LA SEPARAZIONE

IL PIANISTA COL MIGNOLO

Gianni Strimpelli (1816 - 1901) era un pianista polacco. Anche se magari dal nome non si direbbe, era al cento percento pianista.
Oggi è difficile trovare informazioni sul suo conto, ma a suo tempo era davvero molto famoso, anche se non per il suo talento ma per la mancanza di un mignolo. Il destro, per la precisione.
Nella sua autobiografia racconta di averlo perso a dodici anni in un incidente pianistico: stava suonando una non meglio precisata bagatella in la minore di Beethoven, quando, del tutto inavvertitamente, il suo maestro di pianoforte gli chiude il coperchio sulle dita e, sempre inavvertitamente, ci sale sopra coi piedi e balla la mazurka. Sono dovuti intervenire i pompieri per farlo smettere. Le dita del povero ragazzo sembravano würstel bolliti, anche se non così buoni.
Gianni Strimpelli era sicuro che non sarebbe mai più riuscito a suonare nessuno strumento e già si vedeva costretto a fare il direttore d’orchestra, ma per sua fortuna i medici ebbero il coraggio di fare una cosa inaudita: ascoltare il paziente. Così, toccati dalla sua grande passione per la musica, decisero di trapiantargli le dita dei piedi. L’unico inconveniente era che lui non aveva tutte le dita dei piedi, ma gli mancava proprio il mignolo destro, perso qualche anno prima in un incidente organistico. Uno dei medici chiese allora se per caso non c’era qualche altra propaggine corporea che si poteva trapiantare al posto del mignolo, ma Gianni Strimpelli disse che nove dita andavano benissimo.
L’operazione fu un successo e Gianni Strimpelli divenne famoso in tutto il mondo. I suoi concerti erano richiesti nei più importanti teatri e la gente faceva la fila per poter assistere alle sue incredibili esecuzioni. Alcuni lo hanno persino paragonato a Chopin, non tanto per il modo di suonare ma per l’aspetto fisico.


Anche se, a ben vedere, era l’opposto di Chopin.


In realtà le sue esecuzioni pianistiche non erano niente di speciale. Certo erano corrette, precise e persino corredate da tutti i caratteristici ondeggiamenti della testa tipici dei grandi pianisti, ma lui non era un grande pianista. Purtroppo suonare non significa fare una performance sportiva, dove vince chi schiaccia più tasti nel più breve tempo possibile, ma significa interpretare. È come per gli attori: così come un bravo attore ti fa dimenticare che sta recitando, un bravo pianista ti fa dimenticare che sta suonando.
Ciononostante le masse affollavano i teatri per sentire questo incredibile pianista senza mignolo che suonava esattamente come un qualsiasi pianista col mignolo. Il suo grande successo dava molto fastidio ai musicisti dell’epoca, e non perché fossero invidiosi, o almeno non solo per quello, ma perché quest’uomo stava trasformando la musica in un fenomeno da circo. Il passo successivo quale sarebbe stato? Un pianista bendato? Una foca? Giovanni Allevi?
Nel 1852 a Liszt venne un’idea: comporre un concerto per pianoforte e orchestra dedicato a Gianni Strimpelli, un concerto per solo mignolo della mano destra. Il piano era quello di umiliarlo davanti a tutto il mondo e cancellare per sempre questo handicappato dalla storia della musica. Così, in soli tre giorni, Liszt compone il concerto e invita Gianni Strimpelli a Vienna per suonarlo di fronte ai più grandi intenditori del mondo. All’inizio Strimpelli è scettico, ma alla fine, attirato dalle false lusinghe di Liszt (“vieni”, “dài vieni”, “e vieni!”), si presenta a Vienna per “la grande umiliazione” (era il titolo del concerto). Strimpelli, che non era uno sprovveduto, per prima cosa chiede se per caso poteva suonare con la mano sinistra, ma, avuto il rifiuto sdegnato di Liszt, si giustifica dicendo che era solo una gag. Poi cerca di spiegare che il suo anulare è in realtà il mignolo, visto che per definizione il mignolo è il dito più esterno di una mano, ma Liszt non vuole sentire scuse e gli dice che per un grande pianista come lui non sarà certo un problema suonare quello che non può suonare. Gianni Strimpelli ha le spalle al muro.
Sale sul palco accolto da sonore pernacchie con le ascelle (al tempo si usava così). Tutto è pronto per la prima esecuzione mondiale del Concerto in Do# maggiore per orchestra e pianoforte per il solo mignolo della mano destra. “Mi raccomando la diteggiatura”, gli dice sottovoce Liszt. Gianni Strimpelli annuisce, sistema il sedile, si aggiusta con calma i polsini dello smoking e piange.

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SINCERITÀ E MODO DI FARE

Gadamer dice che ci sono tre modi di interagire con gli altri.


Un modo è quello di usarli come mezzo per raggiungere i propri scopi.


Sto interpretando. La chiami ermeneutica, se vuole.


In questo caso le persone non sono riconosciute come esseri umani ma come aggregati di materia ambulante da manovrare, attivare, indirizzare, manipolare, mungere o altre cose che uno cerca di far fare agli altri quando non gli importa assolutamente niente di loro, ma solo di ciò a cui gli possono servire. L’esempio più tipico è il comportamento del cosiddetto leader di partito, dove per “partito” non intendo solo i partiti che si chiamano “partiti”, ma anche quelli che si chiamano “movimenti”, “popoli” o “forze”. I leader di partito, chi più chi meno, parlano alle folle non per farsi capire ma per farsi acclamare, e la cosa che fa davvero paura è che queste folle, come se niente fosse, li accontentano.


Sì, però non ci scriverei un trattato.


Il secondo modo di interagire è quello di chi vuole solo avere ragione. Qui non serve fare esempi, basta accendere una persona a caso e parlarle per cinque minuti.


Sì, si può dire anche così. In questo caso gli altri vengono sì riconosciuti come esseri umani, ma non come esseri umani con qualcosa da dire. Ognuno pensa di essere lui quello che dice le cose a ragion veduta, mentre tutti gli altri dicono quello che dicono solo perché sono condizionati, suggestionati, disinformati, plagiati, alterati, accecati, in mala fede o semplicemente cretini. Quest’ultima è l’opzione in assoluto più amata.


Giusto. Invece il terzo modo è quello di chi è veramente interessato a ciò di cui si sta parlando e non al parlare in sé. In questo caso la preoccupazione principale è capire cosa l’altro sta dicendo e perché.


E per capirlo c’è una cosa sola da fare.


È incredibile come nelle discussioni tutti si affrettino a dare risposte e così pochi facciano domande. Ogni minimo dubbio viene subito preso come segno di debolezza, quando invece è segno che il cervello sta funzionando. Uno per far bella figura in società dovrebbe far finta di avere un sacco dubbi, fare continuamente domande e dire spesso “non lo so”, invece a tutti piace sfoggiare le proprie certezze. In tutti gli ambiti dello scibile umano, mondani e ultramondani, le risposte riscuotono sempre molto più successo delle domande. La società ha persino nominato degli appositi custodi delle risposte, incaricati di sorvegliare e tramandare di generazione in generazione le sacre risposte a domande che ormai nessuno più ricorda.


Sa quali sono le uniche persone che fanno domande?


Non tutti.


I bambini.


L’altro giorno sono passato per la Montagnola e ho visto un tizio che faceva stretching. In quel momento, per puro caso, passava di lì anche una donna con un bambino. Riesce a immaginare che cosa incredibile dev’essere per un bambino di tre anni vedere uno che fa stretching?


Beh, la madre, notando il grande stupore del figlio (sembrava avesse visto Batman in bikini), gli dice “sta facendo ginnastica”, al che il bambino fa la cosa più ovvia del mondo: domanda perché. “Perché fa ginnastica, mamma?”. A questo punto la madre aveva due possibilità: dire “non lo so” oppure andare direttamente alla fonte unica e originaria del sapere (il tizio che faceva stretching) e chiedergli “scusi? Perché fa stretching?”. Invece la madre cosa fa? Risponde. “Per stare bene”, dice al figlio. In realtà non lo sa, non può saperlo finché non chiede, eppure risponde, non riesce a sottrarsi al dovere morale di fornire al figlio La Risposta.


Poi ci pensano i genitori a renderli adeguatamente ottusi.

COME TI RISOLVO I PROBLEMI DEL MONDO

Il mondo ha un sacco di problemi: la povertà, le guerre, l’inquinamento, per non parlare della preterizione. Oggi voglio risolvere la povertà.
Fin da piccolo sono sempre stato accusato di essere un egoista, uno che divide malvolentieri le patatine con gli altri, getta le sigarette per terra e non chiude mai il tubetto del dentifricio. Chiaramente è solo una questione di punti di vista: io il tubetto lo lascio aperto per semplificare la vita agli altri e mica mi lamento quando lo trovo chiuso.
L’accusa di egoismo mi perseguita da sempre. Anche quando ero poco più che un embrione, la gente già mi additava come un cattivo esempio.


C’è qualcosa che non va dottore?

Dall’ecografia risulta che suo figlio è un egoista. Lo vuole tenere lo stesso?

Oddio, lei cosa mi consiglia?

Non procreerà mai, berrà il latte col Nesquik senza sentirsi in colpa e non andrà mai, dico mai, a votare.

Me lo tolga! Mi tolga immediatamente questo coso!

Prima deve pagare il ticket, signora.

Egoista quanto?


Tutti mi hanno sempre guardato con sospetto: parenti, amici, vicini, persino i conduttori dei tg si rivolgono a me con un certo distacco. È una cosa che dà molto fastidio. Per esempio, alle elementari la maestra mi faceva sedere per terra, in un angolo, dentro una stella a cinque punte disegnata col gesso e circondata da ceri da morto e teste d’aglio. Era molto difficile fare colpo sulle donne in quelle condizioni. Fino a qualche anno fa, se si guardava sul dizionario Zanichelli alla voce “egoismo”, c’era la mia foto. Poi è stata tolta perché giudicata diseducativa.
In realtà io non sono egoista e per dimostrarlo ho deciso di dedicare dieci minuti della mia giornata al mondo.
Tutti siamo d’accordo sul fatto che il mondo ha moltissimi problemi, ha talmente tanti problemi che le disgrazie non fanno praticamente più notizia. Se uno vuole fare uno scoop deve parlare di qualcosa che sta andando liscio, per esempio la temperatura globale che resta esattamente quella che è, un leader politico italiano che abbia delle sembianze umane o il Papa che ritrova il cervello.


Com’è finito qua dentro?

Che cosa, Santità?

Il mio cervello. Chi l’ha messo qua dentro?

Santità, è solo la rotula di San Loris da Rioveggio. Vede, è anche scritto sulla base del reliquiario.

Sì, certo... a parte che quando Ines fa le pulizie, qua dentro è tutto un casino. Ti ricordi quando ha messo il femore di Sant’Egidio al posto del pene di San Damiano?

Abbiamo avuto un sacco di conversioni quel giorno.

Questo è il mio cervello, non una santa reliquia.

Ne è proprio sicuro?

Cento per cento.

Okay, glielo prendo.

Finalmente anch’io potrò guardare il tenente Colombo e indovinare l’assassino.

Tenga.

Da’ qua...

Santità, si sente bene?

...

Santità.

Perché sono vestito come un pagliaccio?


Ma il problema più grande di tutti è la povertà. Chi può metterlo in dubbio? In un mondo veramente giusto tutti dovrebbero avere i soldi di Bill Gates, cinque Ferrari, la villa in Sardegna e la servitù. Tutti.
Per questo motivo ho deciso di divulgare la mia rivoluzionaria teoria economica: abolire tutte le banche centrali del mondo e consentire alla gente di farsi i soldi in casa con la stampante, così ognuno potrà stamparsi la moneta che preferisce: la lira, la dracma, il coriandolo, qualsiasi cosa, a volontà.
Bene. Ora mi siedo sul divano e aspetto che mi chiamino in tv a parlare di economia.

VOTA GRILLO

So di dire una cosa popolare e me ne scuso, ma io spero che Grillo vinca le elezioni. E questo nonostante lo disprezzi.
Lo disprezzo non tanto per le sue idee politiche (Grillo non ha idee politiche), né per la sua plateale ignoranza (chi oggi non parla di economia, medicina o previsioni del futuro senza saperne assolutamente niente?) e nemmeno perché va a braccetto coi complottisti (caso mai disprezzo i complottisti perché vanno a braccetto con Grillo), io lo disprezzo semplicemente per la persona che è: un comico piagnucoloso e saccente uscito da un varietà degli anni Ottanta. Ciononostante io spero sinceramente che lui e il suo “movimento”, anzi il suo “““““““““““““““movimento”””””””””””””””, vincano le elezioni. Per tre motivi.
Primo perché mi piace la Storia. Una cosa che mi sono sempre chiesto è: com’è che si passa dalla propaganda populista alla dittatura? Cosa può portare milioni di persone a mettersi volontariamente nelle mani di un mitomane paranoico che ha scambiato il mondo per un gioco in scatola? Si dice la crisi economica, il proverbiale fanatismo del popolo, gli intellettuali compiacenti, okay, ma in pratica come funziona? Non voglio leggere libri di storia più o meno scritti bene che mi facciano delle ricostruzioni più o meno sensate sulla base di documenti più o meno attendibili. Se vado ad Auschwitz non voglio vedere cimeli o (sbadiglio) monumenti, voglio vedere i dinosauri. È sempre stato il mio sogno avere una macchina del tempo e vedere come sono andate veramente le cose: Socrate ha bevuto la cicuta di proposito o pensava fosse un sorbetto? Mosca è stata incendiata dai russi in fuga o Napoleone si è addormentato con la pipa accesa? In che modo un comico simpatico come una gastroenterite riesce a diventare un dittatore? Wow! Un dittatore comico! Il fenomeno più incredibile dell’universo dopo l’universo stesso! È uno spettacolo che vale il prezzo del biglietto (33 € platea, 26,50 € tribuna centrale, 20 € tribuna laterale). Uno spettacolo appena iniziato e che posso godermi in diretta dall’inizio alla fine. Certo, è vero che adesso ci sono le elezioni europee e non le politiche, ma questi sono dettagli insignificanti.
Il secondo motivo è che indignarsi è bello. È bello vedere milioni di sedicenti amanti della democrazia che vanno dietro a uno che promette di cancellare i partiti altrui, di chiudere i giornali e che sogna elezioni dove i voti si danno come i like. Ti fa sentire moralmente superiore. Senza contare che una giusta dose di indignazione può dare quell’espressione seriosa che è tanto utile nei rituali di accoppiamento: ti avvicini a una donna che legge sola in treno, ti passi una mano fra i capelli arruffati e le sussurri nell’orecchio “TUTTI A CASA!!!1!”.
Poi c’è il terzo motivo, il più importante. Il mio insegnante di pianoforte mi ha detto che se non studio almeno sei ore al giorno non diventerò mai un grande pianista (non ho ancora avuto il coraggio di dirgli che non ho cinque anni). Quindi ho bisogno di suonare e quando suono ho bisogno di essere calmo e concentrato, e se c’è una cosa che mi distrae tantissimo sono le coppie male assortite. Il solo sapere che esistono mi fa venire la montata lattea. A me piace che le cose, tutte le cose, siano al loro posto. Mi piace il tg delle otto alle otto, la pizza friarielli e salsiccia senza il pomodoro, lo Champagne nelle apposite coppe settecentesche e, soprattutto, mi piacciono le coppie ben assortite. Ora, mi sembra evidente che Grillo e il cosiddetto popolo italiano siano fatti l’uno per l’altro: stesse competenze (inesistenti), stesso umorismo (televisivo), stessi miti (il popolo italiano), stesse capacità dialettiche (130 decibel). Grillo e l’Italia sono indiscutibilmente una coppia perfetta e io voglio che stiano insieme per sempre. Sarebbe bellissimo.
Ma se perde e torna a fare Sanremo, mi accontento.

IL CONSULENTE