LA BUCA DELL’AMORE (16)

16. CHE COSA NON È LA FELICITÀ

“Felicità” è un’altra di quelle parole che tutti usano, ovunque e con chiunque, ma che ognuno usa a modo suo, senza minimamente preoccuparsi che gli altri intendano quello che lui intende e, in molti casi, senza sapere bene nemmeno lui che cosa davvero intende. C’è chi intende “euforia”, come quelli che ostentano gioia di vivere quando sono in pubblico e poi magari in privato si rannicchiano in un angolo buio del sottoscala, c’è chi intende “allegria”, chi “spensieratezza”, “tranquillità”, “gratificazione personale”, “appagamento intellettuale”, “piacere fisico”, “scarpe comode” e così via, tanto che non mi stupirei se qualcuno intendesse “cavallo”.


Tu non sei felice.

Cosa dici? Certo che sono felice.

Non con me.

Ti giuro che sono felice.

Eppure...

Non sono mai stato così felice come adesso.

Dimostramelo.

Non ho niente di cui lamentarmi, vorrei che tutto rimanesse così com’è e quando penso a te provo una sensazione piacevole.

E questa la chiami felicità?

Beh, sì.

Tu non sai cos’è la felicità.

Cos’ho fatto per meritarmi questa frase fatta?

La vera felicità è veloce, resistente e docile. Molto precoce, può essere messa al lavoro già a tre anni.

Non ti seguo.

E poi nitrisce.


Eppure, tolti i pronomi, le congiunzioni e i sinonimi di pene, sono proprio le parole come “felicità” le più usate, parole-prezzemolo che servono più a insaporire i discorsi che a comunicare dei concetti. Sono parole che non vengono usate per il loro significato ma per il suono che hanno, in pratica sono onomatopee. Può sembrare incredibile che la gente riesca comunque a capirsi, e infatti non si capisce per niente. Nella maggior parte dei casi la gente non parla per capirsi ma per stare insieme, e tutto quello che serve per stare insieme è qualche salsiccia, della birra fresca e un po’ di parole dal suono comune che tengano tutti spensieratamente uniti: non “apoftegma”, “teleologia” o “ciniglia”, ma “amore”, “verità” e “felicità”.
Tuttavia, anche se è vero che ognuno parla di felicità a suo unico e insindacabile arbitrio, è anche vero che almeno su una cosa tutti sembrano essere d’accordo: ciò che la felicità non è. Per esempio non è la frustrazione. Partendo da questo dato si può allora affermare che condizione necessaria per essere felici, qualsiasi cosa questo significhi, è il non essere frustrati. È quindi possibile individuare almeno un insieme di persone sicuramente infelici: le persone poco sagge.
Ricordando quanto detto nella parte 13, l’insoddisfazione (n) di una persona è la quantità di amor proprio (a) che il suo orgoglio (o) non riesce a soddisfare

n = a - o

e si trasforma in frustrazione in tutti quei casi in cui supera l’orgoglio

a - o > o

cioè quando

a > 2o

Essendo l’orgoglio il prodotto dell’amor proprio per la saggezza (s), si ha allora che sono frustrate tutte e sole le persone per le quali vale la condizione

a > 2as

cioè

s < 0.5

che non è altro che la definizione di persona poco saggia (parte 14). Possiamo quindi affermare che tutte le persone poco sagge sono frustrate (e viceversa) e quindi infelici (ma non viceversa), indipendentemente da quanto siano intelligenti. Anche un genio, se poco saggio, sarà infelice, figurarsi gli altri.
Questo risultato potrebbe sembrare in aperta contraddizione con i dati empirici, visto tutto l’entusiasmo che spesso contraddistingue ultrà, tronisti, punkabbestia e tutte le altre specie di stolti che gioiosamente affollano questo pianeta, ma è solo perché bisogna ancora distinguere fra insoddisfazione e insoddisfazione, le due componenti dell’insoddisfazione. Come ormai dovrebbe essere chiaro, uno dei punti forti di questo modello è la scelta dei nomi.

LA BUCA DELL’AMORE (14 E 15)

14. STUPIDITÀ DEL SECONDO TIPO

La saggezza (s) di una persona è la distanza massima che questa riesce a prendere da se stessa (parte 12), cioè dall’asse che passa per il centro oscuro ma rassicurante della sua buca dell’amor proprio, ed è espressa in funzione della sua intelligenza (i) e del suo amor proprio (a) dall’equazione fondamentale della persona

s = i / √(a2+1)

A far sembrare stupida una persona che raggiunge obiettivi poco saggi non sono tanto gli obiettivi quanto il fatto che questa persona usi tutta la sua intelligenza per raggiungerli, cosa che non dipende da quanto è intelligente ma da quanto si ama, cioè dal suo carattere. È solo in base al carattere che uno decide quanta parte della sua intelligenza dedicare al compiacersi della sua intelligenza. In sé l’autocompiacersi non è stupido, nel senso di poco intelligente (parte 11), visto che certe forme di autocompiacimento possono richiedere più intelligenza di quella necessaria per raggiungere obiettivi saggi, quindi il modo più appropriato di chiamare chi si dedica ciecamente all’autocompiacimento non è “stupido”, ma “poco saggio”. Definiamo quindi poco saggio, o stolto, chi con tutta la sua intelligenza raggiunge solo obiettivi poco saggi (parte 4), cioè chi ha un amor proprio così grande da essere trattenuto sempre più vicino a se stesso che a tutto il resto

s < 0.5

Il comportamento di una persona poco saggia ha tutte le caratteristiche della stupidità del secondo tipo (parte 10), cioè è riconoscibile non dagli obiettivi che uno non riesce a raggiungere ma da quelli che raggiunge, e in particolare dalla grande perizia e scrupolosità con cui li raggiunge.


15. LA SAGGEZZA SUL PIANO DELL’AMOR PROPRIO E DELL’INTELLIGENZA

Consideriamo ora il piano dell’amor proprio e dell’intelligenza, da non confondere col piano della saggezza e dell’amor proprio (parte 4). Ogni punto su questo piano rappresenta una persona con la sua intelligenza (in ordinata) e il suo amor proprio (in ascissa). Grazie all’equazione fondamentale della persona (parte 12) si può ricavare l’equazione delle curve a saggezza costante su questo piano

i = s √(a2+1)

dove i è compresa fra 0 e 1 e a è sempre maggiore di 0. Ognuna di queste curve rappresenta un insieme di persone accomunate dalla stessa saggezza.


Andando dal basso verso l’alto si incontra la curva delle persone con saggezza s=0.1, poi la curva delle persone con saggezza s=0.2 e così via, fino ad arrivare alla curva delle persone con saggezza s=0.9, al di sopra della quale vivono i saggi più saggi del mondo. Non per niente è la regione di piano più piccola e silenziosa di tutte (il silenzio non è rappresentato in figura, ma può essere facilmente immaginato). Le persone poco sagge occupano la regione di piano al di sotto della curva rossa. Ora, poiché dalla figura si vede che le persone poco intelligenti, cioè con i<0.5 (parte 11), stanno tutte sotto la curva s=0.5, ciò significa che tutti gli stupidi sono stolti, anche se non tutti gli stolti sono anche stupidi.
Un’altra cosa che si vede è che per essere saggi non sono necessari né una grande intelligenza né uno scarso amor proprio. Infatti anche una persona con intelligenza i=0.6, cioè poco sopra la media, può tranquillamente essere saggia, purché il suo amor proprio sia inferiore a circa 0.7, cioè più piccolo dell’amor proprio di Giovanni l’Apostata ma pur sempre più grande di quello di una casalinga media (parte 4). Invece un discreto estimatore di se stesso come Mario (a=1) ha bisogno di un’intelligenza di almeno 0.7 per essere saggio, e Luigi, una di quelle persone che appena hanno cinque minuti liberi si mettono dietro all’inviato del tg a salutare in camera (a=2), ha bisogno di un’intelligenza così grande (i>1) che non esiste un cervello umano abbastanza capiente da contenerla, per quanto sapiens sapiens possa essere. Così succede che Luigi, nonostante le sue meravigliose esibizioni televisive e la sua non comune costanza, non sia altro che un perfetto stolto. L’amor proprio a volte fa brutti scherzi e può facilmente capitare di trovare persone intelligentissime che non sanno nemmeno farsi un toast.


Per fortuna hanno qualcuno di meno intelligente disposto a farglielo.
La figura mostra chiaramente che esiste una soglia di amor proprio oltre la quale una persona non ha nessuna possibilità di essere saggia. Per determinare il valore di questa soglia basta prendere l’equazione fondamentale della persona e imporre la condizione di stoltezza (s<0.5) nel caso di una persona con intelligenza disumana (i=1)

1 / √(a2+1) < 0.5

da cui segue

a > √3

cioè tutte le persone che si amano più di Alessandro Magno, tanto o poco intelligenti che siano, sono necessariamente poco sagge. Questo è dunque il limite che separa le persone inevitabilmente stolte da quelle possibilmente stolte.


Avvisa gli uomini, Efestione. Domani all’alba invaderemo l’India.

È sicuro che sia una buona idea?

Perché? Non ti va più?

Non è questo.

È tutto pronto, ho anche fatto lavare il mantello delle grandi occasioni. Sai quello rosso di flanella col bordino a coste, hai presente?

Posso parlare apertamente, signore?

Sì, ma senza esagerare.

Non mi sembra saggio.

Non ti sembra saggio...

No, signore.

Ah.

Non so, arrivare qui all’improvviso, ammazzare tutti... dopotutto non sappiamo neanche chi sono.

Guarda che non ammazziamo la gente per niente. Esportiamo l’aristocrazia. Così è saggio, no?

Non saprei, signore.

Ma, scusa, non eri curioso anche tu di vedere com’è l’oceano dall’altra parte del mondo?

Potremmo andarci in vacanza.

Certo, fra selvaggi che non sanno neanche cos’è il ciceone.

Signore...

Diffondiamo nel mondo la cultura greca: l’Iliade, il teatro, Fidia e Policleto, Talete, la filosofia di coso, là, come si chiama?

Aristotele.

Lascia stare Aristotele, l’altro.

Platone?

Diffondiamo in tutto il mondo la filosofia di Platone, non ti sembra saggio nemmeno questo?

Siamo giusto al limite.


Essere saggi è solo una questione di equilibrio fra intelligenza e amor proprio: più uno si ama più deve essere intelligente, ma se non si ama troppo gli basta poco per essere saggio.

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IL CENTRO DELL'ATTENZIONE

LA BUCA DELL’AMORE (13)

13. ORGOGLIO E FRUSTRAZIONE

Quando una persona dotata di amor proprio a raggiunge un obiettivo distante so dal suo egocentro, prova per sé un orgoglio aso pari all’altezza di cui è salita rispetto al fondo della buca in cui vive.


Chiamiamo orgoglio di una persona (o) l’orgoglio massimo cui questa può innalzarsi nel corso di tutta la sua vita, cioè l’orgoglio corrispondente alla sua saggezza (s)

o = as

Questo orgoglio, grazie all’equazione fondamentale della persona (parte 12), può essere espresso in funzione dell’amor proprio e dell’intelligenza (i)

o = ai / √(a2+1)

La figura qui sotto mostra l’andamento dell’orgoglio al variare dell’amor proprio per un valore fissato dell’intelligenza (in questo caso 0.7).


Come era facile prevedere, una persona è tanto più orgogliosa quanto più si ama, e questa semplice constatazione è già sufficiente per spiegare come mai gli uomini vadano così meglio delle donne in tutti gli sport, briscola compresa. Non è solo una questione di superiorità fisica, come si tende a dare per scontato, ma anche di orgoglio: gli uomini ci tengono di più. Per rendersene conto basta fare caso a come uomini e donne si comportano quando perdono. Naturalmente sia gli uni che le altre si complimentano con chi ha vinto, un po’ è la prassi, un po’ serve a far vedere che dopotutto non ce la si è presa, che tanto è solo un gioco e che nella vita ci sono obiettivi ben più importanti, obiettivi come “vincere la prossima volta”. Uomini e donne, però, non si complimentano allo stesso modo: le donne sembrano complimentarsi sul serio. A volte può persino capitare che una perdente abbracci la vincitrice, la baci, le mostri alcuni pollici in su e arrivi a pronunciare frasi come “sei la migliore”, “mi dichiaro sconfitta” o addirittura “ti offro da bere”, cioè frasi che per un uomo mediamente innamorato di sé sono assolutamente inconcepibili. Di solito un uomo si avvicina al vincitore con la faccia deformata dal disprezzo, gli dà la mano cercando di spezzargli più falangi che può e tutto quello che riesce a dirgli è una via di mezzo fra “complimenti” e “crepa”. Se si fa bene attenzione si può anche notare che in prossimità del coccige gli sta spuntando una piccola coda pelosa. Quando un uomo dispone i suoi carri armati sul tabellone di Risiko o fa le acrobazie vestito da pagliaccio, non sta semplicemente “giocando”, sta facendo qualcosa per cui ne va del suo orgoglio. Certo non è un comportamento saggio, ma è proprio questa mancanza di saggezza che lo aiuta a vincere. La voglia di autocompiacersi è una motivazione indispensabile per prevalere negli sport, nelle conversazioni con gli amici e in autostrada. Tutto questo naturalmente nell’ipotesi in cui gli uomini si amino molto di più delle donne, cosa ancora tutta da dimostrare.


L’orgoglio, però, non cresce indefinitamente al crescere dell’amor proprio, ma tende asintoticamente a un valore massimo che è numericamente uguale all’intelligenza

lima→∞ ai / √(a2+1) = i

Cioè più l’amor proprio di una persona è grande, più questa tenderà a usare tutta la sua intelligenza per inorgoglirsi invece che per prendere le distanze da sé. Al contrario, più l’amor proprio è piccolo, più l’orgoglio tende ad annullarsi

lima→0 ai / √(a2+1) = 0

Quindi, ricordando come varia la saggezza al variare di a (sempre parte 12), i due casi limite cui una persona può tendere sono:

a→0: saggezza massima, orgoglio nullo
a→∞: saggezza nulla, orgoglio massimo

Vedendo queste due possibilità ideali una vicino all’altra, non è così semplice dire quale sia preferibile. Da un lato verrebbe da scegliere la prima. Chi non vorrebbe essere la persona più saggia del mondo? Sarebbe meraviglioso andare nei talk show della domenica pomeriggio a sfoggiare tutta la propria incomparabile saggezza con criminologi, preti e soubrette. Ma purtroppo c’è un problema: l’orgoglio nullo annesso a questa possibilità porterebbe inevitabilmente chi la scegliesse a stare tutto il giorno in una baita di montagna a riflettere sul significato della parola “essere”, il che vuol dire niente tv, niente interviste, niente tunica alla Socrate, niente di niente, neanche un piccolo adesivo sulla macchina con scritto “saggio a bordo”. La seconda possibilità diventa improvvisamente più allettante. Essere la persona meno saggia del mondo non è il massimo, è vero, però è anche vero che essere orgogliosi di se stessi è una sensazione piacevole, indipendentemente dal fatto che se ne abbia o no motivo. In fondo a tutti piacerebbe essere orgogliosi di sé e crogiolarsi tutto il giorno nel ricordo dei propri obiettivi raggiunti, e che importa se gli altri considerano questi obiettivi futili? Quello che conta è come ci si sente, non come gli altri pensano che ci si debba sentire. Meglio ubriachi e felici che sobri e tristi, e anche se non è ben chiaro cosa si debba intendere con la parola “felicità”, certamente non può essere una cosa spiacevole. Giusto, ora passiamo a descrivere la frustrazione.
L’insoddisfazione di una persona può essere definita come la quantità di amor proprio che l’orgoglio non riesce a soddisfare. In pratica è il dislivello che resta ancora da fare per uscire dalla buca quando non si ha più la forza di salire. Ecco l’orgoglio e l’insoddisfazione (n) visualizzate sul piano della saggezza e dell’amor proprio.


Essere orgogliosi di sé è piacevole, ma non è altrettanto piacevole sentire che questo orgoglio è comunque insufficiente e che una parte dell’amore che si prova per sé è ancora lì che aspetta di essere soddisfatta. È come quando uno ama un’altra ma sente che l’altra non lo ama quanto lui vorrebbe, l’unica differenza è che in questo caso l’uno e l’altra coincidono. Uno si ama a, l’orgoglio soddisfa una parte o del suo amore, quello che rimane è l’insoddisfazione

n = a - o

cioè

n = a[1 - i/√(a2+1)]

Da questa equazione si vede che tutte le persone sono insoddisfatte, almeno un po’. Infatti, essendo l’amor proprio e l’intelligenza sempre maggiori di 0, si ha

i/√(a2+1) < i

ed essendo inoltre l’intelligenza sempre minore di 1 (parte 6), si ha anche

i/√(a2+1) < 1

quindi

n > 0

Questa è la legge dell’insoddisfazione eterna ed è quella legge che fa alzare la gente dal letto tutte le mattine, anche quando il corpo non ne avrebbe voglia e se ne starebbe volentieri a rotolarsi tutto il giorno fra le coperte, perché quello che spinge le persone a vivere non è chissà quale grande progetto per sé o addirittura per l’umanità, ma sempre e solo la voglia di colmare questa insoddisfazione incolmabile.
Come l’orgoglio, anche l’insoddisfazione cresce al crescere dell’amor proprio, ma, mentre l’orgoglio non può crescere più di tanto, l’insoddisfazione non ha limiti

lima→∞ a[1 - i/√(a2+1)] = ∞

tanto che quando l’amor proprio oltrepassa una certa soglia (af), l’insoddisfazione è così grande che supera anche l’orgoglio

n > o

Quando questo si verifica si cade in quel caratteristico stato d’animo chiamato “frustrazione”. Il grafico qui sotto mette a confronto l’andamento dell’orgoglio (linea continua) con quello dell’insoddisfazione (linea tratteggiata), sempre fissato un valore di riferimento dell’intelligenza pari a 0.7. La zona ombreggiata è quella della frustrazione.


Tutte le persone sono insoddisfatte, è inevitabile, ma solo le persone la cui insoddisfazione supera l’orgoglio sono anche frustrate, e queste persone sono quelle che si amano così tanto che qualsiasi obiettivo riescano a raggiungere non varrà mai neanche la metà del loro amore.
Quindi, ricapitolando:

a→∞:
saggezza nulla, orgoglio massimo, insoddisfazione infinita

Forse conviene scegliere la saggezza.

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IL CREATORE

LA BUCA DELL’AMORE (12)

12. EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA PERSONA

Gli obiettivi che uno si pone possono essere più o meno saggi, cioè più o meno distanti da sé. Per esempio lavarsi i denti è meno saggio che suonare il violino, ma questo non significa che chi si lava i denti sia poco saggio, significa solo che quando ci si lava i denti si rimane molto più vicini a se stessi di quando si suona il violino: in un caso si pensa ai propri denti, nell’altro si pensa alla musica. Poi è vero che chi suona il violino lo fa anche per sé e chi si lava i denti lo fa anche per gli altri, ma ciò non toglie che nessuno andrebbe mai a teatro a sentire il meraviglioso alito di Accardo.
Ogni obiettivo è una retta verticale sul piano della saggezza e dell’amor proprio posta a una certa distanza dall’asse dell’ego (parte 4). Una persona raggiunge un obiettivo nel momento in cui la salita della sua buca dell’amor proprio interseca la retta dell’obiettivo, portandosi così a una distanza da sé che è la stessa di tutte le persone che raggiungono quell’obiettivo, anche se ognuno ne ricava una quantità di orgoglio maggiore o minore a seconda di quanto si ama. Suonare il violino al Carnegie Hall è saggio tanto quanto suonarlo chiusi nello sgabuzzino, così come lavarsi i denti in bagno è saggio tanto quanto lavarseli affacciati alla finestra senza mutande, eppure c’è qualcosa in certi modi di raggiungere un obiettivo poco saggio che fa sembrare poco saggio anche chi lo raggiunge. Verrebbe quasi da dire poco intelligente, se non fosse che qui l'intelligenza non c’entra (parte 11). Cos’è allora questo qualcosa?
Augurarsi buona fortuna non è per niente saggio, è più o meno come fare le smorfie allo specchio: non serve a niente e si rischia di rendersi ridicoli, se non agli occhi degli altri certamente ai propri, che è molto peggio. Eppure lo fanno tutti, nessuno escluso. Chi si limita a spronarsi con semplici monosillabi: “dài!”, “vai!”, “su!”, chi sente il bisogno di emettere suoni più articolati come “spero di farcela”, “vedrai che andrà tutto bene”, “ho un buon presentimento”, chi cerca anche l’incitamento di altre persone o, in mancanza di meglio, del proprio cane, chi interpreta i sogni a suo favore, chi cerca consolazione negli oroscopi, chi arriva persino a fare quelle cose demenziali chiamate “gesti scaramantici”. Io, quando ho qualche incombenza a cui tengo molto, prima di uscire di casa mi allaccio e mi slaccio le scarpe quattro volte consecutivamente, sedici volte se per caso sbaglio qualcosa, sessantaquattro se sbaglio di nuovo e così via. In alternativa prendo quindici gocce di Lexotan così faccio prima. Ma c’è chi si spinge ancora più in là. C’è chi prende un libro a caso, lo legge e lo rilegge fino a impararlo a memoria, si compra un vestito adatto per stare in compagnia di questo libro, fa costruire un edificio enorme e appariscente dove andare a vivere col libro, e poi, una volta alla settimana, chiede a uno o più personaggi del libro di proteggerlo, aiutarlo e conservarlo in salute fino alla fine della sua vita e possibilmente anche oltre. Questa persona ha usato tutta la sua intelligenza per augurarsi buona fortuna. Si può definirla poco saggia? Non lo so, ma ci si può provare.
Definiamo saggezza s di una persona dotata di intelligenza i e amor proprio a la saggezza associata al suo obiettivo raggiungibile più lontano (parte 8)

s = i / √(a2+1)

Questa è l’equazione che lega le tre grandezze fondamentali che definiscono una persona: la saggezza, l’intelligenza e l’amor proprio. Da questa equazione si vede che una persona è tanto più saggia quanto più è intelligente e quanto meno si ama. In altre parole più uno si ama, meno lontano va con la sua intelligenza, al punto che chi si ama in modo spropositato sarà necessariamente poco saggio, indipendentemente da quanto è intelligente. Infatti

lima→∞ i/√(a2+1) = 0

da cui si deduce che persino il più grande genio del mondo (i≈1), se troppo innamorato di sé, può non essere nemmeno in grado di mangiare una minestra, tanto gli piace stare a guardare la propria immagine riflessa nel brodo. Al contrario quando l’amor proprio tende a 0 la saggezza è massima

lima→0 i/√(a2+1) = i

In base all’equazione fondamentale della persona si può quindi affermare che, a parità di intelligenza, si è tanto più saggi quanto meno ci si ama. Del resto è possibile dimostrare che chi si ama molto finisce inevitabilmente con l’essere frustrato, e nessuno può dire che la frustrazione sia un segno di grande saggezza. Cioè, qualcuno può anche dirlo, ma avrebbe torto.

LA MADRE DELL’ARTISTA

LA BUCA DELL’AMORE (10 E 11)

10. LA TRIPLICE RADICE DEL PRINCIPIO DI STUPIDITÀ

Stupido!

Io?

E parecchio.

In che senso, scusa?

Nel senso che sei stupido.

Sei tu lo stupido.

Non mi pare.

Un grossissimo stupido.

Figurati.

Mai visto uno stupido più stupido di te.

Se fossi stupido me ne accorgerei, non ti pare?

Certo, se non fossi così stupido.

Non sai di che parli.

Di uno stupido.

Sei proprio stupido.

Disse lo stupido.

Disse il più stupido degli stupidi.

Disse il più grande stupido di tutti i più grandi stupidi.

Neanche sai cosa vuol dire “stupido”.

Certo che lo so.

Ah, sì?

Sì.

Sentiamo.

Vuol dire che sei stupido.


La gente è stupida, dice la gente, cosa che mi ha sempre fatto l’effetto del paradosso di Epimenide: se la gente è stupida come fa ad aver capito di essere stupida? allora non è stupida. Però è stupido definirsi stupidi quando non lo si è. Allora è stupida, e così via. Anche se in questo caso il paradosso potrebbe essere brillantemente superato supponendo che chi dice “la gente è stupida”, per qualche motivo poco chiaro, sottintenda sempre “tranne me”. Ma è solo un’ipotesi. Sia come sia, il problema principale di questa affermazione è che non c'è mai nessuno che senta il bisogno di spiegare di cosa sta parlando. Quando uno viene apostrofato con la parola “stupido”, invece di imbestialirsi e rispondere con qualcosa di ancora più offensivo come “stupidissimo” o “superstupido”, dovrebbe chiedere all’altro cosa intende esattamente con “stupido”. Chissà, magari scoprirebbe che detto da lui è un complimento.
Ci sono almeno due tipi di situazioni in cui la gente chiama in causa la stupidità altrui:

1. Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce.
2. Quando uno vuole fare qualcosa di stupido e ci riesce benissimo.

A questi due tipi se ne aggiunge poi un terzo:

3. Quando uno vuole fare qualcosa di incomprensibile, sia che ci riesca o meno.

Si noti che, a differenza dei primi due, quest’ultimo tipo di stupidità non appartiene al giudicato ma al giudicante, e ci sono buoni indizi per sospettare che sia quello più diffuso.


11. STUPIDITÀ DEL PRIMO TIPO

“Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce”. In realtà niente è di per sé intelligente, né tanto né poco. Quello che distingue un obiettivo da un altro è solo quanto è lontano dall’asse dell’ego, cioè dal più immediato e diretto dedicarsi all’inimitabile punta del proprio naso, non quanto è intelligente (parte 4). L’intelligenza riguarda le persone, non gli obiettivi, e per come è stata definita (parti 3 e 6) tutto quello che si può dire in base al comportamento delle persone è questo: se uno raggiunge un certo obiettivo vuol dire che è abbastanza intelligente per quell’obiettivo, nient’altro. Questo sempre prescindendo dalla fortuna e dalla sfortuna dei singoli, perché è ovvio che chi ha vinto la lotteria ha molte più probabilità di raggiungere l’obiettivo “dilapidare un patrimonio” di chi non l’ha vinta. Ora, il raggiungimento di un obiettivo particolarmente saggio può essere considerato un segno di intelligenza, ma il suo non raggiungimento non è di per sé segno di poca intelligenza, dal momento che tutti, nessuno escluso, concepiscono almeno un obiettivo che non sono in grado di raggiungere (parte 8): per esempio Michelangelo non riusciva a finire le statue. E nemmeno il non riuscire a raggiungere un obiettivo che più o meno tutti raggiungono implica necessariamente poca intelligenza, dal momento che uno cerca di raggiungere quell’obiettivo nel particolare modo che ritiene adatto ad appagare il suo amor proprio, un modo che in certi casi può richiedere molta intelligenza, anche più di quella umanamente possibile. Questo significa che non è possibile definire poco intelligente qualcuno basandosi esclusivamente sulla lista degli obiettivi raggiunti e non raggiunti, perché può sempre esserci il caso di persone che usano tutta la loro sconfinata intelligenza per fare meravigliosamente bene cose assolutamente futili, come lavare la macchina. L’ideale sarebbe avere libero accesso al cranio di una persona, estrarne il cervello, metterlo su un banco di prova e fare tutte le verifiche necessarie per stabilirne le prestazioni, ma purtroppo questo non si può fare. Pare sia contro le attuali norme sulla privacy. Siccome però nessuno vieta di sognare, possiamo immaginare di avere a disposizione un’apposita equipe medica adeguatamente tedesca in grado di scoperchiare crani senza spargimento di sangue, almeno non troppo, e di misurare con assoluta precisione le prestazioni fisiche oggettive di un cervello umano, cioè la sua intelligenza (i). Dopo di che chiamiamo stupidi del primo tipo, o poco intelligenti, tutti quelli che hanno un’intelligenza inferiore alla media

i < 0.5

Questo è più o meno quello che vorrebbero fare i cosiddetti “test d’intelligenza”, se non fosse che, in realtà, questi test non misurano l’intelligenza ma la mancanza di senso del ridicolo, come dimostrano le facce degli iscritti al MENSA.


Mi rendo conto che può essere antipatico parlare di “persone poco intelligenti”, visto che ogni persona a suo modo eccetera, ciò però non toglie che queste persone ci sono. Non sono certo la stragrande maggioranza, probabilmente non sono nemmeno la maggioranza, però ci sono. Ci sono persone con le gambe corte, persone con le orecchie a sventola, persone coi piedi piatti e ci sono persone col cervello che funziona male. È la natura, e nessun pedagogista può farci niente.

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