ONTOLOGIA DELL’ITALIANITÀ

Quando uno dice di essere fiero di essere italiano, lì per lì mi stupisco. Quanto è stato fortunato. Aveva solo una probabilità su cento di nascere italiano e, guarda un po’, è proprio nato in Italia. Poi penso che la fortuna non c’entra, penso che forse sarebbe stato fiero anche di essere un copertone. È veramente strano che tutti siano fieri di essere quello che sono. Fiero di essere italiano, fiero di essere sovrappeso, fiero di essere poco obiettivo.
Che cosa vuol dire essere italiano? Che cos’è l’italianità? È parlare l’italiano? Zbigniew Boniek parla l’italiano molto meglio di mia madre eppure è fiero di essere polacco. Forse è la cultura, avere alle spalle i Dante e i Petrarca. Ma bisogna anche averli letti o basta solo averli alle spalle? Perché se bisogna averli letti allora gli italiani sono circa sette, contando anche Dante e Petrarca, se no cosa vuol dire averli alle spalle? È la loro influenza sulla lingua, sull’immaginario collettivo, eccetera. Cosa sarebbe l’idea di inferno se non ci fosse stato Dante? Tutti quando pensano all’inferno pensano all’inferno di Dante, anche i neozelandesi, quindi i neozelandesi sono italiani. No. Se i neozelandesi fossero italiani non giocherebbero così bene a rugby. Forse essere italiani è non saper giocare a rugby. Essere fieri di essere italiani è essere fieri di non saper giocare a rugby, tennis, basket o forse è il cibo. Sono gli spaghetti. Ma gli spaghetti sono cinesi. La pizza. È un’elaborazione della pita greca. Gelato? Inglese. Caffè? Arabo. Bistecca? Non è il cibo, essere italiani significa avere una Storia in comune, una Storia italiana in comune. Le lotte politiche, la Costituzione, la tradizione e così via. Che cos’è la tradizione? Le lotte politiche, la Costituzione. Punto. Ciò significa che più si torna indietro nel tempo meno Storia si ha in comune e meno si è italiani. Giolitti è meno italiano di De Gasperi, Garibaldi è meno italiano di Giolitti, Marco Polo era un marocchino senza permesso di soggiorno. Troppo complicato parlare di Storia comune nel caso dell’Italia, è come parlare di personalità per uno schizofrenico. Restringiamo il campo. Io sono italiano? Sì, lo sono. Ich bin Italiener, in tedesco suona tutto più credibile. In cosa si manifesta la mia italianità? Intendo nella vita di tutti i giorni, nell’esistenza quotidiana media e indifferente. Non so, per esempio tifo Ferrari e Valentino Rossi. Questo conta per la domenica, e gli altri giorni? Come si manifesta la mia italianità nell’esistenza media e indifferente del mercoledì? M’interesso di quello che succede in Italia più di quello che succede negli altri Paesi, leggo i giornali on line che parlano dell’Italia, guardo la tv italiana, eccetera. È perché abito in Italia. La mia italianità si manifesta innanzitutto e perlopiù nell’abitare in Italia. E quando sono all’estero? È diverso, all’estero ci sto con una valigia, in Italia con una casa. Supponiamo di trasferirmi in Norvegia, questo farebbe di me un Norvegese? No. Come si manifesta la mia italianità media e indifferente nella mia ipotetica casa in Norvegia il mercoledì? Non lo so. Qual è il primo ente che mi viene incontro in tutta la sua manifesta italianità nell’esistenza media indifferente norvegese il mercoledì? La pastasciutta abbiamo detto di no, neanche mi piace, mangerei salmone norvegese dalla mattina alla sera, probabilmente mi sposterei con una motoslitta, vivrei nel mio iglù e tiferei per la nazionale norvegese di curling. Se vivessi in Norvegia il mio mondo sarebbe un mondo norvegese a tutti gli effetti, eppure io continuerei a essere italiano. Perché? Be’, ho una carta d’identità che me lo ricorda tutti i giorni. Anche il mercoledì? Sì. Solo una carta d’identità? Anche il passaporto. Dunque l’ente che ha la costituzione d’essere dell’italianità è la scritta “cittadinanza italiana” sulla mia carta d’identità.
L’italianità è una scritta.
Essere fieri di essere italiani è essere fieri di essere una scritta.