IL CAMPANILISTA

Io non ho mai capito il campanilismo. Già faccio fatica a capire il nazionalismo, figuriamoci il campanilismo. E di tutti i campanilismi quello che capisco meno è il campanilismo non per una regione, non per una città, non per un paese minimamente rinomato, ma per un minuscolo e insignificante paesello come ce ne sono milioni. Voglio dire, non c'è niente di male a essere affezionati al posto dove si è nati, l'affetto è sempre una bella cosa, e non c'è niente di male nemmeno a voler sempre informare tutti sul proprio luogo di origine, come fanno i prosciutti, ma quando uno inizia a dire che il pane del suo paesello è il più buono, che l'aria del suo paesello è la più sana, che la gente del suo paesello è la più gentile, questo non vuol più dire essere affezionati alle proprie origini, questo vuol dire avere una tara (un attimo che controllo che "tara" sia proprio la parola che cercavo.

Tara s.f. -  Malattia, anomalia o deformazione ereditaria, o altro difetto che comunque comprometta l’integrità fisica o psichica di un individuo.

perfetto) e infatti le tare sono il risultato di anni e anni passati a riprodursi fra parenti nello stesso paesello.
Il campanilismo è una limitazione abbastanza grave per chi ce l'ha, perché gli impedisce di apprezzare cose come il saté indonesiano o la cirimoia peruviana, e lo costringe ad accartocciare tutta la sua esistenza attorno alle usanze e alla mentalità di un frammento di pianeta dove la cosa più interessante è la sagra dell'oloturia mantecata. E fin qui problemi suoi, i problemi tuoi iniziano quando, una persona così, sei costretto a frequentarla, magari perché è un collega o un amico di un amico o il cugino di un'amica di tua sorella eccetera, e ogni volta che ci esci devi sorbirti tutto il suo repertorio di frasi tipo "questo lo sanno fare solo al mio paesello", "quest'altro non succederebbe mai al mio paesello", "il mio paesello qui", "il mio paesello là"... ma scópatelo il tuo paesello!
Chiedo scusa, mi è ascesa l'ira. Non succederà più.
La mia irritazione verso questo tipo di essere umano è dovuta al fatto che tempo fa me ne è toccato in sorte uno di nome Gianluigi, l'allora compagno di un'amica di Sandra (quella della capsulite adesiva). Sandra è ok, l'amica di Sandra è ok, per qualche motivo il compagno dell'amica di Sandra non era neanche lontanamente ok, anzi era decisamente non-ok, la personificazione stessa del Non-Essere-Ok, come direbbe Heidegger. Ogni tanto capitano questi abbinamenti male assortiti, soprattutto quando ci sono di mezzo i rapporti sessuali.
Gianluigi veniva da un paesello talmente "ello" che probabilmente non esisteva neanche sulle mappe, e come tutti i campanilisti che sono costretti a lasciare la loro amata terra non parlava d'altro. Letteralmente. Non ho mai visto una persona così monotematica, era esasperante; di qualsiasi cosa si stesse parlando, non importa quanto fosse lontana da ogni possibile collegamento con pane, salumi e olive, Gianluigi riusciva sempre (sempre) a riportare il discorso al suo paesello.

– C'è uno che mi deve 200 euro da due anni e nel frattempo si è comprato una Porsche, ti rendi conto?
– Al mio paesello ce l'hanno tutti, la Porsche.
– L'estate scorsa ho visto Andromeda col binocolo, fa quasi impressione.
– Il mio paesello fa molta più impressione.
– La diffrazione è un fenomeno che si manifesta quando un'onda incontra un ostacolo.
– Paesello.

Anche quando se ne stava in silenzio, mi sembrava che il suo respiro facesse un verso tipo: paaae... sello... paaae... sello...
Non era un cattivo ragazzo (almeno credo) e all'inizio i suoi racconti erano anche interessanti, come sempre è interessante sentire parlare di posti che non si conoscono, ma quanto si può resistere? Un conto è se uno ti parla delle isole Adamane, per dire, ma dopo il duecentottantaseiesimo aneddoto su Fregazzano del Passero, la serata inizia a prendere una brutta piega. Io credo che l'alcol sia stato inventato proprio per sopportare gente come Gianluigi.

– Leonardo cita per ben tre volte un manuale di agrotecnica scritto da un inventore nato nel mio paesello.
– Eh ehh.... pa.,eselo..x

Al tempo in cui frequentavo Gianluigi ero molto ingenuo. Per esempio pensavo che per spostare il discorso su qualcos'altro fosse sufficiente fargli tanti complimenti per l'incredibile fortuna di nascere in un posto così meravigliosamente meraviglioso e voltare pagina, e invece no. Regola numero 1 quando si frequenta un campanilista: il campanilista non vuole complimenti e non gli fa per niente piacere se anche tu ti metti a decantare le prodezze culinarie e paesaggistiche del suo paesello. Che ne puoi sapere tu del suo paesello? Solo perché una volta hai mangiato l'oloturia mantecata, adesso pensi di poter dire che è il tuo piatto preferito? Sicuramente ne avrai mangiata una versione imperfetta e corrotta da ingredienti spuri, di quelle che si fanno all'estero (i.e. nei comuni limitrofi), ma la vera e originale oloturia mantecata la si può apprezzare solo in un posto e, va da sé, la può apprezzare solo ed esclusivamente uno del posto.
Regola numero 2: quello che il campanilista vuole da te è che tu, straniero, ti metta a decantare il tuo, di paesello, e che insieme facciate la gara a chi ha il paesello più lungo.
E poi succede questo. Al tempo andavo in un ristorante che faceva piatti tradizionali della regione di Gianluigi, me lo aveva fatto conoscere Sandra e in poco tempo era diventato uno dei miei ristoranti preferiti. Un giorno, del tutto casualmente, scopro che i proprietari sono originari proprio del paesello di Gianluigi. Che coincidenza. Quando riferisco la cosa a Gianluigi (sì, lo so, errore mio), lui fa una faccia come se gli avessi appena detto che ho ritrovato i suoi genitori dispersi in antartide durante la prima guerra mondiale. Il tempo potrebbe avere corrotto i miei ricordi, ma a me sembra che abbia pianto.
Il risultato è scontato: Gianluigi prenota istantaneamente un tavolo per sei nel predetto ristorante per la sera del giorno dopo, e con "sei" intendo io, Gianluigi, Sandra e i rispettivi compagni, tutti insieme a cena in un mercoledì sera qualsiasi solo per accontentare Gianluigi.
Per l'occasione Gianluigi si veste come per un matrimonio, il suo, più precisamente il suo matrimonio con se stesso, e già questo mi faceva sentire abbastanza in imbarazzo, era come se stessimo portando a cena lo zio rincoglionito. Nemmeno la sua compagna mi sembrava molto a suo agio, a giudicare dagli sguardi che ogni tanto rivolgeva agli altri, sguardi che sembravano dire "eh eh... ehm, cioè... ah ah...". La chiameremo Gianluigia.
Gianluigia non era originaria del paesello di Gianluigi, il che ha perfettamente senso perché il campanilista, quando non è in patria, ha costantemente bisogno di orecchie straniere da ragguagliare sulle infinite e non numerabili meraviglie del suo paesello, e quali migliori orecchie di quelle della persona che si è incautamente voluta legare in un patto di frequentazione sistematica e prolungata? Una volta Gianluigia ha raccontato a Sandra che, quando lei e Gianluigi si sono conosciuti, lui le parlava come se si stesse rivolgendo a una tedesca.

– Tu è bellissima, Gianluigia. E quali occhi tu ha!
– Grazie, Gianluigi. Sei proprio carino, io però... ecco... io credo di essere lesbica.
– No problema, io piace lesbica.

Ok, dimentica questo dialogo, volevo solo citare questo film


Almeno credo che sia questo film.
Comunque, Gianluigi entra nel ristorante e si comporta come se fosse a casa sua, e non per modo di dire, fa letteralmente il padrone di casa nonostante fosse la prima volta che metteva piede in questo posto: saluta i proprietari come fossero suoi amici, ci accompagna di persona al tavolo che ritiene il migliore e inizia a descriverci il menù senza nemmeno bisogno di aprirlo. Io lo guardo sconcertato, questo sfoggio di confidenza e la reazione estremamente benevola dei proprietari mi stavano facendo ricredere sulla poca verosimiglianza dei racconti campanilistici di Gianluigi e per un attimo mi sono ritrovato a pensare che, forse, Gianluigi non era un patetico coglione, ma era davvero uno dei pochi eletti a essere nati in un meraviglioso paesello dove la gente è la più gentile, l'aria è la più sana e il pane è il più buono. Ma, come detto, quest'impressione dura poco, il tempo di arrivare agli antipasti. Quando ce li portano, Gianluigi prende su di sé il compito di descriverli e questo produce una chiara espressione di fastidio in chi ci stava servendo, espressione che non sono l'unico a notare, visto il modo imbarazzato in cui si guardano Sandra e il suo compagno (Sandro) e il calcetto che mi dà Maria Paola (la mia compagna), un calcetto impercettibile e affettuoso che significa più o meno "con chi cazzo mi fai uscire?".
I primi piatti ci vengono serviti dal proprietario in persona (brutto segno) e quando Gianluigi tenta di fare lo stesso giochino che aveva fatto poco prima col cameriere, il proprietario, senza farsi intimorire, lo contraddice. Lo contraddice con gentilezza, ci mancherebbe, ma non con la famosa gentilezza che dovrebbe essere tipica del paesello Gianluigiano, ma con la più prosaica gentilezza di un banale rapporto venditore - cliente.

– No, caro cliente, nell'oloturia mantecata non si mette la ricotta.
– Beh, ma nella ricetta originale si mette.
– Questa è proprio la ricetta originale.
– Sì, certo... ma ogni tanto, dico... ogni tanto si mette.
– Mai.
– Beh... ma...
– Niente ricotta.
– Comunque è buonissimo.
– Grazie.

Ma il bello arriva nella fase caffè/ammazzacaffè (bello nel senso di "bello"). Dopo che ognuno di noi ha diligentemente finito di bere i suoi caffé, i suoi gingseng in tazza grande, i suoi orzi non zuccherati con scorza di mandarino biologico non trattato, Gianluigi, con la massima disinvoltura e senza preannunciare a nessuno le sue intenzioni, si alza dal tavolo, apre la vetrina dei superalcolici (vetrina che in tutti i mesi in cui avevo frequentato questo ristorante avevo visto maneggiare solo dal personale di bordo) e, senza chiedere il permesso a nessuno, lì, da solo, in piedi in mezzo ai tavoli, si versa un bicchierino di Rosolio di Cetriolo, una delle "tante" "famose" "prelibatezze" del suo paesello.
Vista la sicurezza con cui conduce a termine questa operazione, reprimo la mia ansia e mi convinco che deve essere per forza una tipica usanza del suo paesello, del resto, mi dico, nel mondo ci sono quei posti dove è considerata buona educazione ruttare, magari al paesello di Gianluigi è considerata buona educazione svuotare le bottiglie dei ristoranti. Dico "svuotare" perché Gianluigi fa questa manovra più di una volta: si versa il suo coso, lo beve al tavolo con noi, poi si alza di nuovo, apre la vetrina, se ne versa un altro bicchierino, lo beve al tavolo e così via, per una mezz'ora buona, il tutto sotto gli occhi dei proprietari che lo osservano da un angolo della sala. Lo osservano piuttosto freddamente, bisogna dire, ma, mi dico, in che altro modo dovrebbero guardare un cliente che espleta una tipica usanza del loro comune paesello?

– Volete un po' di Rosolio di Cetriolo anche voi?
– No grazie, Gianluigi, io sono a posto.
– Gianluigia? Sandro? Sandra? Maria Paola? Nessuno?

No, Gianluigi, nessuno, anche perché è da un pezzo che siamo rimasti solo noi nel ristorante e chiunque non sia un egocentrico egotista egomaniaco si sarebbe facilmente reso conto che non siamo più graditi, ma questo non glielo dico.
Finalmente arriva il momento di pagare: conti separati, come si faceva da giovani, e quando arriva il turno dei Gianluigi, succede la seguente cosa: Gianluigi, che naturalmente si autoincarica di elencare tutto quello che hanno ordinato lui e Gianluigia, omette il Rosolio di Cetriolo. Se ne sarà dimenticato, penso, e infatti la proprietaria dice

– Ti sei dimenticato il Rosolio di Cetriolo, caro cliente.

Ok, penso, tutto risolto, ora Gianluigi si scuserà, dirà qualcosa come "sì, è vero, ah ah, come ho fatto a dimenticarmelo?" e tutti ce ne andremo a dormire e ci metteremo alle spalle questa sgradevole serata e invece no, Gianluigi risponde

– Quale Rosolio?

Proprio così, "quale Rosolio?". Ci voltiamo tutti all'unisono verso di lui, increduli, Gianluigia compresa, e lo guardiamo con una faccia che inequivocabilmente dice "perché lo stai facendo"?

– Il Rosolio di Cetriolo, caro cliente. Ti è piaciuto, vero?
– Ma io non... cioè io...
– Sì, e ti deve essere piaciuto molto, perché te lo sei bevuto quasi tutto.

Non sto inventando niente. Queste sono le esatte parole che la proprietaria ha pronunciato, le ricordo bene perché, essendo io lì nel ruolo ufficiale di "accompagnatore di Gianluigi", ho provato così tanta vergogna che, per la prima volta, ho capito perfettamente il senso della frase fatta "mi sarei sotterrato". Gianluigi non ribatte più, nemmeno con una banale scusa, giusto per salvare le apparenze, ma si limita a pagare il dovuto. Dopo di che ce ne andiamo.
Fuori dal ristorante facciamo tutti finta di niente, sorridiamo, diciamo due battute e ci salutiamo ripromettendoci di rivederci presto, come si fa sempre, ma non era vero, non solo non ci siamo più rivisti tutti e sei insieme, ma nessuno di noi ha più rimesso piede in quel ristorante.
Da quella sera non ho più rivisto Gianluigi, non so che fine abbia fatto. Invece so che ora Gianluigia sta con un tedesco e vive felicemente con lui e i loro due figli a Valencia.