il pappagallo ha solo riportato una frase estrapolata dal contesto. In realtà lui aveva detto “non ho torto”.

TUTTI I TESTIMONI DI GEOVA VENGONO PER NUOCERE

Un sabato mattina vengo svegliato dal campanello. Di solito ignoro il campanello, dopo tanti anni che sto su questo pianeta ho imparato che i campanelli portano solo scocciature: gente che vuole soldi, gente che vuole firme, gente che vuole attenzione, sempre e solo gente che vuole, mai nessuno che suoni per dare. Quella mattina però vado comunque ad aprire, era un campanello molto insistente e non volevo che svegliasse Pierluigi. Chi sia Pierluigi è tutto un altro discorso, e comunque è successo molto tempo fa.
Apro la porta e ci sono due signore dall’aria contrita, vestite come suore che quella mattina non hanno trovato il loro costume da suora, due donne più sbiadite che pallide, coperte da un sottile strato di polvere.


Secondo lei c’è ancora speranza per il mondo?


Me lo chiedono con l’accento deformato da una qualche profonda convinzione e in mano tengono un voluminoso, appariscente e inconfondibile cazzo di gomma. No, scherzo, un vangelo. Un vangelo normale, non di gomma.
Ora, chiunque avrebbe capito di trovarsi davanti a due esemplari di quella commovente associazione di deboli di mente che si fanno chiamare “testimoni di Geova”, chiunque tranne me, ovviamente, perché prima di dare un giudizio bisogna avere tutti gli elementi, sapere i perché e i percome, e non saranno certo quegli sguardi da cane bastonato, quel malloppo di riviste sottobraccio e quel tatuaggio “in Geova we trust” sulla fronte a farmi arrivare precipitosamente alla conclusione che si tratti di testimoni di Geova. Così mi ritrovo sul pianerottolo in pigiama e ciabatte a chiacchierare con due casalinghe svaporate, e coi vicini appiccicati allo spioncino a origliare (lo so perché sentivo il rumore dei pop-corn).


Secondo lei c’è ancora speranza per il mondo?

No.

Come disse Gesù quando fu presso il monte degli Ulivi: “andate nel villaggio di fronte, entrando troverete un puledro legato sul quale nessuno è mai salito, scioglietelo e portatelo qui”.

Un puledro?

Sul quale nessuno è mai salito.

Sentite, non è che state cercando di fare proseliti, vero?

Oh no, noi non beviamo.


Ricapitoliamo: aria da suore, vestiti polverosi, riviste sottobraccio, citazioni del vangelo a caso e ignoranza crassa. Potrebbero sempre essere due conduttori del tg1.


Bisogna ascoltare la parola di Dio.

E se Dio non esistesse?

È scritto nella Bibbia.

Conosco centinaia di libri che dicono il contrario.

La Bibbia è un testo sacro.

Sacro?

È stata scritta da persone ispirate da Dio.

E chi lo dice?

È scritto nella Bibbia.

Si chiama paralogismo.

No, no, si chiama Bibbia.


Aria da suore, riviste religiose, vangelo, ignoranza e uno stronzo di gatto al posto del cervello, okay, il puzzle era completo, ma chi mi assicurava che fossero lì per raggirarmi? Magari volevano offrirsi di farmi la spesa, chi lo sa? La stavano solo prendendo un po’ alla lontana.


Da cui segue che la teoria del big bang è sbagliata, altrimenti avremmo sentito il botto.

E lo spostamento verso il rosso delle galassie?

Avrebbero dovuto gestire meglio i loro bilanci. Comunque, guardi, le lasciamo questo libro dove è spiegato tutto.

"Scienza" si scrive con la i.

Scenzia? Andiamo... spiega anche come i forni a microonde non riscaldino veramente i cibi, ma raffreddino solo l’ambiente circostante.

Beh...

Trenta euro.


Gliene ho dati cinquanta, dopotutto non ci sono elementi per dire che cinquanta sia maggiore di trenta.

INTRODUZIONE A UN USO CONSAPEVOLE E APPROPRIATO DELL’ESPRESSIONE “SCRIVERE BENE” (APPLICAZIONI)

Come detto prima, un libro è “scritto bene” se “dice qualcosa in modo coinvolgente”, cioè se “fa vedere qualcosa nel modo in cui quella cosa è vista dalla persona che la fa vedere, mettendo il lettore nello stato d’animo adatto per vedere dal punto di vista di chi scrive quello che chi scrive vuole far vedere”. Grazie a questa interpretazione (o “interpetrazione”, come si dirà fra qualche anno) è ora possibile spiegare razionalmente alcuni fenomeni che altrimenti sarebbero destinati a rimanere nel novero di quei misteri insondabili sui quali da sempre l’umanità s’interroga.

I
LE PERSONE CHE DICONO DI SCRIVERE SOLO PER SÉ
Ho sentito dire che esistono certi rigidi puristi di se stessi terrorizzati dall’idea che i loro preziosi pensieri possano essere profanati da sguardi indegni, ma che, inspiegabilmente, decidono comunque di fissarli su carta, file o qualsiasi altro supporto mondano, rendendoli così pericolosamente visibili.
Se scrivere è dire, scrivere solo per sé significa parlare da soli. Ogni tanto capita a tutti di farlo, per esempio quando si scambiano due chiacchiere col muro, ma scrivere un intero libro solo per se stessi non significa parlare col muro, significa uscire a cena col muro e cercare di portarselo a letto. Significa essere matti.
In realtà chi dice che non gli importa niente di essere letto non è matto, è solo bugiardo. Di solito si dice di scrivere solo per sé quando non c’è nessuno disposto a leggere.

II
I LIBRI SCRITTI MALE HANNO PIÙ SUCCESSO DEI LIBRI SCRITTI BENE
Di solito questa cosa viene spiegata dicendo che la gente è stupida, ma purtroppo la gente non è stupida. Se fosse stupida la si potrebbe facilmente convincere a trasferirsi in massa al centro della Terra e invece no, perché la gente è intelligente, come dimostra il fatto che la gente dice che la gente è stupida e la gente, si sa, ha sempre torto (e non perché sia stupida). La gente è solo molto innamorata di se stessa e questo amore supera di gran lunga le sue pur ragguardevoli doti intellettuali. Spesso un bovino sembra più saggio di un essere umano non perché sia più intelligente, ma perché si ama di meno.
Se dire è far vedere, comprendere un libro significa riuscire a vedere quello che il libro mostra. Stando alla definizione data sopra, un libro che mostra qualcosa dal punto di vista comune (qualsiasi cosa mostri: storie d’amore, rapine in banca o balene) è un libro scritto male, mentre un libro scritto bene è un libro che mostra qualcosa dal punto di vista personale di chi scrive. La gente, a causa del suo sconfinato autoamore, tende a vedere solo ciò in cui si riconosce, quindi non ciò che potrebbe stupirla, ma ciò che le somiglia. “Mi piace” significa sempre e solo “mi somiglia”, non altro. Quando una persona dice che un libro le piace, non sta dando un’informazione sul libro ma un’informazione su se stessa: se le piace Honoré de Balzac assomiglia a Honoré de Balzac, se invece le piace Giorgio Faletti vuol dire che assomiglia a Giorgio Faletti. Ora, siccome la maggior parte della gente ha opinioni comuni, desideri comuni e soprattutto punti di vista comuni, è ovvio che chi fa vedere qualcosa in modo comune ha molte più possibilità di essere apprezzato di chi fa vedere quella stessa cosa in un modo non comune. Da qui il grande successo dei libri scritti male.

III
QUANDO RILEGGI QUELLO CHE HAI APPENA SCRITTO SEMBRA SHAKESPEARE, SE LO RILEGGI DOPO UN ANNO O DUE SEMBRA MERDA
E tutto senza che il tuo giudizio su Shakespeare sia nel frattempo cambiato. Volubilità? Lunaticità? Troppi spritz a stomaco vuoto? No.
Se far vedere è far vedere mettendo chi guarda nello stato d’animo adatto per vedere quello che il libro mostra, è ovvio che, quando chi legge coincide con chi ha appena scritto, lo stato d’animo sia proprio quello adatto a emozionarsi anche alle sfumature delle virgole delle note a piè di pagina, ma questo non è certo merito del libro. Non è il libro che è chiaro e coinvolgente, ma è chi legge che è già coinvolto da quello che gli è chiaro. Poi col tempo il coinvolgimento passa e quello che una volta era chiaro si annebbia, l’autore diventa sempre più estraneo a quello che ha scritto e dopo un anno o due tende a vederlo per quello che è: perlopiù merda.
Questo è anche il motivo per cui

IV
LA MAGGIOR PARTE DEI BESTSELLER VIENE DIMENTICATA
Questi libri rispecchiano il modo comune di essere dell’epoca in cui sono stati scritti. Anche qui l’autore coincide con il lettore, solo che in questo caso l’autore non è una persona, ma un’epoca. Sono libri che non hanno bisogno di dire niente né di coinvolgere nessuno, perché chi li legge sa già tutto quello che c’è da sapere ed è già coinvolto senza doversi nemmeno emozionare, ma quando l’epoca passa e le mode cambiano, autore e lettore diventano estranei e dopo un secolo o due questi libri vengono visti per quello che sono: vedi sopra.
I libri che invece sono scritti da una persona e non da un’epoca possono essere compresi (o non compresi) indipendentemente dal tempo e dal posto in cui sono stati scritti, cioè possono essere apprezzati (o disprezzati) anche quando le mode saranno cambiate e diversi modi di essere comuni avranno preso il sopravvento.
Quando il Sole diventerà una gigante rossa e brucerà tutti i romanzi di Tom Clancy e Amélie Nothomb, da qualche parte intorno a Epsilon Indi qualcuno starà leggendo l’Orlando Furioso.

THE COLLEAGUES - EP. 8


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Musica di Max Jacob.

AL BAGNO

INTRODUZIONE A UN USO CONSAPEVOLE E APPROPRIATO DELL’ESPRESSIONE “SCRIVERE BENE”

Una cosa che si sente spesso dire se si soggiorna per un po’ sul pianeta Terra (parlo di quella sferetta azzurra a centocinquanta milioni di chilometri dal Sole da cui proviene tutto quel chiasso) è che un romanzo è scritto bene oppure male: “scritto bene ma fa dormire”, “bella storia ma scritto male”, “la cosa meglio scritta che abbia mai letto in tutta la mia vita e, al momento, anche l’unica” e così via. All’inizio non ci facevo molto caso, pensavo fosse una specie di intercalare senza significato, un po’ come “vero?”, “diciamo” o “c’è gente che non arriva alla fine del mese”, ma poi ho visto che le persone ci tengono parecchio, arrivando a volte anche a picchiarsi. Ora, siccome non ho mai visto nessuno picchiarsi per un intercalare, almeno non ancora, a un certo punto ho capito che non si tratta di un intercalare ma di un giudizio. Un giudizio che a dir la verità non ho ancora ben capito cosa significhi, e ho l’impressione che non l’abbiano capito nemmeno quelli che lo esprimono.
Qual è il significato di “scritto bene”? Scorrevole? Chiaro? Forbito? Corretto? O è forse un apprezzamento tipografico?


Hai letto “I Buddenbrook”? Ha un garamond eccezionale.

Eh, sì. Thomas Mann ci sa proprio fare. Hai notato i puntini di sospensione?

Sempre tre.

Un maestro della letteratura.


Io credo che il più delle volte “scritto bene” significhi semplicemente “mi piace”, solo che dicendo “scritto bene” uno dà al suo giudizio una parvenza di oggettività. Le persone hanno questo brutto vizio di oggettivare il soggettivo: dicono “fa freddo” non “ho freddo”, “è noioso” non “non lo capisco”, “è ingiusto” non “è una cosa che danneggia me e/o una o più persone a cui tengo”, e così via. Sul “mi piace” non c’è niente da discutere: a me piace, a te non piace, ciao.
Invece che cosa potrebbe voler dire “scritto bene”, supponendo che si volesse andare controcorrente e usare questa espressione per il suo significato e non solo per il rumore che fa in bocca?
Io ho una proposta: un romanzo è “scritto bene” se

1. dice qualcosa,

2. la dice in modo coinvolgente.

1.
“Dice qualcosa” non nel senso che insegna qualcosa, come se un romanzo fosse un mezzo per educare il lettore e condurlo alla virtù (per questo ci sono già i film porno), ma nel senso che fa vedere qualcosa, magari qualcosa di comune o persino banale, da un punto di vista nuovo. Un romanzo (ma anche una persona) dice qualcosa quando fa vedere quel qualcosa di cui parla in un modo originale. Attenzione, però: “originale” non nel senso di inedito, come se fosse possibile brevettare un punto di vista (se così fosse, l’inventore di “Venezia è bella ma non ci abiterei” a quest’ora sarebbe miliardario), ma “originale” nel senso di originario della persona che scrive (o parla), e non delle trasmissioni televisive che frequenta. Chi spiattella solo luoghi comuni (veri o falsi che siano) non esprime il proprio punto di vista, ma il punto di vista del tempo e del posto in cui vive. In pratica non è una persona, ma una pettinatura.
Un romanzo che “dice qualcosa” è un romanzo che fa vedere qualcosa nel modo in cui quella cosa è vista dalla persona che la fa vedere.

2.
Ma questo far vedere deve anche essere coinvolgente, altrimenti nessuno guarda. Anche il semplice puntare l’indice è un modo di far vedere, ma indicare col dito è sufficiente a far vedere? Se si aggiunge un “guarda là!” è già meglio, ma è ancora meglio se il gesto dell’indicare viene accompagnato da un pugno sui denti.


Guarda là!

Eh?

PAM!


Il problema è che se dopo il pugno non c’è niente da far vedere, allora è meglio iniziare a correre. Credo sia per questo che John Grisham fa così tanta attività fisica.


Un romanzo è coinvolgente quando ti mette in uno stato d’animo, e lo stato d’animo ideale è quello adatto a vedere le cose dal punto di vista di chi scrive.
Stabilito questo, quando un romanzo si può dire “scritto male”?
Stando alla definizione appena data, i romanzi scritti male possono essere suddivisi in due categorie: i romanzi scritti male propriamente detti, cioè quelli che non hanno nessuna delle due proprietà del romanzo scritto bene, e i romanzi che non sono scritti né bene né male (i cosiddetti romanzi “così così”), cioè i romanzi a cui manca una di quelle due proprietà: quelli che hanno la proprietà 1 ma non la 2 (i romanzi a tesi) e quelli che hanno la proprietà 2 ma non la 1 (i romanzi tutta trama).
I romanzi a tesi sono quelli che hanno qualcosa da dire, ma la dicono come il libretto di istruzioni della lavastoviglie. Più che raccontare vorrebbero spiegare, ma non possono farlo perché sono romanzi, così il racconto è solo un pretesto per collocarsi nel reparto narrativa. Questi romanzi si distinguono principalmente per il fatto di essere insipidi e verbosi, e se si fa bene attenzione si può leggere fra le righe la scaletta dell’autore: “qui dico che l’amore vince su tutto”, “qui che la scienza è arida”, “vietato sostare in doppia fila”, eccetera.
Invece i romanzi tutta trama raccontano il niente in modo molto avvincente. Mettono in moto la psiche del lettore, lo sprofondano suo malgrado nell’intreccio come fossero sabbie mobili e gli danno una vita fittizia di cui occuparsi quando la sua è momentaneamente pallosa. Sono perfetti per ammazzare il tempo, solo che quando li hai finiti ti lasciano solo un grande senso di “embè?”.
Infine ci sono i romanzi scritti male propriamente detti, cioè quelli che oltre a non avere niente da dire, lo dicono pure male. Per avere un esempio di questo tipo basta andare in libreria e prendere un libro a caso dallo scaffale “novità”.

(Applicazioni)

THE COLLEAGUES - EP. 7


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Musica di Max Jacob.