UOMINI E CANI
I cani sono migliori degli uomini. Anche i gatti lo sono, certo, e i delfini, i maiali, il vitello tonnato e tantissimi altri animali, ma ora concentriamoci sui cani.
I cani sbavano, è vero, non posso negarlo; poi hanno questa curiosità un po’ morbosa per l’odore dell’ano altrui, che, voglio dire, è un po’ inquietante; non si fanno la doccia, mai, nemmeno se insisti, e nessuno di loro ha mai scritto un libro anche solo lontanamente leggibile, neanche uno, eppure sono migliori degli uomini. Non dico solo sul piano morale, quello è scontato, dico proprio come esseri umani: i cani sono persone migliori. Dimostrarlo è molto facile.
Prendiamo una data a caso e guardiamo le prime notizie di BBC news. Per esempio, 4 marzo 2018.
Gente bombardata, un calciatore morto, una guerra commerciale, adolescenti assassinati, gli Oscar. Cinque notizie, cinque sventure: quattro causate dagli uomini, una dal caso, zero dai cani, che, com’è noto, non farebbero mai una cosa orribile come la cerimonia degli Oscar.
È solo una questione di bilancio tra la quantità di infelicità e la quantità di felicità che uno immette nel mondo. Quanta infelicità mondiale producono gli uomini? Anche se trascuriamo le guerre, i genocidi e le altre cose spettacolari, restano comunque tutti quei piccoli comportamenti fastidiosi, quelle cose quotidiane che magari sono troppo banali per finire sui giornali, ma che se le metti tutte insieme fanno tre o quattro guerre mondiali, cose tipo abbandonare l’immondizia in strada, parlare nell’area silenzio, parcheggiare sulle strisce pedonali, saltare la coda, mandare messaggi vocali superiori ai cinque nanosecondi e così via, tutte cose che prese singolarmente possono anche essere sopportabili, ma tutte insieme ti stroncano.
E oltre a tutto questo, oltre a tutta questa infelicità che gli uomini elargiscono così generosamente ai loro simili, va anche aggiunta l’infelicità che ognuno di noi dà a se stesso. Perché è questo il bello dell’uomo, non solo peggiora la vita degli altri, ma è un maestro anche nel peggiorare la propria. Ci sono tantissime tecniche con cui uno riesce a rovinarsi la vita: i rancori, le ripicche, l’invidia, ma ce n’è una che le batte decisamente tutte: l’amor proprio. Sia chiaro, un po’ di amor proprio ci vuole, è ovvio, se no uno diventa uno zerbino ambulante, ma quando l’amore che uno prova per se stesso è superiore a qualsiasi riconoscimento che può ricevere, allora questa persona è destinata alla frustrazione eterna. L’amor proprio è come un buco nero, tu ci butti dentro roba pensando di soddisfarlo: complimenti, like, presunti successi personali, ma il buco, invece di richiudersi, si ingrandisce, e più roba ci butti dentro più lui si ingrandisce, fino a risucchiare te e tutta la tua vita. Per essere frustrati non c’è bisogno di essere dei cosiddetti falliti. Prendi Donald Trump, per esempio. Donald Trump sembra lo stadio Super Sayan di Berlusconi. Uno penserebbe che quest’uomo, essendo ricchissimo e potentissimo, debba essere la persona più soddisfatta del mondo, e invece è un frustrato di merda. Sempre incazzato, sempre pieno d’odio, e la gente che mediamente trovi in rete è uguale a lui. Sono anni che lurko le discussioni della gente su internet e non ho mai, dico mai, trovato uno che dica “ah sì, scusa, ho detto una cazzata”. Mai. Di solito le discussioni sono così:
Bellissimo film.
Orribile.
Si vede che non l’hai capito.
Se l’hai capito tu che sei analfabeta funzionale...
Fascista.
Fascista.
Fascista.
Fascista.
E così via.
È incredibile, no? Nonostante le innumerevoli cause di infelicità naturale che già esistono al mondo, terremoti, tsunami, malattie, gli uomini sfruttano la loro intelligenza superiore per autoinfliggersene di nuove.
I cani invece sono gente semplice. Per carità, anche loro producono una certa dose di infelicità mondiale, per esempio sporcano il terrazzo, abbaiano tutta la notte senza motivo e, se non stai attento, possono mangiare il gatto, ma è poca roba, niente in confronto alle tonnellate di felicità pura e immediata che regalano ai loro padroni.
Chi è che ti vuole bene come un cane? La mamma, forse; in certi casi il tuo coniuge; gli amici no di certo, nessun amico è mai così felice di vederti da volerti leccare tutto; i figli non parliamone, un figlio ti vuole bene fino alla pubertà, poi, quando meno te l’aspetti, ti fa rinchiudere in un ospizio. Un cane non ti metterebbe mai in un ospizio, piuttosto viene a vivere con te sotto un ponte.
Ma non è solo per questo che i cani sono migliori. Per esempio a me il loro affetto non interessa. Non che mi siano antipatici, è solo che ho problemi a frequentare chi non si lava i denti, soprattutto quando il suo hobby preferito è leccarsi le palle. Cioè, tanto di cappello, eh, bravi, però ognuno per la sua strada, e questo è per l’appunto l’altro pregio dei cani: se tu non li vuoi frequentare, loro non ti frequentano, fine. Non mi è mai successo che un cane mi abbia inchiodato sul pianerottolo di casa per un’ora cercando di vendermi “Torre di guardia” o “Lotta comunista”. Ah giusto, anche questa cosa: nessun cane ha mai teorizzato mondi utopici nei quali, chissà come mai, in nome di un grande bene comune è sempre necessario che gli altri rinuncino a più o meno piccole libertà private. Solo gli uomini sono specializzati in questo tipo di cose, dei veri e propri talenti naturali nel rompere le palle al prossimo. Gli uomini e le zanzare.
Quindi si può dire che i cani, complessivamente, contribuiscono ad aumentare il livello di felicità mondiale, mentre gli uomini contribuiscono ad abbassarlo, e, se siamo d’accordo che rendere felici gli altri sia meglio che renderli infelici, da ciò segue che i cani sono migliori degli uomini.
Secondo lo stesso ragionamento, anche il lievito della pizza è migliore degli uomini.
Mi ero promesso di non mettere piede su Instagram e ovviamente ora sono su Instagram: @a_smeriglia.
Solo coincidenze?
Solo coincidenze?
I RISPARMI DI UNA VITA
Una delle mie regole di vita è sempre stata: “se uno ti propone un affare incredibile, l’affare è per lui, non per te”, se poi questo qualcuno è seduto dietro la scrivania di una banca, la regola si riduce a “scappa”. È comodo avere delle regole, perché così non devi rifare ogni volta tutto il ragionamento da capo per arrivare alla stessa conclusione, se va bene, o, se va male, alla conclusione sbagliata. È come con la matematica, un teorema lo dimostri una volta per tutte e poi non ci pensi più, lo usi e basta, non è che parti dagli assiomi di Peano ogni volta che devi dividere il conto del ristorante. Così, quando mi trovo davanti a uno che inizia a fare grandi discorsi che contengono la parola “investimento”, io chiudo istantaneamente i boccaporti delle orecchie e inizio a riflettere sulla differenza fra l’essere del fenomeno e il fenomeno dell’essere, e la stessa cosa faccio appena sento le parole “dio”, “omeopatia”, “complotto massonico”, “patriarcato”, “lettiera del gatto”, “Fedez” e tante altre ancora, poi però, siccome non sono perfetto, mi può succedere di non dare ascolto alle mie stesse regole e quando questo succede, naturalmente, me ne pento.
È quello che mi è successo un paio di anni fa, quando sono dovuto andare in banca perché mi serviva un certo servizio, chiamiamolo così. La cosa mi preoccupava molto, primo perché qualsiasi cosa mi preoccupa molto, anche ordinare la pizza, e, secondo, perché non era per niente scontato che la banca acconsentisse alla mia richiesta, non tanto per la richiesta in sé che, in fondo, voglio dire, non era poi chissà che, ma perché in generale è molto difficile che le persone acconsentano alle mie richieste, per quanto semplici e inoffensive possano essere. Non so perché, forse è colpa del mio caratteristico aspetto da persona predisposta a subire in silenzio, fatto sta che in generale, quando una persona si accorge di essere stata messa dalle circostanze in una posizione di provvisoria superiorità nei miei confronti, inizia subito a comportarsi come Eliogabalo, l’imperatore romano noto per la sua eccentricità e la sua dissolutezza, in questo caso un imperatore con un unico suddito: me. Da questo deriva un’altra delle mie più ferree regole: “mai chiedere niente a nessuno, perché chiedere ti mette in condizione di inferiorità e poi la gente se ne approfitta”, però in quel caso come facevo? Ero obbligato a chiedere alla banca questo famoso servizio, ne andava del buon esito delle mie vacanze estive, e così sono entrato, ho aspettato il mio turno, ho esposto il problema all’uomo dietro la scrivania, l’uomo dietro la scrivania ha fatto venire il direttore della filiale, il direttore ha telefonato alla sede centrale e, a quel punto, mi aspettavo che avrebbero chiamato Mario Draghi in persona, e invece no, Mario Draghi era fuori a pranzo.
“Certo, siamo un po’ stretti coi tempi e andrebbero fatte altre verifiche” mi dice il direttore, “ma come possiamo dire di no a un cliente come lei?”. Chiaramente era solo una lusinga e quando uno ti lusinga è sempre perché vuole qualcosa (altra regola). Ora, trovandomi io in una banca, cos’altro poteva volere da me il suo direttore? Un film di animazione ispirato all'Orlando Furioso. No, scherzo, soldi. I miei soldi, per la precisione.
Appena gli sento pronunciare la parola “investimento” inizio la procedura di immersione dentro me stesso, ma ormai era tardi. Purtroppo il mio cervello era inavvertitamente slittato su un altro set di regole, quelle relative alla situazione “elemosina”, regole che fanno più o meno così: “quando un barbone ti chiede dei soldi, prima glieli dai e prima te ne liberi”. Non so come sia successo, sarà stato per la cravatta leggermente allentata che dava al direttore quell’aspetto un po’ vissuto, o forse per la giacca di un grigio diverso da quello dei pantaloni, fatto sta che per riuscire ad andarmene dovevo prima dare qualche euro a quell’uomo.
Così, per la prima volta nella mia vita, faccio un investimento. Quattro investimenti, per la precisione, perché io quando faccio una cazzata devo farla in grande stile. “Sono investimenti a lungo termine” mi dice, “non li controlli tutti i giorni, eh”. “Eh eh...” rispondo io con una goccia di sudore sulla fronte e la mattina dopo, naturalmente, la prima cosa che faccio è aprire il computer e controllare i miei investimenti, e lo stesso faccio la mattina dopo, e quella dopo, e così via per un paio d’anni. La mia regola sulle proposte di investimento si era rivelata esatta, ma l’avere ragione non mi dava nessuna gioia, perché giorno dopo giorno vedevo evaporare quelli che tecnicamente potremmo definire i risparmi di una vita. Certo, non sono molti, ma sono miei, e tanti o pochi che siano io ci tengo. Credo sia lo stesso con i figli.
Devo recuperare i soldi persi, mi dico. Che ci vuole? Tutti riescono a fare soldi con la finanza, perché non dovrei riuscirci io che non ho studiato economia? Inizio a guardare tutti i fondi disponibili sul mercato: azionari, obbligazionari, bilanciati, hedged, non hedged, fondi di fondi, fondi di fondi di fondi, è incredibile quanti ne esistano, ognuno col suo storico dei rendimenti e i suoi indici descrittivi: lo sharpe, la volatilità, il DSR, il VAR 95... qualcuno di questi ho anche capito cosa significa. È proprio vero che i mercati ti rendono cinico, in tutte queste ricerche non ho mai guardato la composizione del fondo ma solo quanto potesse rendermi, se poi dentro c’erano fucili mitragliatori o grissini al gusto pizza, io non ci facevo caso. Io dovevo recuperare i miei soldi. Recuperare i miei soldi e poi magari, perché no, diventare ricco. Già sognavo una villa d’epoca col giardino alla francese, le statue antiche intorno allo stagno con le ninfee, il campo da tennis, i saloni da ballo coi soffitti stuccati, grandi vetrate a parete, la libreria coi pannelli di quercia, i corridoi di marmo colorato, il caminetto monumentale, la doccia di granito grande come un appartamento, la serra con tutte le piante del mondo compresa la cannabis e naturalmente almeno tre Lamborghini, una gialla, una blu opaco e una bianca decapottabile. Se non esiste decapottabile, me la faccio costruire, e se non me la costruiscono mi compro tutto lo stabilimento e gli do fuoco e poi, la sera, lo guardo bruciare da lontano, ammirando i bagliori dell’incendio che illuminano le nuvole come il sole al tramonto, mentre io me ne sto beatamente seduto nella mia terrazza neoclassica a sorseggiare una pregiatissima bottiglia di champagne decapottabile.
Trovo un fondo azionario che sembra fare proprio al caso mio, un fondo che, dice la descrizione, “mira a massimizzare il rendimento investendo a livello mondiale almeno il 70% del patrimonio in azioni di società operanti prevalentemente nel settore tecnologico” e massimizzare il rendimento è esattamente quello che voglio fare io, e poi è una bella cosa che investa nel settore tecnologico (prevalentemente) e non in quello dei fucili mitragliatori. Certo, è classificato come fondo ad alto rischio, ma, mi dico, sono anni che il suo prezzo sale, nel 2015 è salito del 15,40%, nel 2016 dell’8,70%, nel 2017 del 33,02%, cioè, voglio dire, 33%! Se uno avesse investito 1000 euro il 1° gennaio del 2017, alla fine dell’anno avrebbe guadagnato 330 euro, così, senza fare niente. L’entusiasmo è alle stelle. Entro nell’account della banca e faccio la mia puntata su questo magnifico fondo tecnologico. Vai, bello! Corri più forte del vento!
La settimana dopo c’è il crollo in borsa delle aziende tecnologiche di tutto il mondo. Il Wall Street Journal dice che non capitava dal 2011.
PRUDEMONTE
Tratto da “William Shakespeare – Frammenti ritrovati”
pp. 315-318 (Einaudi, 2001)
TESEO – Riponi l’arma!
PRUDEMONTE – Sono uomo onesto e di cuore aperto. Non vedo armi se non questa lama affilata.
ENOBARBO – Tregua signori, per pietà! Arriva il Re!
PRUDEMONTE – Venga pure. Ucciderò lui, la regina sua moglie, i suoi figli e i figli dei suoi figli, massacrerò i cortigiani e la servitù, i palafrenieri e tutti i cavalli delle scuderie, farò a pezzi anche il nobile nonno che con occhio amareggiato ci guarda da quella pittura a olio sul caminetto. Farò tutto questo, se necessario, e anche peggio finché la mia ira non sarà placata.
TESEO – Parole più odiose non avrebbe potuto pronunciare il diavolo in persona.
PRUDEMONTE – Tieni a freno la lingua, o te la stacco con un fendente.
ENOBARBO – Riponete le armi, signori! Vi scongiuro!
PRUDEMONTE – Difenditi, Teseo.
TESEO – In guardia!
PRUDEMONTE – Assaggia la mia spada!
TESEO – E tu prendi questo!
PRUDEMONTE – Ah! Para questo se ti riesce.
TESEO – Oplà.
PRUDEMONTE – Prendi, vigliacco.
TESEO – Ah!
PRUDEMONTE – Oh, ah!
TESEO – Ah! Prendi.
PRUDEMONTE – Ah!
TESEO – Tutto qua quello che sai fare? Ia-ha!
PRUDEMONTE – Ah, tieni questo!
RE – Che sta succedendo nella mia sala d’udienza?
ENOBARBO – Altissimo sire, il nobile Prudemonte, vostro pupillo, ha perso il senno! Straparla e sparge sangue innocente! Ha persino minacciato la vostra incommensurabile persona!
PRUDEMONTE – Taci per sempre, vile sicofante.
ENOBARBO – Ah, muoio!
RE – Deponete le armi nobili signori e risolvete la questione secondo il vostro rango.
PRUDEMONTE – Non prima di aver reso il dovuto a questa infame canaglia.
RE – Guardie, all’armi!
TESEO – Mi ha colpito! Son morto.
RE – Che hai fatto, sciagurato?
PRUDEMONTE – Giustizia, sire. Né più, né meno.
RE – Ma quale giustizia! Teseo era tuo fratello!
PRUDEMONTE – Voi mentite!
RE – Lo giuro sulla tomba della tua amatissima cagnetta, e questi sono i tuoi figli: Big Tits e Free Porn Movies.
BIG TITS – Ciao Papà.
FREE PORN MOVIES – Babbo.
RE – Per lunghi anni li ho tenuti nascosti nella cisterna dei salatini, insieme al conte di Gloucester e Giancarlo Pomata, rispettivamente tuo cugino in seconda e il compagno di banco del fratello di latte di Mardiano, che ancora non conosci.
PRUDEMONTE – Ah sì? Lodate la mia riconoscenza, Sire!
BIG TITS – Ah, son morto!
FREE PORN MOVIES – Son morto anch’io!
CONTE DI GLOUCESTER – Anch’io!
GIANCARLO POMATA – E anch’io!
RE – Che hai fatto?
PRUDEMONTE – E ora tocca a voi.
RE – Guardie! Presto! Soccorrete la mia regale persona!
GUARDIE – Che accade? Avete chiamato, Sire? Dove sono i francesi?
PRUDEMONTE – Questo per le vostre menzogne!
RE – Troppo tardi arrivate, miei valorosi soldati. Sono ferito a morte.
GUARDIE – Ma i francesi dove sono?
PRUDEMONTE – Ce n’è anche per voi, sapete?
GUARDIE – Ah! Siam morti! Addio.
RE – Crudele Prudemonte. A tutti i miei figli, eredi di questo vasto regno, ti ho sempre preferito. Al mio fianco ti ho sempre fatto sfilare, a testa alta, fra il tripudio delle folle, col destriero riccamente bardato e le vesti degne del più ricco dei sovrani di Persia (che, fra parentesi, è il tuo allenatore di sumo delle elementari). Sfrontato e altezzoso eri già allora, quando ti trovai in fasce sotto una frasca del mio giardino incantato. Ahimè, ho io dunque trascurato la gloria della mia stessa stirpe per essere tradito in questo modo indegno?
PRUDEMONTE – Ancora parli? Prendi questo!
RE – Muoio!
PRUDEMONTE – Vittoria!
VITTORIA – Eccomi, mio carissimo nipote. Santo cielo, che è questa carneficina?
PRUDEMONTE – Ho vendicato il tuo onore violato.
VITTORIA – Ma che dici? Io e Teseo eravamo sposati. Regolarmente sposati in chiesa, capisci? Volevamo farti una sorpresa.
RE – Stavo per dirtelo, ma tu... tu...
PRUDEMONTE – Stai zitto!
RE – Son morto.
PRUDEMONTE – Dimmi che non è vero, zia! Dimmelo!
VITTORIA – No, Prudy, è tutto vero.
PRUDEMONTE – Oh, quale beffa! Volevo vendicare la mia amata zia e invece cos’ho fatto? Ho ucciso un sacco di persone innocenti e per di più sangue del mio sangue, almeno stando a sentire quello lì.
RE – È Così.
PRUDEMONTE – La vendetta non porta da nessuna parte, è proprio vero, e la violenza chiama solo altra violenza, come un circolo vizioso, come un cane che si morde la coda. La mia cagnetta lo faceva sempre, mordersi la coda, dico, e infatti non è che abbia mai risolto niente, però era simpatica, mi faceva compagnia. Se gli uomini fossero come la mia cagnetta non ci sarebbero le guerre e i terremoti e tutte le altre cose brutte. Lei sì che mi capiva, e adesso dov’è? Dov’è? Sottoterra, morta, e non tornerà più! Mai più! Non torneranno più quei bei momenti! Dove sei Batuffolo? Dove sei? Perché non hai attraversato sulle strisce come ti avevamo insegnato io ed Enrico V? Perché? Perché? Perché? Basta. Mi uccido. Ah. Son morto.
VITTORIA – Tutto questo mi avvilisce. Ora mi applico al seno questo aspide crudele e la faccio finita. Ah, muoio.
COME USARE TRIPADVISOR SENZA FARSI MALE
TripAdvisor è indiscutibilmente uno strumento molto utile, soprattutto quando ci si deve orientare in qualche città esotica, tipo Busto Arsizio, solo che bisogna saperlo interpretare. Il modo più sbagliato di usarlo è andare nei ristoranti primi in classifica. È ovvio, no? Quale classifica basata sulle opinioni della maggioranza potrà mai essere attendibile? La trasmissione più vista è il Festival di Sanremo, non il Festival dei Quartetti di Beethoven, il libro più venduto è qualcosa di Dan Brown e il film più visto ha sempre una o due scarrettate di supereroi. Per non parlare della democrazia. I politici fanno a gara per sembrare dei perfetti deficienti, e più sono deficienti più piacciono. Non dimentichiamoci che l’unico politico di sinistra che per un attimo ha goduto di un una certa popolarità, aveva la testa rettangolare. “Certo”, si potrebbe obiettare, “ma il cibo non ha niente di intellettuale. Uno sarà pur capace di capire se una pizza è buona o fa schifo, no?”.
No.
Questo funziona con i gatti, non con gli umani. Un gatto riesce a individuare con precisione chirurgica i croccantini da 11 euro al kg che ha nella ciotolina e scarta sistematicamente tutti quelli comprati al discount. I gatti saranno anche meno intelligenti degli umani, ma mica sono scemi. Gli umani, invece, oltre alla loro famosa intelligenza, hanno anche i pregiudizi, le aspettative, i campanilismi, l’autosuggestione, l’orgoglio personale, le fobie e tutta una serie di altre zavorre emotive che li rendono molto meno obiettivi di un gatto.
I primi ristoranti in classifica non sono i migliori, anzi spesso sono solo trappole per turisti, cioè per gente che potrebbe mangiarti anche una testa di cane se gliela metti nel menù come “rissoto alla boloniese”. Quindi, tanto per cominciare
REGOLA #1
Le recensioni positive non vanno lette.
Le recensioni positive non contengono nessuna informazione utile, perché il loro contenuto non ha niente a che vedere col sapore del cibo, ma solo col film che uno si sta proiettando nella testa. Ci sono tanti fattori che possono far sembrare prelibata una schifezza, ma il più efficace di tutti è certamente la cosiddetta “accoglienza dello staff”. Non parlo della semplice gentilezza, quella va benissimo, ci mancherebbe, parlo di tutta quella serie di insistenti e prolungate lusinghe che mirano a far sentire il cliente di passaggio importante, proprio come faceva la mamma quando lo imboccava facendo l’aeroplanino. La gente adora sentirsi importante e questo i proprietari dei ristoranti lo sanno bene, visto che da quando esiste TripAdvisor alcuni di loro si sono trasformati in veri e propri stalker. C’è chi ti racconta tutta la storia in sei volumi del suo fedele abbattitore oppure, fra un piatto e l’altro, ti invita ad alzarti dal tavolo per ammirare le “meravigliose” opere d’arte di produzione propria appese in giro nel locale. Non sto inventando.
Quadri e bagni, cosa si può desiderare di più? E poi magari, quando stai per uscire, ti dà pure un bigliettino con il logo di TripAdvisor, come a dire “ti tengo d’occhio”. È ovvio che in questo modo le recensioni sono tutte falsate.
Gli aspetti positivi di un ristorante, se ce ne sono, non vanno cercati nelle recensioni eccellenti ma in quelle pessime. Quindi
REGOLA #2
Leggere solo le recensioni pessime.
Se la gente scrive “porzioni piccole”, vuol dire che il cibo è servito con un minimo di attenzione all'estetica invece che essere versato in una mangiatoia.
“Costo del coperto eccessivo” significa che non è una mensa aziendale.
“Se la tirano”: sono discreti.
“Locale fighetto”: posate pulite.
“Le tagliatelle non si fanno così”: le tagliatelle si fanno esattamente così.
Eccetera.
Le uniche osservazioni negative da prendere in considerazione sono quelle che (a) riguardano l’incolumità fisica e (b) si ripetono. Direi che questa può essere considerata una regola.
REGOLA #3
Vedi sopra.
Uno che dice di essere stato male è solo un caso, due può essere una coincidenza, tre è meglio se stai a casa e ti fai un toast.
Poi
REGOLA #4
Dare un’occhiata alle foto.
Oggi la gente fotografa tutto e, per qualche motivo, tutto ciò che fotografa appare molto più squallido di com’è nella realtà: il bianco è giallino, i contorni sono mossi, i colori spenti e anche la più squisita delle leccornie può sembrare vomito fumante di balena. È come se le fotocamere dei telefoni avessero uno squallidificatore incorporato, un filtro che spalma uno strato di squallore su ogni cosa, non so se mi spiego.
Quindi, se dopo aver guardato un po’ di foto di un ristorante, non ti è passata la voglia di andarci, questo è sicuramente un buon segno, visto che la realtà potrà essere solo meglio. Da questo punto di vista le foto sono molto più eloquenti di qualsiasi recensione.
Infine una regola importantissima
REGOLA #5
Guardare come il proprietario risponde alle recensioni negative.
Che abbia torto o ragione non ha nessuna importanza, l'unica cosa che conta è la forma: se risponde in modo professionale è tutto ok, se invece sbrocca come un quindicenne su Facebook allora il ristorante va assolutamente evitato. Ecco un esempio.
Qui c’è anche un velo di xenofobia, che non guasta mai.
Chi non riesce a essere professionale nel rispondere a una banale critica, figuriamoci se riesce a esserlo nella gestione di un ristorante. Ognuno è come è, ed è tale in ogni aspetto della sua vita. Per esempio, io sono apprensivo, e lo sono sia quando chiamo l’ambulanza perché mi è andato un ciglio in un occhio, sia quando mi faccio l’anestesia totale prima di salire in aereo. La mia apprensione non è selettiva, è un mio modo di essere e la manifesto in ogni aspetto della mia vita. Lo stesso vale per la professionalità. Uno non professionale ti fa mangiare la cacca.
Naturalmente avrei molte altre regole da sciorinare, per esempio: considerare solo le recensioni nella lingua del posto (REGOLA #19) o assicurarsi che gli istogrammi delle recensioni abbiano un profilo gaussiano (REGOLA #127), ma non mi sembra il caso di dilungarmi oltre. Già queste poche regole dovrebbero impedire che si finisca in un posto dove servono teste di cane.
Oh, se poi capita, capita. Le si accompagni con un buon rosso (REGOLA #86).
ARTE CONTEMPORANEA E SUA INTERPRETAZIONE
Premesso che sono un totale ignorante di arte contemporanea, l'arte mi piace molto, in particolare quella contemporanea. Cioè, mi spiego, l'arte antica, quando mi piace, mi piace molto di più dell'arte contemporanea, di cui non capisco assolutamente niente, ma l'arte contemporanea è, non so come dire, più divertente. Per me i musei di arte contemporanea sono un po' come i luna park quand'ero piccolo. Invece l'arte antica è faticosa. Un quadro del Cinquecento mi piace solo quando riesco a capirlo, invece un'opera d'arte contemporanea mi piace anche quando non la capisco. Anzi, è proprio il non capirla che la rende interessante. Credo sia per questo che, quando qualcuno cerca di spiegarmi la cosiddetta visione dell'autore, perdo immediatamente interesse, l'opera diventa la banale trasposizione materiale di un concetto, e a me i concetti non interessano, a me interessa l'arte.
Per questo motivo cerco di informarmi il meno possibile sugli artisti della nostra epoca, cosa che mi riesce abbastanza bene, e appena posso corro in qualche museo di arte contemporanea a cogliere i frutti della mia ignoranza. Per esempio, qualche giorno fa sono andato al Mambo di Bologna e devo dire che mi è piaciuto tantissimo.
Questa è una delle prime opere che s'incontrano appena entrati
Un'installazione imponente che sembra invitarti a entrare, ma allo stesso tempo ti minaccia, perché l'entrata, lo stretto cunicolo attraverso cui bisognerebbe passare, ricorda l'ingresso di un loculo, pronto a richiudersi al tuo passaggio, con quella chiave rossa che probabilmente simboleggia il sangue e dunque la caducità umana.
Uno potrebbe obiettare "ma non avevi detto che spiegare l'opera significa banalizzarla?", sì, è vero, ma solo se sai di cosa stai parlando. In caso contrario provare a indovinare fa parte del gioco, come la Settimana Enigmistica.
Un'altra opera che mi è piaciuta molto è questa
Vernice su intonaco. In genere non amo i quadri con le scritte, ma questo, nella sua semplicità, ha qualcosa di così profondamente vero che toglie quasi il fiato. "Sono qui", è vero, ma qui dove? Destabilizzante.
Sarà che ho una predilezione per ciò che è assente piuttosto che per ciò che è mostrato, ma ho apprezzato molto anche questa
Credo rappresenti una sedia.
Non ho invece nessuna ipotesi plausibile su come interpretare questa meravigliosa scultura
Rappresenta forse la rinuncia ad ascoltare? L'isolamento individualista della nostra epoca? La supremazia del suono sull'immagine? L'esatto contrario di quello che ho appena detto? Bellissima.
E che dire di questa?
Uno sguardo freddo, quasi metafisico, sulla costante condizione di precarietà che da sempre caratterizza l'essere umano. Quando sono ripassato nello stesso punto, l'opera non c'era più. Geniale.
Ma non mancano le opere più tradizionali, come questa
che in qualche modo ricorda Burri, o questa
assai enigmatica, o questa
una figura umana ridotta alla sua cruda e angosciante inconsistenza, un'opera di grande impatto emotivo che l'artista, quasi a voler rimarcare il nulla che avvolge la nostra esistenza, non ha esitato a dipingere direttamente sulla porta del bagno.
Questa invece è un classico
Ho già visto quest'opera in tanti altri musei e ogni volta mi colpisce sempre. Per esempio questa è la versione che si trova al Museion di Bolzano
Non so se sia sempre dello stesso artista o di qualcun altro, non ha importanza, io fruisco quest'opera così com'è: potente, ossessiva, quasi folle.
Ma se proprio potessi scegliere un'opera da portarmi a casa, sceglierei senza dubbio questa
Meravigliosa, vero?
Non so cosa voglia dire, di certo non "Ontani".
ANCORA PRETI - COMPLETO
Ecco qua Ancora preti completo.
Ben 27 minuti. Che uniti ai 21 di Preti fanno 48 minuti!
Niente, volevo solo far vedere che so fare le addizioni.
Ben 27 minuti. Che uniti ai 21 di Preti fanno 48 minuti!
Niente, volevo solo far vedere che so fare le addizioni.
COSA REGALARE A SAN VALENTINO
Mancano solo cinque mesi a San Valentino e io non so ancora cosa regalarle. È difficile fare regali a chi conosci da tanto tempo: il libro gliel’ho già regalato, idem il dvd, il pensiero ben due volte e non è stato molto gradito, checché se ne dica. Una volta le ho regalato dei giochi di parole e la reazione è stata più o meno la seguente: fine della reazione. A volte penso che potrei regalarle dei fiori, ma sinceramente non ho mai capito a cosa servono. Che senso ha regalare un mazzo di fiori? Boh. E poi non vorrei ritrovarmeli per cena. C'è anche chi dice che la cosa più bella sia regalare dei soldi, così poi uno si compra quello che vuole, e secondo me è vero. Regalare degli oggetti precisi è rischioso, magari pensi di fare un piacere e invece stai solo dando un fastidio, come quelli che ti regalano un “bellissimo” portacandele artigianale e poi, quando vengono a trovarti, devi sempre ricordarti di andarlo a prendere in garage e metterlo sulla credenza. È molto fastidioso. Con i soldi invece non puoi sbagliare, così mi ero quasi convinto a farle trovare una busta con dentro un biglietto da 50 euro, magari accompagnato da una bella frase romantica tipo “50 euro per te, amore!”, ma poi ho notato che anche di questi biglietti ne ha già tanti, per cui niente, cosa le regalo? Perché deve sempre essere tutto così difficile? Ma San Valentino non aveva nient’altro da fare che fare regali alle fidanzate? Non poteva farglieli in silenzio?
Esco a fare un giro, forse un po’ di particolato ultrafine può aiutarmi a riflettere. Mentre cammino per strada, noto tutte queste persone immerse nelle loro faccende quotidiane e completamente ignare dell’imminenza di San Valentino. Pazzi.
Vado in palestra. Ho letto da qualche parte che fare ginnastica aumenta la circolazione dei neuroni nel sangue e questo è proprio quello di cui ho bisogno. Così entro in questo “covo di narcisisti senza dignità” (così si chiama la mia palestra) e subito mi metto agli attrezzi. Mentre sto facendo i tricipiti, noto che alla pectoral machine c’è Gino Strada.
“Ciao Luigi”, gli dico “ti spiace se ci alterniamo?”. Lui non sembra molto felice dell’idea, ma acconsente. È proprio vero che è una brava persona.
“Senti, Luigi”, gli dico “cosa potrei regalare a mia moglie per San Valentino?”.
“Sei sposato?”, mi dice lui.
“No”, gli dico io.
“Ah”, mi dice lui senza riuscire a nascondere un fremito di impalpabile perplessità che gli corse giù per la schiena come tante piccole briciole di ghiaccio pungente sotto il plumbeo cielo d’ottobre. Punto. Fine paragrafo. A capo.
Inizialmente mi parve perplesso, ma poi prese a cuore il mio dilemma e mi propose di danzare a casa sua. Timidamente, feci cenno di sì. “Feci”! Cazzo, lo sapevo! Cazzo! Ecco perché non uso mai il passato remoto. Ma come fanno gli scrittori a sentirsi a loro agio con tutti questi passati remoti? “Passati remoti”, giusto? O “passati remoto”? “Punti chiave”, “parole d’ordine”, “passati remoto”. Comunque, dico a Gino Strada di sì.
“Sì”, e aggiungo “danzerò per te”.
Lui alza i baffi in segno di pace e mi accompagna a casa sua a Borgo Panigale, dove ha un piccolo appartamento con vista sullo stabilimento della Ducati. Spettacolo. Mi fa salire in casa sua e in tinello trovo sua moglie Anna, una donna un po’ avanti con gli anni, diciamo 2065, molto gentile e ospitale, la quale mi spiega che loro bevono solo acqua del rubinetto perché è batteriologicamente più controllata dell’acqua in bottiglia. L’acqua in bottiglia, loro la usano solo per lavarsi le mani. In casa c’è anche la figlia Manila e un gatto di razza ariana di nome Osvaldo, molto cordiale e generoso. Subito mi offre un caffè (la moglie, non il gatto). Io le chiedo se per caso non ha una birra e lei mi accontenta senza problemi, peccato che me la porti calda, nera e dentro una tazzina da caffè.
“Zucchero?”, mi chiede.
Io guardo Gino Strada, perplesso, poi guardo di nuovo lei, poi guardo Gianfranco, poi Manila, poi fisso con attenzione Osvaldo che da quando sono entrato non mi ha mai tolto gli occhi di dosso. Lo sguardo di tutti sembra volermi dire una cosa sola: “chi cazzo è Gianfranco?”.
“Non metto lo zucchero” rispondo io, “ce l’avete un po’ di aspartame?”. Apriti cielo! Non l’avessi mai detto!
“Lo sai che l’aspartame è veleno?”, mi dice Anna (Anna, giusto?).
“No, signora”, dico io.
“Pensi di essere migliore di noi solo perché non metti lo zucchero nella birra?”, mi dice Gino Strada mentre addenta una prugna secca biologica del Commercio Equo e Solidale “lo sai quante vite ho salvato io, mercoledì?”.
“Non lo so” dico io.
“Spara”, dice lui.
“Boh? Mille?” dico io.
“Esagerato!” mi disse lui con la voce segnata da anni ed anni di avversità ed intemperie nei luoghi più infausti di questo sventurato eppur bellissimo pianeta che siamo soliti chiamare Terra sotto un cielo plumbeo di ottobre. Punto. Fine paragrafo. Musica malinconica nella testa del lettore. A capo.
E fu in quel momento che feci CAZZO NO! Basta! Feci qui, feci là… non se ne può più! Le regalo dei fiori. Ho deciso! In fondo è verdura.
LA FONTE DELL'ETERNO RAZZISMO
Dove con la parola “razzismo” non si intende la teoria pseudoscientifica secondo cui gli esseri umani sarebbero suddivisibili in razze come i cani, ma più genericamente ciò che è riportato in questo antico testo intitolato “Vocabolario”:
Per esempio, chiamare i neri “oranghi” è razzismo; votare per un partito che chiama i neri “oranghi” è razzismo; essere felici che il proprio partito sia alleato col partito che chiama i neri “oranghi” è razzismo, e così via.
Circola questo luogo comune secondo cui gli esseri umani sarebbero fondamentalmente buoni, ma, poverini, sono razzisti per colpa della propaganda di qualche populista cattivo, come se il razzismo arrivasse dalla nube di Oort e piombasse sulla Terra come un meteorite, in mezzo a creature per natura buone, pacifiche e dedite alla raccolta differenziata. “Per natura”, certo... dev’essere per questo che le cosiddette popolazioni incontattate, se per sbaglio provi a contattarle, ti piantano una freccia in mezzo agli occhi.
Il razzismo non viene inventato da pochi e poi inculcato nelle moltitudini, ma nasce spontaneamente dalle moltitudini e poi viene sfruttato da pochi. Anzi, a giudicare dall’irresistibile voglia di pulizia etnica che da sempre accompagna la storia umana, si direbbe che non ha nemmeno bisogno di nascere, esiste da sempre. Normalmente non lo si nota perché è timido e silenzioso, ma prima o poi arriva qualcuno che gli insegna le parole giuste. Come i pesci non vengono creati da chi li pesca, così i razzisti non vengono creati dalla propaganda, aspettano solo di abboccare. Se fosse la propaganda razzista a generare il razzismo, come mai riesce così facilmente? Tre anni di flauto obbligatorio alle medie non sono sufficienti per trasmettere alla gente l’amore per il flauto, ma basterebbe qualche comizio facoltativo per farla diventare razzista? A me pare che sia un talento innato.
Alla base del razzismo c'è un errore di giudizio e un errore logico.
L’errore di giudizio è l’equazione diverso = pericoloso. Chissà, magari in passato questa equazione è stata utile per la sopravvivenza: “se vedi uno strano, nel dubbio ammazzalo, male non fa”. Oggi però il mondo è abbastanza cambiato rispetto al neolitico ed è molto raro morire nell’imboscata di una tribù di Pieve Porto Morone mentre si attraversa il Po. Certo, il sospetto nei confronti di chi è diverso viene sempre spontaneo, ma cose come la scuola dell’obbligo, i collegamenti via satellite e Piero Angela dovrebbero aiutare a farlo svanire, a meno che uno non sia stupido.
E qui veniamo all’errore logico. Può essere riassunto così: “se un tizio con una certa caratteristica accessoria ma ben riconoscibile, per esempio il colore della pelle, commette un'azione spregevole, allora tutti i suoi simili sono moralmente responsabili”. Questo è un errore che nessuna puntata di Superquark potrà mai sistemare, perché è proprio segno che il cervello non funziona. Tra parentesi si noti che lo stesso errore logico non viene commesso con le azioni pregevoli. Strano.
Se una persona che ha avuto la fortuna di ricevere un'educazione è razzista, non lo è per colpa della propaganda e nemmeno per colpa della frustrazione, del risentimento, della noia o, che so, dell'insopprimibile desiderio di emulare i polli, queste cose possono solo rafforzare il razzismo, non generarlo; la fonte pura e primigenia dell’eterno razzismo è la stupidità. Il razzismo è semplicemente il modo in cui gli stupidi si rapportano con chi è diverso da loro, così come parlare al cinema è il modo in cui gli stupidi si rapportano con i film.
Se una persona che ha avuto la fortuna di ricevere un'educazione è razzista, non lo è per colpa della propaganda e nemmeno per colpa della frustrazione, del risentimento, della noia o, che so, dell'insopprimibile desiderio di emulare i polli, queste cose possono solo rafforzare il razzismo, non generarlo; la fonte pura e primigenia dell’eterno razzismo è la stupidità. Il razzismo è semplicemente il modo in cui gli stupidi si rapportano con chi è diverso da loro, così come parlare al cinema è il modo in cui gli stupidi si rapportano con i film.
Purtroppo gli stupidi esistono, bisogna farsene una ragione. Esistono quelli che ci vedono poco, esistono quelli con le orecchie a sventola e esistono quelli col cervello che non funziona. È normale. Gli stupidi esistono e sono una minaccia per la convivenza civile, come dimostra la seguente immagine.
So cosa viene spontaneo pensare: “sterminiamoli tutti”. E invece no, mi spiace, su questo blog non si stermina nessuno. Non bisogna discriminare gli stupidi né criminalizzarli, vanno solo messi in condizione di non nuocere. Far finta che siano vittime del populismo, quando invece sono proprio loro a crearlo, non è per niente saggio. Quindi che fare?
Una soluzione economica e non violenta potrebbe essere questa: mettere le elezioni in prima serata, solo per un paio d’ore o poco più, e farle coincidere con “C’è posta per te”. Dovrebbe funzionare.
E per favore nessuno obietti che anche questo è razzismo. Dire che gli stupidi sono stupidi non è razzismo, è solo una constatazione. Lo dice anche il vocabolario.
E per favore nessuno obietti che anche questo è razzismo. Dire che gli stupidi sono stupidi non è razzismo, è solo una constatazione. Lo dice anche il vocabolario.
LA RIVOLUZIONE PIGRA
Per chi ancora non lo sapesse, Bologna è meta di pellegrinaggio di migliaia di italiani devoti al grande ideale della Rivoluzione Proletaria. Si tratta di un viaggio iniziatico che si intraprende dopo le scuole superiori e che può prolungarsi per un periodo di tempo che va dai tre anni (laurea breve) ai settantadue (laurea asintotica), sulle orme del profeta Marx. Ogni novizio arriva in città pieno di entusiasmo, convinto di fare qualcosa di unico e irripetibile per il progresso dell’umanità, senza però sapere che la gente del posto assiste alla stessa identica messa in scena da circa mezzo secolo. È come con il raffreddore: ogni anno sai che te ne prenderai uno, ma ogni raffreddore si impegna a darti fastidio come se fosse il primo.
Le pratiche rivoluzionarie sono sempre le stesse: finanziare i birrifici Moretti, bivaccare in piazza Verdi, sfilare in corteo, sillabare proposizioni in coro, bisticciare con persone vestite da poliziotto, fingere di essere poveri, suonare male, cantare peggio e scrivere sui muri. Scrivere sui muri è da sempre una delle pratiche più in voga, non c’è niente di straordinario in questo, ciò che invece è degno di nota è che i rivoluzionari bolognesi scrivono solo sui muri della loro zona. Questo non è molto rivoluzionario. Se su una mappa di Bologna mettessimo un puntino in corrispondenza di ogni scritta su un muro, otterremmo qualcosa del genere
con il picco di densità in corrispondenza della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Che senso ha? Scritte come LIBBERI TUTTI o PARTIGGIANO A TUTTO SPIANO dovrebbero servire a risvegliare le coscienze sopite del popolo o, se non altro, a dargli fastidio, a cosa servono se le puoi vedere solo tu e i tuoi amici? È come mettere i poster nella propria cameretta. Vuoi sovvertire l’ordine economico mondiale e non hai nemmeno voglia di andare a scrivere le tue frasi rivoluzionarie un po’ più in là? Non so, tipo a Borgo Panigale, dove magari c’è davvero qualche esemplare del famoso e leggendario popolo. Un rivoluzionario non dovrebbe essere così pigro, se no sembra che non ci tenga.
Per esempio, guarda che bei muri ci sono a Treviso
sembra che aspettino solo qualcuno che li faccia parlare. Quale posto migliore per scrivere un bel LEGA MERDA? A Treviso c’è tutto l’occorrente per fare la rivoluzione: tanti muri puliti su cui scrivere e una folla di leghisti che ci resterebbe malissimo. Secondo me, fra una manifestazione contro i costi della mensa studentesca (4,50 €) e l’occupazione di una biblioteca pubblica da adibire a sala giochi privata, ogni rivoluzionario che si rispetti dovrebbe trovare il tempo di andare a Treviso e ricoprire tutta la città di scritte.
Invece no, questi scrivono solo sui muri di Bologna, la città più accogliente e tollerante d'Italia. Muri vecchi di secoli che sanno benissimo parlare da soli.
DA SINISTRA A DESTRA, SOLA ANDATA
Spesso si dice che estrema destra e estrema sinistra si avvicinino fino a toccarsi, ma non è vero. Anche se hanno delle cose in comune, tipo l’inclinazione per le teorie del complotto, la diffidenza per le banche o lo sconfinato amore per il cosiddetto popolo, qualunque cosa sia, rimangono comunque molto distanti. Eppure non è raro vedere gente che si incammina a sinistra con le migliori intenzioni e poi, un giorno, ti sbuca a destra in mezzo a quelli che fanno le classifiche delle razze umane. Com’è possibile?
Innanzitutto cominciamo col dire che destra e sinistra esistono. Sono due concetti sfumati, mutevoli e tutto quello che si vuole, ma non per questo inesistenti. Chi dice che destra e sinistra non esistono più, come periodicamente va di moda, farebbe prima a dire che non sa cosa sono. Non è che se non sai cos’è una cosa, quella smette di esistere. Io per esempio non so cosa sia la poesia, per me sono solo parole insolite buttate lì per rimorchiare, ma questo non fa sparire dalla letteratura Pascoli, Leopardi o, che so, Federico Smanetti.
Ci sono varie cose che distinguono destra e sinistra, ma quella forse più evidente è l’atteggiamento verso le minoranze: essere chiusi è di destra, essere aperti è di sinistra. Attenzione, non sto dicendo che essere chiusi sia a prescindere peggio dell’essere aperti, dipende dai casi. Per esempio dare corda ai promotori finanziari è di sicuro una pessima idea. Quando si incrocia un promotore finanziario, la cosa migliore da fare è ignorarlo. Almeno io faccio così, al massimo gli do l’euro del carrello. “Chiuso” e “aperto” non sono giudizi, ma semplici constatazioni: i partiti che chiamiamo “di sinistra” hanno posizioni più aperte verso le minoranze rispetto ai partiti che chiamiamo “di destra”, e più un partito è di sinistra più è aperto, fino ad arrivare all’esotismo, mentre più è di destra più è chiuso, fino ad arrivare all’eliminazione fisica. È vero, “eliminazione fisica” suona un po’ come un giudizio negativo, ma si pensi sempre ai promotori finanziari.
La “chiusura” distingue così bene la destra dalla sinistra, che può essere usata come parametro per definirle. Chiamiamo allora Estrema Destra la posizione politica con il massimo di chiusura (+1) e Estrema Sinistra quella con il minimo (-1). Esattamente in mezzo (0) ci sarà un Centro presumibilmente cristiano democratico, e alla sua destra e alla sua sinistra tutti i casi intermedi, come la Sinistra (-½) e la Destra (+½).
Oltre al grado di chiusura, la posizione politica può essere individuata anche da altri valori. Uno che in questo periodo ha una particolare importanza, perlomeno nei dibattiti in tv o in fila al supermercato, è l’europeismo. Ecco come varia andando da sinistra a destra.
Estrema sinistra e estrema destra sono sulle stesse posizioni antieuropeiste (-1) o, come si usa dire adesso, posizioni 🇮🇹. Sinistra e destra sono invece europeiste con riserva (0), mentre il centro è il più europeista di tutti (+1).
Un altro valore politico che ricorre spesso è la legalità.
Per capire questo andamento sinusoidale, va precisato che con “legalità” non intendo il “mettere in prigione più gente possibile”, ma il concetto secondo cui nessuno dovrebbe essere al di sopra della legge, nemmeno se è molto simpatico. È come per il Monopoly: dentro le regole è garantito un certo grado di uguaglianza e libertà, anche se alla fine è pur sempre un giro dell'oca, mentre fuori dalle regole vince chi tira le sberle più forti.
La sinistra è quella che più di tutti ha il pallino della legalità (+1), con la sua proverbiale passione per le procedure, la Costituzione e le tasse. All’opposto (-1) c’è la destra, che antepone l’individuo alla legge, mentre estrema sinistra, estrema destra e centro hanno una posizione intermedia (0), visto che tutti e tre riconoscono la validità delle leggi umane solo se conformi alle leggi eterne delle rispettive ideologie: comunismo, fascismo, cristianesimo. Mi scuso se sto semplificando troppo, chi vuole può integrare con una bottiglia di prosecco.
La seguente figura mostra il percorso che porta dall’estrema destra all’estrema sinistra (→) sul piano della legalità e dell’europeismo.
Questo cerchio sembrerebbe dimostrare che destra e sinistra agli estremi si toccano, ma nella figura c'è anche una terza dimensione, la chiusura, rappresentata con i colori dal nero al rosso. Possiamo immaginarla come l’altitudine. Estrema destra e estrema sinistra appaiono toccarsi nel punto (-1, 0) solo se tutto viene appiattito su due dimensioni, ma in realtà si trovano a due quote diverse, +1 e -1. In tre dimensioni sarebbe così.
Procedendo dal nero al rosso, si percorre una discesa elicoidale lungo la superficie di un cilindro, finché non ci si trova di fronte a una parete verticale, il salto che divide l'estrema sinistra dall'estrema destra. In condizioni normali la strada finirebbe qui, ma a volte succede che nei paraggi ci sia un vecchio ascensore rimesso a nuovo, diciamo un ascensore né di destra né di sinistra. Sull'ascensore c’è posto per tutti, non si fa cenno a chiusure o aperture nei confronti di nessuno. Tutto ciò che separa estrema destra e estrema sinistra è messo in secondo piano, mentre si dà molta importanza a ciò che le accomuna: complotti, banche, popoli. In questo modo chi proviene da sinistra, curioso di continuare il suo viaggio, può decidere di entrare e lasciarsi trasportare dal piano -1 al +1. C'è anche una musica d'ambiente molto rilassante, fa più o meno così: soldi gratis.
Appena arrivati al piano superiore, c’è un po’ di disorientamento: come mai parlano tutti di bonifiche e treni in orario? Ma poi si fanno nuove amicizie, si scoprono nuovi obiettivi, si comincia una nuova avventura tutti insieme.
Per qualche motivo l’ascensore va solo in una direzione.
MONTANELLI'S FALLACY
Chi non ha mai sentito nominare la Montanelli’s fallacy non si preoccupi, me la sono appena inventata. Prima di dire in cosa consiste, faccio rapidamente il punto sull’attuale situazione politica italiana per gli eventuali lettori del futuro, i quali, poverini, potrebbero non essere più a conoscenza del concetto di “passato”.
IL PUNTO
Dopo svariati anni di populismo idealista (“un milione di posti di lavoro”) e una parentesi di populismo frugale (“80 euro a tutti”), nel 2018 ha preso il potere il populismo sfrenato (“soldi gratis”), nato dall’alleanza tra il partito dei razzisti e il partito dei complottisti, di cui segue un significativo esempio di manifesto elettorale.
Fine del punto.
Fin qui tutto normale, sono abituato a essere in minoranza. Se io fossi in maggioranza in questo momento a capo del governo ci sarebbe Carlo Azeglio Ciampi. Sì, lo so, Carlo Azeglio Ciampi è morto, ma è molto meglio un Ciampi morto che un Salvini e un Di Maio vivi. Per il lettore del futuro: non sto a dire chi siano Ciampi, Salvini e Di Maio, penso che bastino le loro facce.
Ciampi è quello che non sembra scappato dallo zoo.
La cosa che invece mi stupisce è che sento molte persone dire cose come “speriamo che governino, così chi li ha votati capirà che sono dei ciarlatani”. Ecco, è questa la Montanelli’s fallacy.
Prima delle elezioni del 2001, quando il populismo idealista del cosiddetto Berlusconi stava per andare definitivamente al potere, Indro Montanelli, stimato giornalista del Novecento, aveva detto “mi auguro la vittoria di Berlusconi, perché Berlusconi è una di quelle malattie che si curano col vaccino. Per guarire da Berlusconi, ci vuole una bella iniezione di vaccino di Berlusconi”. Lo si può ascoltare qui, al minuto 3:00.
Beh, gli italiani hanno avuto la loro bella dose di vaccino di Berlusconi, cinque anni, eppure alle elezioni del 2008 lo hanno votato di nuovo, altri tre anni di vaccino, e nel 2018, nonostante tutto quello che è successo e tutte le cose incredibili che ha combinato, il 16% degli italiani ha comunque continuato a votarlo e molti di quelli che hanno smesso di votarlo non è che sono guariti dalla loro credulità, ma l’hanno solo rivolta verso altri ciarlatani. Tutti questi anni di Berlusconi non solo non hanno curato il populismo ma lo hanno cronicizzato, e quello che prima era fuori dalla norma, le promesse assurde, i contratti farlocchi, il fastidio per le procedure costituzionali, il partito di proprietà personale, il disprezzo dei fatti, le teorie del complotto, la propaganda permanente e soprattutto l’abitudine a mentire, tutte queste cose sono ora la norma. Prima di Berlusconi, quando un politico diceva una bugia, faceva almeno lo sforzo di accordarla con i fatti in modo da darle una spennellata di verosimiglianza, ora invece può tranquillamente dirti che i gatti sono ologrammi alieni provenienti dal pianeta Carlo senza nessun bisogno di aggiungere altro. Quindi per quale motivo adesso dovrei credere che "la gente capirà"? La gente non capirà mai e i populisti di oggi, come è già successo a quelli di ieri, verranno solo sostituiti da populisti ancora più populisti.
Possiamo quindi definire la Montanelli’s fallacy come l’ingiustificata fiducia nella capacità degli elettori di riconoscere che i loro eletti li stanno danneggiando. Tale fiducia è fondata sull’errato presupposto che la gente voti chi le conviene, mentre in realtà vota semplicemente chi le somiglia, e, se per caso succede che chi le somiglia la mandi in rovina, la colpa verrà data a qualcun altro: le potenze straniere, le banche, i giornali, gli immigrati, chiunque non le somigli.