LO TSUNAMI

Fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno dove fosse la Polinesia. Per me Polinesia, Maldive, Caraibi e tutti questi posti rinomati per la loro paradisiacità tropicale costituivano un unico blocco indistinto ed erano tutti archiviati nella stessa cartella cerebrale, una cartella essenzialmente vuota. Non so nemmeno quanto fossi consapevole che si trattasse di posti diversi, in oceani diversi, a svariate centinaia di euro di volo gli uni dagli altri. Non si può sapere tutto, no? Quando un argomento non ti interessa è normale non saperne niente; come quando è morto David Bowie e quel giorno, con mia grande sorpresa, ho scoperto che non era Sting (Sting, giusto?).

Della mia passione per le isole tropicali deserte ho già detto (vedi L'isola deserta), quello che non ho detto è che le prime isole che ho sorvolato standomene comodamente seduto nel mio bagno erano, a mia insaputa, isole della Polinesia, in particolare Bora Bora, isola dove oggi non andrei mai per diverse ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare e che possono grosso modo essere riassunte così: è un lunadimielificio pieno di buzzurri (isola tropicale: ✅ deserta: ❌).

Dopo qualche ricerca, la prima cosa che ho scoperto della Polinesia è che la parola "Polinesia" vuol dire tutto e niente, un po' come "Sud America": c'è Tonga, Samoa, le isole Cook, ma per esempio non ci sono le Figi; le Figi sono Melanesia. Per questo motivo ho ristretto il mio campo di interesse alla Polinesia francese. "Ristretto" per modo di dire, visto che la Polinesia francese, pur avendo la superficie del Molise, è sparpagliata su un'area più grande dell'Europa; un paio di isole non sono nemmeno ai tropici: Raivavae e Rapa Iti, quest'ultima da non confondere con Rapa Nui, che è del Cile (come si sarà notato, ora conosco tutta la geografia del Pacifico da Lord Howe alle Galapagos).

Appurato questo, sono passato a verificare se questa famosa Polinesia francese, oltre a essere un paradiso dal punto di vista paesaggistico e climatico, lo è anche dal punto di vista dell'incolumità personale: lo è. Niente ragni, niente serpenti, niente squali eccetera; o meglio: ragni, serpenti, squali eccetera ci sono, ma sono innocui. Per esempio i caratteristici squali di barriera che popolano le lagune (stavo per dire "infestano"), superano a fatica il metro e mezzo e scappano a pinne levate appena ti vedono. Quattordici attacchi non provocati negli ultimi settant’anni, possiamo dire che significa "squali innocui", vero? E nessuno di questi è stato mortale; al massimo ti mangiano un dito, che vuoi che sia? Abbiamo tantissime dita.
La Polinesia francese non è come l'Australia dove mancano solo i velociraptor, e poi ha quel "francese" nel nome che è tanto rassicurante: a colazione hai il tuo pain au chocolat col café au lait e tutti vanno in canoa con la baguette sotto braccio. Sarei stato molto più preoccupato se si fosse chiamata, che so, "Polinesia messicana".
A proposito di Messico, il tasso di criminalità della Polinesia francese è tra i più bassi del mondo, più basso che in Italia. Non è bellissimo? A Taha'a, una delle cosiddette Isole della Società, non mettevamo nemmeno il lucchetto alle bici. A Bologna la bici te la rubano anche se la incateni a una trave d'acciaio dentro a un caveau sorvegliato dall'FBI, e se proprio non riescono a rubartela, te la distruggono (a Bologna distruggono tutto, non ho mai capito perché); invece in Polinesia francese nessuno ti importuna, tutti sono rilassati e la gente non solo si ferma per farti attraversare sulle strisce come in tutti i paesi civili, ma mette pure le quattro frecce per farti capire che ti ha visto e che se ti senti più tranquillo può anche parcheggiare lì e fingere di dormire.
Non c'è nemmeno la malaria, flagello di tanti paesi tropicali, e le zecche non trasmettono il morbo di Lyme, come invece può succedere qui in Italia. C'è un po' di dengue, ok, ma al giorno d'oggi dov'è che non c'è la dengue?
L'unica cosa davvero pericolosa sono gli tsunami se per caso ti trovi su un atollo. Se sei su un'isola montagnosa come Tahiti non c'è problema, basta spostarsi un po' verso l'interno e sei a posto, ma se sei su un atollo, dove l'altezza massima sul livello del mare è circa un umano e mezzo, allora potresti essere discretamente nella merda. Ma per fortuna gli tsunami sono molto rari; preoccuparsi degli tsunami mentre si è in Polinesia francese è come preoccuparsi dei fulmini quando si esce di casa. Chi è che si preoccupa dei fulmini? A parte me, dico.

Ad ogni modo, non è per stare in un posto sicuro che sono andato in Polinesia, se volevo un posto sicuro potevo chiudermi in casa mia, che è il posto più sicuro del mondo, in particolare sotto il tavolo della cucina (Bologna è zona sismica); in Polinesia ci sono andato per tanti altri motivi, ma principalmente per avvicinarmi un po' di più al mio ideale di "essere abbandonato su un'isola deserta" senza essere davvero abbandonato su un'isola deserta (quest'ultimo aspetto è fondamentale).

L'isola deserta, per essere definita tale, deve avere queste due caratteristiche fondamentali: (1) deve essere disabitata e (2) non deve essere visibile nessun segno della presenza umana, né diretto né indiretto, fin dove lo sguardo può arrivare (togliersi gli occhiali non vale); quindi in primo luogo non devono esserci turisti nei paraggi, le persone peggiori da incontrare quando si è in viaggio perché ti ricordano immediatamente che anche tu sei un turista, ma non devono nemmeno esserci autoctoni. Certo, è sempre interessante vedere come vive la gente in un posto totalmente diverso dal tuo, per esempio un posto dove le isole vengono chiamate "terra" (fenua) e i piccoli banchi di sabbia che le circondano "isole" (motu), ma non è questa l'esperienza che più di tutte mi interessa fare; se voglio incontrare gente completamente diversa da me, mi basta andare in pizzeria il sabato sera.
Allo stesso tempo, però, l'isola deve avere alcune altre caratteristiche senza le quali non potrei godere appieno dell'esperienza, vale a dire deve esserci un letto, un bagno con lo sciacquone corredato di carta igienica e circondato da quattro pareti che arrivano fino al soffitto, un soffitto, del cibo e ovviamente internet, per contattare qualcuno nel caso ci fosse un'emergenza, per esempio se finisse la birra. Tutte queste condizioni sono necessarie affinché la sensazione "ah che bello sono su un'isola deserta!" non sia sopraffatta dalla sensazione "oh mio dio sono su un'isola deserta!".

Bene, dopo varie ricerche ho scoperto che queste caratteristiche sono tutte soddisfatte nelle Tuamotu.


Le Tuamotu sono l'arcipelago di atolli più grandi e più remoti del mondo, così remoti che fino agli anni Novanta i francesi ci facevano gli esperimenti nucleari.
Questo per esempio è Tikehau.


Sembra un protozoo.
In tutto sono un'ottantina di atolli, la maggior parte disabitati, e anche quelli abitati hanno pochissimi abitanti, quasi tutti radunati in un piccolo villaggio; le strutture turistiche sono pochissime. Non so se si capisce dove voglio arrivare.


Quando ho visto l'immagine qua sopra sono sobbalzato sul water. 

Un atollo è un sottile anello di isolette di sabbia (motu, appunto) che costituiscono la parte emersa di una barriera corallina più o meno continua; ognuno di questi motu è separato da quelli vicini da stretti bracci di mare (hoa) che in molti casi sono facilmente attraversabili in canoa, a nuoto o addirittura a piedi. Con la bassa marea certi hoa sono talmente poco profondi che l'acqua ti arriva alle caviglie, ma quell'acqua è pur sempre oceano, no? E dunque questi motu, per quanto piccoli e per quanto vicini l'uno all'altro, sono pur sempre isole: isole tropicali deserte a poche decine di minuti di barca da un villaggio dove, se necessario, c'è qualcuno da contattare in caso di bisogno (isola tropicale: ✅ deserta: ✅ non morire: ✅).
A questo punto è stato sufficiente trovare un motu con una casa in affitto e andare lì con un'adeguata scorta di cibo insieme a Maria Paola e due nostre amiche (quando vuoi stare da solo su un'isola deserta, è sempre meglio essere in compagnia).


Perfetta, no?
Pazienza se la casa non aveva l'acqua calda e ospitava un certo numero di insetti (non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi...), l'importante è che l'isola fosse esattamente come la volevo. Ok, c'era anche una casa abitata sul motu vicino, ma che importa? Bastava guardare sempre nella direzione opposta.

I giorni passati lì mi hanno fatto capire cos'è che mi piace tanto degli atolli: non è solo l'isolamento, i grandi spazi, la natura eccetera, è che il paesaggio è talmente strano che mi fa ricordare che mi trovo su un pianeta di un sistema solare nella periferia di una galassia a disco all'interno di un oggetto che chiamiamo confidenzialmente "universo". Certo, esistono paesaggi anche più strani, tipo l'Antartide o la Fossa delle Marianne, ma sono leggermente meno ospitali. Negli atolli c'è il giusto mix di minaccia cosmica e accoglienza terrestre: sul lato oceano hai le onde che sbattono costantemente contro la barriera con la chiara intenzione di ucciderti; un posto fatto di coralli pietrificati e detriti taglienti, dove non c'è mai silenzio;


mentre sul lato laguna hai il tipico paesaggio da cartolina.


È difficile impedirsi di fare continuamente avanti e indietro tra lato oceano e lato laguna per verificare che due posti così diversi possano essere davvero così vicini.
Ora, non vorrei scadere nel filosofico spicciolo (forse è già troppo tardi), ma il mondo in cui normalmente viviamo, cioè quel mondo fatto di appuntamenti, notizie, scocciatori, parcheggi, telefonate e in generale parole familiari che ricoprono cose che non riusciamo a concepire ("felicità", "morte", "universo" tanto per dirne tre a caso), è un mondo molto comodo perché ci permette di funzionare, ma è finto; è come l'illuminazione artificiale delle città: utile, ma ti impedisce di vedere cos'hai davvero sopra la testa.


Sembra una foto dallo spazio, vero? Invece l'ho fatta banalmente col telefono.

Gli atolli ti aiutano a vedere il mondo com’è veramente: alieno.
Va detto che in questo senso anche lo studio della cosmologia aiuterebbe, ma maneggiare tensori quadridimensionali è molto più impegnativo che spaparanzarsi sulla spiaggia a guardare il mare.
Altra cosa da dire, ancora più importante, è che purtroppo, sia che tu ricorra agli atolli o alla cosmologia, è impossibile riuscire a estraniarsi completamente da se stessi e vedere il mondo in modo autentico fino in fondo. È ovvio: per vedere il mondo nel suo modo di essere completamente non umano, dovremmo riuscire a non essere umani. Anche il solo fatto di trovare un paesaggio bello o un'ipotesi scientifica interessante, significa che stiamo umanizzando il mondo; "bello" e "interessante" sono due cose che stanno nella testa di chi guarda, non nella cosa guardata. Se stessimo davvero percependo il mondo in modo autentico, l'unica cosa che dovremmo provare è disorientamento: non sapere dove siamo, non sapere chi siamo; tutto questo da sobri, eh.
Ed è qui che arriva lo tsunami.

Mentre ero alle Tuamotu, il sito dell'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese pubblica il seguente comunicato:

"Un fortissimo terremoto di magnitudo 8,7 ha avuto luogo nella Kamčatka, nella Russia orientale, il 29 luglio 2025 alle ore 13:25 (ora di Tahiti). Le isole Marchesi [...], a partire dalle 00:57 di mercoledì 30 luglio 2025, sono interessate da un impatto con un’onda oceanica alta da 1,10 m fino a 4 m a Nuku Hiva [...]. Gli altri arcipelaghi della Polinesia francese dovrebbero essere interessati da un innalzamento del livello del mare inferiore a 30 cm, che non richiede evacuazione né messa in sicurezza, ma si raccomanda comunque prudenza: è necessario allontanarsi dalle coste e dai fiumi".
Fine del comunicato.
A prima vista sembra rassicurante: "30 cm", "non richiede evacuazione"... e infatti Maria Paola e le altre vanno a dormire senza problemi, anzi mi trattano pure in modo un po' spazientito quando propongo di chiamare un elicottero e farci trasportare immediatamente in un altro oceano; ma se si legge più attentamente quel comunicato e si considera in modo meno sbrigativo la nostra situazione, si noterà che c'erano vari motivi per non essere del tutto tranquilli.

Prima di tutto c'è quel "dovrebbero"; il comunicato dice "gli altri arcipelaghi dovrebbero essere interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", non "gli altri arcipelaghi saranno interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", fa una bella differenza. Che cazzo vuol dire "dovrebbero"? Vuol per caso dire che l'innalzamento potrebbe essere più grande? Quanto più grande? Siamo qui su un atollo in mezzo al Pacifico, non è che io mi senta tanto tranquillo se mi dici che sta arrivando uno tsunami che non dovrebbe uccidermi.

«Mi scusi, sa per caso dirmi se i funghi dei vostri tramezzini sono velenosi?»
«No, stia tranquillo, dovrebbero essere commestibili».

Poi c'è quella questione dei 30 cm: sono davvero così pochi? Voglio dire, abitando a Bologna non ho molta esperienza di tsunami, ci sono state un paio di alluvioni negli ultimi anni e si sono allagate alcune strade del mio quartiere, ma non credo che questo conti. Cosa succede se arriva un'onda tsunamica di 30 cm mentre sono su un banco di sabbia al livello del mare? Di sicuro si allaga tutto, e va beh, ma non è che per caso quest'onda, benché bassa, ha la forza di trascinarmi in mare? Io non è che sappia nuotare tanto bene; quando sono in mare, appena c'è una minima corrente io mi metto subito a pancia in su e aspetto i soccorsi.
Una delle due nostre amiche cerca di rassicurarmi:

«Tranquillo, con 30 cm ti bagni solo i piedi».
«Tranquillo? Come faccio a stare tranquillo se alle Marchesi, che sono qua dietro, sono previste onde di 4 m?» ("qua dietro" vuol dire 1000 km).
«Dai, 4 m sono pochi! Gli tsunami di cui preoccuparsi sono alti 10 m».

Ho evitato di farle notare che noi quattro abbiamo una statura inferiore ai 4 m e che sfortunatamente non abbiamo ancora sviluppato le branchie.

Infine nel comunicato c'è quell'ultima raccomandazione che mi ha davvero gettato nel panico: "è necessario allontanarsi dalle coste". Ma perché? Se con 30 cm non c'è pericolo, perché mi chiedi di allontanarmi dalle coste? Ma soprattutto come faccio ad allontanarmi dalle coste se sto su un'isola con un diametro di 50 m? L'ho misurato su Google Maps: 50 m. Se mi allontano da una costa, finisco sulla costa opposta. L'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese non sa che le Tuamotu fanno parte della Polinesia francese? E che, fra le loro numerose e notevoli caratteristiche, c’è anche il fatto che non è fisicamente possibile allontanarsi dalle coste? Ma ormai tutti questi pensieri li stavo rimuginando fra me e ChatGPT, perché le altre tre erano già nelle loro rispettive stanze a dormire. Dormire! Vorrei tanto avere la serenità (stavo per scrivere "incoscienza") di dormire durante un'allerta tsunami...

A quel punto, il mio piano era questo: mi siedo sul pontile per controllare che il livello del mare non cambi in modo anomalo e intanto aspetto le 00:57, cioè l'ora in cui lo tsunami dovrebbe arrivare alle isole Marchesi; dopo di che cerco in rete informazioni sui danni provocati e l'effettiva altezza delle onde, e in base a questo decido il da farsi: se a Nuku Hiva non è arrivata la famosa onda di 4 m, allora posso stare tranquillo e andare a dormire, se invece è arrivata allora noi saremo i prossimi; calcolando che la velocità tipica di uno tsunami in mare aperto è circa 500-800 km/h, avrei avuto un margine di 1:30-2 ore per mettermi in salvo, quindi avrei preparato lo zaino con acqua, cracker e madeleine, e poi sarei andato a svegliare Maria Paola e l'avrei convinta a salire con me su una canoa per andare in mare aperto, dove l'onda dello tsunami sarebbe stata più bassa; pazienza per le nostre due amiche, non sarei mai riuscito a convincerle del pericolo.
Era un piano perfetto, peccato che, quando arrivano le 00:57, di Nuku Hiva non c'è nessuna notizia in rete; passa l'una e ancora niente; l'una e mezza, niente; il comunicato, che ormai avevo letto 516 volte, dice infatti che lo tsunami sarebbe arrivato "a partire dalle 00:57" non "alle 00:57" (ma chi è il sadico che scrive questi comunicati?); le due e ancora niente; il tempo passa e dalle Marchesi non arriva nessuna notizia. Vado avanti così ancora per un po' finché, senza nessun preavviso, il mio corpo decide di addormentarsi: lui ha capito che non sarebbe arrivato nessuno tsunami.

Non so quanto avrò dormito. A un certo punto mi sveglio di colpo in mezzo alla notte e provo quella tipica sensazione che penso tutti abbiamo provato qualche volta quando ci svegliamo in un posto diverso dal solito: per qualche secondo non so più dove sono né chi sono, era come se fossi apparso per la prima volta dal nulla.
Penso che siano questi i momenti in cui riusciamo a vedere il mondo com'è veramente, solo che non serve andare fino in Polinesia, basta addormentarsi sul divano.

COSA DICEVA PLATONE DEI QUALUNQUISTI

C’è un passo nella Repubblica di Platone in cui si parla dei qualunquisti. Ovviamente al tempo non erano chiamati così, ma "isoti", cioè "equiparatori", dal verbo "ἐξισόω" che significa rendere uguale, livellare​. Gli equiparatori erano quelli che dicevano cose del tipo "Cleone e Pericle alla fine sono la stessa cosa".
È incredibile come 2500 anni fa ci fossero già tutti i tipi umani che oggi contribuiscono a rendere il mondo una merda: i populisti che fanno gli amici delle masse (demagoghi), i loro tirapiedi che sperano in qualche tornaconto (sicofanti), i boccaloni che si bevono tutto (euetei) e i qualunquisti che scambiano la propria ignoranza per saggezza (isoti).
Il passo è questo qua.

«Dimmi, Adimanto, chi è peggiore tra il demagogo, i suoi sicofanti, gli euetei che lo sostengono e gli equiparatori, che appiattiscono ogni differenza tra giusto e ingiusto, credendo così di essere più saggi degli altri?»

«Non mi sembra giusto chiamare ignoranti gli equiparatori,» rispose Adimanto. «Sono cittadini come noi, non schiavi o donne, e hanno facoltà di esprimere il loro pensiero».

«Risparmiami la tua morale, ti prego,» replicò Socrate, «giacché sai che la virtù non si conquista simulando di possederla. Piuttosto dimmi chiaramente il tuo giudizio».

«Se devo rispondere,» disse Adimanto, «penso che i sicofanti siano i peggiori: delatori e opportunisti sempre pronti a compiacere i potenti per ottenere favori. Il demagogo sfrutta passioni e istinti diffusi nella massa, ma sono i suoi sicofanti – consiglieri, sofisti, oratori – a trasformare la sua retorica in potere concreto. Costoro amplificano le sue falsità per trarre vantaggio dal disordine che essi stessi generano».

«Ciò che dici è corretto. Eppure,» ribatté Socrate, «i sicofanti hanno almeno un tornaconto personale, mentre gli euetei non solo non ottengono nulla, ma danneggiano anche se stessi».

«Questo è vero,» rispose Adimanto, «ma gli euetei sono vittime ingannate da falsità, timori e vane illusioni, mentre l’errore più grave resta dei sicofanti, poiché senza di loro il demagogo rimarrebbe solo una figura ridicola priva di potere, simile ai mimi di strada».

«Considera, tuttavia,» osservò Socrate, «che gli euetei, sostenendo i propositi iniqui del demagogo, agiscono spinti dall'odio senza ottenere nulla in cambio. A differenza dei sicofanti, il loro male è duplice, poiché alla malvagità uniscono l’incapacità di discernere. Chi dunque è peggiore, caro Adimanto: chi fa il male consapevolmente a proprio vantaggio o chi lo fa inconsapevolmente a proprio danno?»

«Peggiore,» rispose Adimanto, «è certamente chi agisce senza sapere ciò che fa».

«E allora chi è peggiore, gli euetei o i sicofanti?» domandò Socrate.

«Gli euetei,» disse Adimanto senza esitazione. «Perché un sicofante, per quanto meschino, può essere confutato con il ragionamento, mentre una massa cieca e adorante, incapace di ragionare, è incontrollabile».

«Sono d'accordo con te!» disse Socrate. «Ora dimmi, sai perché gli equiparatori sono persino peggio degli euetei?»

«Lo so bene,» rispose Adimanto, «perché essi, pur avendo in sé la capacità di discernere il giusto dall'ingiusto, vi rinunciano per ignoranza e affermano che tutto è uguale, sottraendosi così alla responsabilità di opporsi al male».

«Ben detto, Adimanto!» rispose Socrate, e aggiunse «gli equiparatori scambiano la loro ignoranza per un'indistinzione propria dell'essere, come chi avendo la vista offuscata crede che il mondo intero sia avvolto nella nebbia. Gli euetei almeno riconoscono la malvagità del demagogo e lo appoggiano proprio perché la trovano conforme ai loro desideri, invece questi maledetti isoti, a causa della loro superba ignoranza, non riescono nemmeno a vedere la differenza tra un uomo probo e un malfattore».

«L'ignoranza», aggiunse Adimanto, «è un vizio ben più grave della stupidità, poiché mentre lo stupido è privo di colpe, essendo tale per natura, l'ignorante è responsabile della propria condizione».

«Mi hai tolto le parole di bocca, Adimanto!»

«Bene, Socrate! Vedo che siamo sulla stessa linea. 🚀»

IL MIO AMICO CIOP

I ragni mi hanno sempre fatto paura. Fino a poco tempo fa, se per caso ne vedevo uno in casa, lo ammazzavo istantaneamente, senza nemmeno chiedermi se fosse un innocuo ragno arlecchino (Salticus scenicus) o un pericolosissimo ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney (Atrax robustus); nemmeno sapevo che esistessero i ragni arlecchino o i ragni di Sydney, l'unica cosa che sapevo dei ragni è che mi facevano paura. Non è colpa mia se sono creature mostruose.

Poi, qualche anno fa, ho iniziato a seguire Nicola Bressi su Twitter, un naturalista e zoologo che con grande pazienza risponde a tutti quelli che gli mandano foto di ragni, insetti e altri esseri immondi per sapere se sono innocui o se è il caso di bruciare la casa e cospargere le macerie di sale. Nella quasi totalità dei casi sono innocui (mai fidarsi delle apparenze). Piccolo inciso: non poter più seguire Nicola Bressi è uno dei motivi per cui mi spiace avere abbandonato Twitter, ma come si fa? Ormai pubblicare contenuti su quel social mi faceva sentire come uno dei 50000 dipendenti che lavoravano alla produzione di uniformi delle SS: il tuo contributo è irrilevante, ma ti senti comunque un po' una merda.

Pian piano, grazie a Nicola Bressi e alla sua attività divulgativa, ho imparato a conoscere i ragni, perlomeno quelli più comuni, e adesso posso dire di non avere più paura. O, meglio, non ho più paura dei ragni innocui, mentre ho ancora paura di quelli pericolosi, ma in ogni caso molta meno paura rispetto a prima, quando non ne sapevo assolutamente niente. È sempre così: l'ignoranza ti fa avere paura.

Ora so che in Italia ci sono solo due specie di ragni potenzialmente pericolosi: la malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus), che si trova solo all'aperto (dunque basta non uscire mai di casa) e il famoso ragno violino (Loxosceles rufescens) che, è vero, si è adattato a vivere nelle nostre case, ma ora so più o meno riconoscerlo: è grande circa 5 cm (zampe comprese), non fa ragnatele, vive nascosto sotto i mobili o dietro i quadri, esce solo di notte per cacciare, non caccia esseri umani.
Quindi, in sintesi: se trovi in casa un ragno piccolissimo o enorme, è innocuo; se è appollaiato nella sua ragnatela, è innocuo; se sta andando in giro per casa di giorno, è innocuo: probabile che si tratti di un banale ragno delle case (Tegenaria domestica). E poi, altro fondamentale motivo per non avere paura nemmeno dei ragni pericolosi, è che non sono interessati a noi; per un ragno noi siamo parte del paesaggio, non gli viene neanche in mente di attaccarci senza motivo (a parte il suddetto ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney, che però per fortuna sta a Sydney).
Per tutti questi motivi ho smesso di uccidere ragni a caso. Certo, se la sera, appiattendosi sotto la porta, mi entra in casa un Hogna radiata, lo prendo immediatamente a ciabattate. Mi spiace Hogna radiata, fai troppo schifo. Ma a parte questo, i ragni non hanno più niente da temere da me (ora che ci penso, anche gli Zoropsidi non possono stare del tutto tranquilli).

Un giorno, l'estate scorsa, vedo sul pavimento vicino alla finestra della cucina un mucchietto di moscerini morti. Strano. Com'è possibile che tutti questi moscerini siano andati a morire nello stesso posto nello stesso momento? Guardo in alto e sul soffitto, nell'angolo vicino alla finestra, vedo un ragno di circa 5 cm comprese le zampe (prendo la ciabatta) appollaiato nella sua ragnatela (poso la ciabatta) che se ne sta lì senza paura in pieno giorno (ho controllato, era giorno), dunque non può essere un ragno violino.
Infatti è un ragno ballerino (Pholcus phalangioides), che non solo è innocuo (i suoi cheliceri sono troppo piccoli per trapassare la pelle umana e inoltre non avrebbe mai la pazienza di avvolgere tutta una persona in un bozzolo di tela), ma è per di più estremamente utile, come stava lì a dimostrare il mucchietto di moscerini morti sul pavimento.
Poco distante, in una rientranza del controsoffitto, vedo che ce n'è un altro. Evviva!

Li ho chiamati Cip e Ciop: Cip è quello più defilato, Ciop è quello sopra la finestra della cucina. Sì, lo so, sono due nomi di merda, ma purtroppo sono i primi nomi che mi sono venuti in mente quando li ho visti. Se mi fossi preso un po’ più di tempo per pensarci, li avrei chiamati Secerno e Sgambetti, i nomi che avrei voluto dare ai miei figli se per sbaglio ne avessi avuti, ma ormai è andata così: Cip e Ciop.
Io do sempre i nomi alle cose, per esempio il Ficus elastica nello studio si chiama Rodrigo, il roomba si chiama Renato, il servo muto in camera si chiama Ambrogio. Che poi, mi dico, che bisogno c'era di chiamare Ambrogio un oggetto che ha già un nome così bello: "servo muto", le due caratteristiche che più si apprezzano di una persona.

Cip e Ciop sono due creature davvero eccezionali: se ne stanno sempre nello stesso posto, non sporcano (cadaveri di moscerini a parte) e le loro ragnatele sono praticamente invisibili, ma soprattutto ti ripuliscono la casa di moscerini e zanzare senza dovere spruzzare insetticidi o spendere due milioni e mezzo di euro per installare delle zanzariere. E non è finita, bonus aggiuntivo: se un eventuale ragno violino dovesse finire nella loro ragnatela, lo mangerebbero. È inevitabile che uno si affezioni.

Finalmente anch'io ho degli animaletti domestici da accudire. Per qualche motivo il mio preferito è Ciop, non so perché, sarà che è quello che ho incontrato per primo, ma anche Cip mi sta simpatico.
I ragni ballerini hanno molti pro rispetto a cani e gatti: non devi pulire lettiere o altro, non devi mai comprargli da mangiare, non ti distruggono la casa, non vanno portati fuori di tanto in tanto, non puzzano, sono perfettamente autosufficienti e non hanno quella discutibile abitudine che hanno i gatti di ostentare il loro ano, che, per quanto sia innocuo, è difficile dimenticare a cosa serva, soprattutto quando ti si siedono in faccia mentre dormi. I ragni ballerini non so nemmeno dove ce l'abbiano, l'ano; a dir la verità non so nemmeno se ce l'hanno, cosa che li renderebbe delle creature perfette.
Purtroppo hanno anche dei contro, per esempio non sono particolarmente affettuosi: non ti fanno le feste quando torni a casa, se provi ad accarezzarli scappano come impazziti e non cercano mai la tua compagnia, neanche per sbaglio.
Quanto sarebbe bello se Ciop venisse a dormire sul letto insieme a me quando Maria Paola è via per le sue missioni, se la mattina mi svegliasse delicatamente con le sue zampette, se si raggomitolasse sulle mie ginocchia quando leggo un libro.

Con la fine dell'estate, di moscerini in casa se ne sono visti sempre meno, finché a un certo punto, verso metà ottobre, sono scomparsi del tutto. Quanto può vivere un ragno ballerino senza mangiare? Due o tre mesi, dicono, ma c'è da fidarsi? Com'è ovvio ho iniziato a preoccuparmi per la salute di Ciop. Anche per quella di Cip, chiaro.
Ogni tanto lascio aperto il vasistas della finestra sotto la ragnatela di Ciop, nella speranza che entri qualcosa, ma niente. Dove cazzo vanno tutti i moscerini quando fa freddo? Emigrano nell'emisfero australe come le rondini?
Nel frattempo Ciop, in questi mesi, ha sferruzzato una ragnatela enorme: è uno spettacolo vederla ondeggiare come la superficie di un mare di seta mosso dall'aria del vasistas, ma purtroppo non serve a niente, di moscerini non ce ne sono.

Ogni mattina, quando mi alzo, controllo se per caso Ciop ha catturato qualcosa; niente, la ragnatela è sempre vuota; sempre più grande, ma sempre vuota. Una mattina però, colpo di scena, nella ragnatela trovo un ragno morto! In un angolo c'è Ciop, fresco e pieno di energia come non lo vedevo da tempo, e in mezzo alla ragnatela c'è questo ragno rinsecchito. Che sia un ragno violino? Sarebbe un grandissimo risultato, l'apice della carriera di un ragno ballerino. Osservando con più calma, vedo che non assomiglia per niente a un ragno violino, assomiglia di più a un ragno ballerino. Non avrà mica mangiato Cip? Un triste sacrificio, ma dopotutto necessario. In realtà Cip è ancora lì al suo posto che mi guarda sospettoso.

Alla fine viene fuori che il cadavere di ragno non è in realtà un cadavere di ragno ma la muta di Ciop. Proprio così: a differenza di cani e gatti, i ragni ballerini fanno la muta. Non so se questo può essere messo fra i pro.
Quindi niente, prendo uno stuzzicadenti e faccio un po’ di pulizia nella ragnatela. Ogni tanto va fatto, ma non è certamente disgustoso come pulire una lettiera. Sarà una mia impressione, ma a me sembra che Ciop abbia imparato a riconoscermi. Non scappa più come prima quando cerco di accarezzarlo. Cioè, scappa ancora, ma non come prima.

L'altro giorno mi chiedevo se non fosse il caso di andare in terrazzo a catturare qualche insetto e depositarglielo nella ragnatela. Poi però ho pensato: che morte orribile sarebbe? Immagina se qualcuno ti prendesse e ti lanciasse nella tana di una creatura gigantesca che ti immobilizza avvolgendoti in un bozzolo e poi, mentre sei ancora vivo, ti inietta degli enzimi digestivi che liquefano i tuoi tessuti interni e pian piano li aspira, trasformandoti lentamente in un sacchetto di pelle vuoto. Chi potrebbe mai augurare una morte del genere a una persona, anche se è un insetto?
Quindi che fare? Da un lato non voglio essere la causa diretta di una fine così tremenda, ma dall'altro sarebbe terribile se Ciop morisse, vero Cip?
Cip si limita a fissarmi senza nessun entusiasmo.
Peccato che non esistano le crocchette per ragni: piccole crocchette di mosca da versare tutti i giorni in una ciotolina nella ragnatela. Sono forse l'unico in tutto il pianeta ad avere in casa dei ragni? Non credo.

L'altra notte mi sono svegliato intorno alle quattro, ero agitato; dormo sempre male quando Maria Paola è via. Dopo qualche inutile rigirata nel letto, decido di farmi qualche goccia di Lexotan, così mi alzo per andarlo a prendere. Accendo la luce in camera e sul muro vedo un ragno! Un ragno di notte (✅), senza ragnatela (✅), circa 5 cm comprese le zampe (✅)! Prendo la ciabatta e lo ammazzo. Mi dispiace, ma non potevo mettermi a esaminarlo con attenzione, metti che nel frattempo scappava in qualche anfratto? Chi lo trovava più? Sì, ok, per i ragni siamo paesaggio, ti mordono solo se li schiacci eccetera, tutto vero, ma io col cazzo che dormo se ho il dubbio di avere in camera un ragno violino a briglia sciolta!
La mattina dopo, mentre mi faccio il caffè, guardo la ragnatela di Ciop e non c'è più. Cioè la ragnatela c'è ancora, è Ciop che non c'è più. Inutile che dica quello che ho provato.

Ma perché? Perché, dico io, hai lasciato la tua ragnatela per metterti a girare per casa di notte? Non potevi spostarti di giorno come fanno tutti i ragni innocui? Forse volevi venire nel letto con me a farmi compagnia? Il solo pensiero mi fa venire un nodo alla gola.
Leggo che i ragni ballerini abbandonano la loro ragnatela quando ritengono che il posto non sia più sicuro o per andare in cerca di cibo, e quando lo fanno, lo fanno di notte. Sarà...
Vediamo se lo farà anche Cip.

Ad ogni modo, non capisco come la gente possa abitare a Sydney.


LA COSIDDETTA CARBON FOOTPRINT

Il cambiamento climatico è un fatto accertato: ci sono i dati, c'è una spiegazione fisica, c'è il largo consenso della comunità scientifica (non dei media o dei tuttologi da social, ma di chi studia il clima per lavoro). Per gli stessi motivi (dati, spiegazione, consenso) è anche un fatto accertato che questo cambiamento sia dovuto alle attività umane e che, altro fatto ancora, senza contromisure di qualche tipo saranno cazzi non solo per i coralli e le foreste di kelp, ma anche per gli esseri umani.

Questi sono tutti fatti e tutte le persone informate e obiettive li riconoscono senza problemi; c'è invece più difficoltà a riconoscere un altro fatto altrettanto fattuale e molto più elementare, cioè che la mia iniziativa personale non ha nessun effetto sul clima del pianeta. Anche qui ci sono i dati: la concentrazione di CO₂ in atmosfera non è in nessun modo correlata con i chilometri che faccio in macchina ogni settimana (ho controllato); c'è una spiegazione fisica nota: io consumo molta meno energia rispetto a un intero pianeta; e c'è anche il largo consenso di tutte le persone che sanno contare: 1 è molto minore di 8 miliardi.
Io, da solo, non conto niente. Neanche tu conti niente, eh, non è un problema che ho solo io. Che io domani decida di andare a Pechino con un trattore a gasolio o in pattini a rotelle, per il clima del pianeta non fa assolutamente nessuna differenza. Purtroppo i problemi globali sono fatti così: li si può risolvere solo con politiche globali, non con l'iniziativa personale.

Ciononostante spesso mi capita di sentire qualcuno che rinuncia a prendere l'aereo perché gli aerei hanno un'alta carbon footprint, cioè emettono molta CO₂ per passeggero e per chilometro percorso. Magari si ponesse questo problema anche Putin prima di lanciare i suoi missili...
Sicuramente la preoccupazione è giusta, ma la conclusione è sbagliata: se tu, per conto tuo e senza consultare il resto del pianeta, decidi di non andare mai più in vacanza in aereo e di nutrirti solo con polpette di compost, il risultato che ottieni non è salvare l'umanità, è solo farti del male. Purtroppo i tuoi comportamenti privati non modificano la CO₂ in atmosfera nemmeno di un ppm.

L'obiezione che viene fatta in questi casi è "ma se tutti facessero così eccetera", che è vero: se tutti rinunciassero a usare l'aereo, questo ridurrebbe le emissioni globali di CO₂ di circa il 2 o 3%, ma ciò non significa che tutti rinunceranno a usare l'aereo dopo che ci avrò rinunciato io, perché fra quello che faccio io e quello che fa il resto del mondo non c'è nessun nesso di causa-effetto (anche questo è un fatto). Se una proposizione condizionale è vera, questo non fa avverare la sua condizione.

Se io fossi Leonardo DiCaprio o Taylor Swift sarebbe diverso, i miei comportamenti potrebbero essere di esempio per milioni di persone e magari contribuire a cambiare le abitudini del mondo, ma io sono io e, credo di averlo già detto, non conto niente. Aggiungiamo poi che Leonardo DiCaprio e Taylor Swift non solo prendono l'aereo senza problemi ogni volta che pare a loro, ma hanno pure il jet privato. Ti rendi conto? Ci sono persone comuni che rinunciano alle loro vacanze per salvare il pianeta (le conosco) e questi stronzi usano il jet privato anche per andare a fare la spesa. A me sembra ingiusto.

Ingiusto e anche concettualmente sbagliato, perché in realtà, basta pensarci un attimo, la rinuncia di prendere un aereo non solo non fa diminuire le emissioni di CO₂, ma le fa aumentare. È un effetto trascurabile e totalmente insignificante, ma pur sempre opposto rispetto all'effetto altrettanto trascurabile e totalmente insignificante che ci si era prefissati di ottenere con la decisione di non prendere l'aereo.
È molto semplice: supponiamo che il mio sogno sia andare in vacanza alle Maldive (c'è gente che ha queste perversioni), in questo caso la mia carbon footprint per un volo di andata e ritorno Bologna - Malè sarebbe circa 2000 kg di CO₂. Siccome 2 tonnellate è tantino, il senso di colpa potrebbe indurmi a rinunciare a un viaggio a cui tengo tanto e farmi ripiegare su San Benedetto del Tronto: 300 km con una macchina a benzina, andata e ritorno, corrispondono a circa 200 kg di CO₂, che è un fattore 10 in meno. Evviva! Farò delle vacanze di merda, ma almeno potrò illudermi di avere salvato l'umanità!
Invece no.
Se io non salgo su quel Boeing 777, non è che lui non parte; il volo parte né più né meno e emetterà tutta la CO₂ totale che deve emettere con o senza di me, visto che il peso di un solo passeggero è trascurabile rispetto al peso di tutto l'aereo. Quindi l'unico effetto che avrà la mia scelta ecologista di andare a San Benedetto del Tronto è che verranno immessi in atmosfera 200 kg di CO₂ in più rispetto a quelli che sarebbero stati emessi se fossi andato in aereo alle Maldive.

Salvare l'umanità da soli è più complicato di quello che si potrebbe pensare.

L'ISOLA DESERTA

Mi piacerebbe dire che la mia passione per le isole tropicali è iniziata in un modo nobile, che so, leggendo L'isola del tesoro di Stevenson o guardando i dipinti di Gauguin, invece è iniziata facendo la cacca. Mi spiace, purtroppo sono una persona sincera.

Per qualche motivo, cercare isole tropicali con Google Maps mi aiuta ad andare in bagno tutte le mattine, in qualsiasi posto io mi trovi, persino in hotel. Un tempo fare la cacca in hotel non era una cosa banale: avevo bisogno di ambientarmi, testare l'insonorizzazione del bagno, valutare l'efficienza della ventola di aspirazione e altre cose così: ora invece mi siedo sul water (qualsiasi water!), sorvolo un paio di isole e plof: missione compiuta. Questo trucco funziona talmente bene che, se per caso mi metto a guardare isole tropicali in un momento qualsiasi della giornata, è facile che mi venga da correre in bagno. Si potrebbe dire che le isole tropicali mi fanno cagare, ma nel senso buono. Fare la cacca è un momento di vulnerabilità perché ti esponi all'attacco di un predatore, sei in una situazione precaria e lasci tracce olfattive che possono facilitare la tua localizzazione, credo sia per questo motivo che gli animali tendono a farla sempre nello stesso posto: è collaudato e sicuro. Quindi si può dire che, nel mio caso, un posto che mi fa sentire al sicuro, molto più al sicuro del bagno di casa mia, è la spiaggia di un'isola tropicale.

Com’è ovvio, guarda un’isola tropicale oggi, guarda un’isola tropicale domani, col tempo mi è venuta voglia di andarci davvero in una di queste isole, così ho iniziato a documentarmi sui vari arcipelaghi, gli oceani, le barriere coralline eccetera, proprio io che ho sempre odiato il mare. In realtà, come ora ho capito, io non ho mai davvero odiato il mare, quello che odiavo erano gli stabilimenti balneari, i mozziconi di sigaretta nella sabbia, la musica molesta, le costruzioni abusive sulla spiaggia e così via, cioè odiavo il mare nella sua versione antropizzata che, alla fine, è un modo di amare il mare.

– Ehi, ChatGPT, dimmi un modo di esprimere il concetto "amare il mare" senza scrivere una frasetta così orribile.
– Puoi dire: "il mare mi dà vita", "il mare è il mio rifugio", "trovo pace tra le onde". Ti piacciono queste espressioni?
– Ok, come non detto.

È curioso quanto sia diffusa negli esseri umani l'attrazione verso il mare. Cosa c'è di più lontano da un essere umano del mare? Neanche riusciamo a respirare nel mare. Probabilmente abbiamo qualche antico frammento di DNA che risale a quando i nostri antenati primordiali, circa mezzo miliardo di anni fa, vivevano sui fondali degli oceani. Forse il richiamo che sentiamo verso il mare è il desiderio di questa creatura ancestrale di tornare a casa. Sembra tutto molto poetico, vero? Lo è un po' meno quando vedi com'erano fatti questi nostri famosi antenati.


Se può interessare, non avevano l'ano.

Sia chiaro, razionalmente il mare mi fa paura: ho paura delle correnti, degli squali, delle cubomeduse, dei pesci pietra, delle code delle razze e sicuramente di tante altre cose che ora non mi vengono in mente, però istintivamente il mare mi fa sentire a casa. Anche solo lo sciabordio delle onde mi tranquillizza, motivo per cui ogni volta che posso faccio partire la lavastoviglie.

L'altra mia grande passione è la solitudine. Anche questa è una passione abbastanza comune, lo so, ma con mio grande stupore non così comune come meriterebbe: non solo ci sono tante persone che non hanno nessun problema a stare in mezzo alla folla (le invidio), ma addirittura c'è chi di proposito e attivamente ricerca la compagnia degli sconosciuti, come quelli che, quando sei seduto da solo in una sala d'attesa vuota, vengono a sedersi proprio nel posto vicino al tuo. Perché? Qual è il piacere di sentire i borborigmi di uno sconosciuto?

La mia avversione per la folla non è necessariamente un'avversione per le singole persone che la compongono, che per me potrebbero anche essere ottime persone, rispettose degli altri e tutto quanto (anche se quasi sempre sono dei buzzurri), la mia è un'avversione per la loro quantità; mi darebbe fastidio anche stare in mezzo a una folla di me stessi. Il mio problema è che, se sono nella folla, non riesco a pensare ad altro che alla folla, non riesco ad astrarmi e pensare al posto in cui mi trovo.
Non capisco come facciano quelli che si ammassano attorno alla Gioconda ad apprezzare l'opera che stanno guardando. Io, quando vado in un museo tipo il Louvre, non provo nemmeno ad avvicinarmi alle opere cosiddette iconiche, meglio guardare le teche con i cocci dei vasi attici in tutta tranquillità, piuttosto che la Gioconda stipati come sull'autobus il lunedì mattina. Il piacere di stare in un posto che non si conosce, qualsiasi posto, sta nel poterlo perlustrare con calma, goderselo così com'è senza alterazioni o interferenze; se sei in mezzo a una folla di turisti, è chiaro che non puoi dire di essere veramente nel posto in cui sei, è come bere un bicchiere di Barolo con il chewing-gum. Questo è il paradosso del turismo di massa: i turisti cercano l'autenticità dei luoghi, ma la loro stessa presenza gliela nega, primo perché li affollano, secondo perché li trasformano in parchi a tema e mangiatoie.
Sembra il famoso esperimento quantistico della doppia fenditura in cui gli elettroni si distribuiscono secondo una figura di interferenza: se cerchi di rilevare in quale delle due fenditure passano gli elettroni, distruggi la figura di interferenza (se non conosci l'esperimento della doppia fenditura, cerca cos'è: è una di quelle cose che ti fanno sospettare che questo universo sia uno scherzo).

Un po' di tempo fa ho letto che le persone che fanno turismo sono il 6%. Cioè, non so se mi spiego, su 8 miliardi di persone che attualmente calpestano la superficie di questo pianeta, solo mezzo miliardo può permettersi di viaggiare per piacere o gli è mai venuto in mente di farlo. Questo significa che con l'aumentare del benessere economico e della conoscenza, il numero di turisti è destinato a esplodere, mentre purtroppo i posti da visitare sono sempre quelli: quando i turisti saranno il triplo, non è che ci saranno tre Gioconde.
Per esempio l'anno scorso mi sono detto: andiamo a vedere il Partenone! È una delle mete turistiche più famose del mondo, ma io, credendomi furbo, ho pensato: ci andrò a metà ottobre, di lunedì mattina, appena apre.
Questo il risultato:


Pensa quando i turisti saranno il 18% o il 75%. Di tutte le cose che si suppone Dio abbia detto agli esseri umani, l'unica che hanno recepito perfettamente è "andate e moltiplicatevi"; magari avessero messo in pratica così alla lettera anche "non uccidere".

Dunque l'isola deserta, benissimo, ma quale?
Specifichiamo subito che l'isola deserta non può essere veramente deserta, altrimenti morirei nel giro di due giorni, quindi tutti questi meravigliosi atolli disabitati mi sono inevitabilmente preclusi.




Cosa importante da specificare è che l'isola deve essere un atollo corallino, non un'isola montagnosa che scende a picco nell'oceano. Gli atolli hanno diversi vantaggi: hanno spiagge che degradano lentamente nel mare; hanno una laguna protetta dalla barriera corallina dove le acque sono calme e gli squali sono piccoli; la sabbia, essendo fatta di coralli sbriciolati, non è così fine come la sabbia di granito e questo rende l'acqua trasparente anche su fondali sabbiosi. Tutto questo fa sì che il mare degli atolli tropicali sia una meravigliosa piscina naturale di acqua tiepida e trasparente, dove puoi sguazzare spensieratamente fra i pesci dimenticandoti di esserti evoluto in un mammifero.

Dopo un po' di ricerche, ho trovato degli operatori turistici che fanno proprio il servizio che in teoria piacerebbe a me: ti prelevano da un qualche aeroporto e poi, dopo alcuni giorni di viaggio in barca, ti abbandonano su un'isola deserta dove hanno preparato una casetta tutta per te, con dell'acqua, un po' di cibo in scatola e il necessario per pescare e cucinare; nient'altro: non ci sono persone (ovviamente), non c'è internet, non c'è elettricità, non c'è acqua calda, non c'è niente, ci sei solo tu e la tua casetta attrezzata. Se per caso c'è un'emergenza, hai a disposizione una ricetrasmittente per chiamare aiuto, in modo tale che qualcuno possa arrivare prontamente sull'isola e constatare il tuo decesso.
Bello, magari più avanti. Ora preferirei iniziare con un'isola deserta dove ci sia una doccia e qualcuno che mi prepari la colazione, diciamo un'isola parzialmente deserta.

A questo scopo esistono le isole private: isole di proprietà di un unico hotel dove possono soggiornare solo gli ospiti e il personale. Ecco un esempio tipico:


Non è necessario dire qual è il problema, vero?


Che senso ha fare la fatica di un viaggio intercontinentale se poi finisci in un posto che sembra l'acquapark di Riccione?


Probabilmente qualcuno, vedendomi disprezzare questi obbrobri, vorrebbe dirmi “purtroppo questo è quello che la gente comune può permettersi”. Ebbene, colpo di scena, l'ecomostro in foto costa 7238 € a notte ("7238" non è un errore di battitura, ma una serie di cifre che sta proprio a significare “settemiladuecentotrentotto”). Sono le vacanze di cantanti e calciatori, non della gente comune.

Quindi, ricapitolando: l’isola deve avere un hotel, ma non deve sembrare la periferia di Busto Arsizio; le spiagge devono essere pure e incontaminate così come sono emerse dall'oceano primordiale; il mare deve essere il posto in cui stanno i pesci, non le ville di plastica; sulle spiagge non devono esserci segni di vita umana a parte i miei; e infine, ovviamente, deve costare un po' meno di 7238 € a notte.
Dopo anni di meticolosa ricerca sul water, finalmente un giorno, alla fine del 2023, ho trovato la mia isola; non dico come si chiama perché non è ancora stata scoperta da nessun influencer e vorrei poterci tornare. È perfetta: c'è un hotel nascosto in mezzo alla foresta, c'è un piccolo villaggio di autoctoni (posso accettarlo) e per il resto è abbandonata a se stessa.


Chilometri e chilometri di spiaggia primigenia non solo senza esseri umani, ma senza nemmeno i segni della presenza di esseri umani su questo pianeta: niente costruzioni, niente ombrelloni, niente mozziconi, niente musica, niente barche, niente aerei, niente di niente; le uniche impronte sulla sabbia sono quelle dei paguri e delle sterne fuligginose. È come essere in Lost, ma senza essere precipitati con l'aereo.


Nel caso te lo stessi chiedendo, la risposta è no, stare su un’isola tropicale non mi fa venire voglia di andare in bagno. Ho scoperto che, per farmi venire voglia di andare in bagno quando sto su un’isola tropicale, devo guardare isole tropicali diverse da quella su cui mi trovo. La mia pancia è una persona complicata.

Un giorno, non so di preciso che giorno fosse perché avevo smesso di fare le tacche sulla roccia, mentre cammino da ore sotto il sole a picco dell’equatore, inizio a chiedermi: ma come facevano i primi esseri umani senza crema solare protezione 50+? Tutti amiamo la natura, ok, ma chiaramente questo amore non è ricambiato. Come facevano i nostri antenati a non ferirsi i piedi con i frammenti di corallo se non avevano le scarpette da scoglio? A dissetarsi senza le bottiglie d’acqua dell'hotel? A sapere dove si trovavano senza GPS? Come ha fatto il genere umano a sopravvivere per 300 mila anni senza vasca da bagno, spazzolini da denti, croissant alla crema e tutto il resto? Se io fossi nato 300 mila anni fa, sarei sicuramente morto alla prima colazione senza avocado toast.
Questo pianeta ci si presenta con un aspetto meraviglioso, ma dietro i suoi paesaggi paradisiaci, le barriere coralline eccetera c’è sempre il solito universo, quello di Plutone, dei nuclei galattici attivi o, molto più banalmente, del vuoto interstellare: un universo totalmente e integralmente ostile alla vita umana.

Fatte queste riflessioni, io e Maria Paola abbiamo giocato a palla nell'oceano.

IN COMA È MEGLIO SU SUBSTACK

Piccola novità: d'ora in poi "In coma è meglio", cioè questo blog, avrà una sua versione gemella su Substack (eccola qui), dove verranno pubblicati gli stessi post che vengono pubblicati qui e in più, un po' per volta, anche una selezione di vecchi post riveduti e corretti.
Chi è interessato può iscriversi alla newsletter qui sotto e ricevere via email tutti i post che man mano saranno pubblicati:


Perché questo?
Perché Substack permette di avere una newsletter gratuita con infiniti iscritti, mentre la newsletter che sto usando per questo blog (si chiama Mailchimp) permette una quota massima di 500 iscritti che ho ormai raggiunto, dopo di che, per poter avere più iscritti, bisogna pagare 30€ al mese. Un po' tanto, visto che Substack fornisce lo stesso servizio gratis.

Quindi, in sintesi, chi è iscritto alla newsletter attuale può decidere di non fare niente e rimanere fra i 500 privilegiati che possono ricevere la newsletter del blog originario, oppure può iscriversi alla nuova newsletter di Substack e ricevere di tanto in tanto, oltre ai post nuovi, anche quelli storici.

Avrei potuto evitare di fare tutto questo pistolotto e trasferire in automatico tutta la lista di iscritti da Mailchimp a Substack, ma preferisco che ognuno decida di fare quello che vuole in modo autonomo.

Ciao!

L'UNIVERSO È UN POSTO ASSURDO

L'universo è un posto assurdo, per rendersene conto non è necessario pensare a buchi neri, big bang o paradossi quantistici, basta guardare una stella: cosa c'è di più familiare di una stella? In realtà ciò che è familiare è la parola, non la stella. Purtroppo le parole hanno questa fregatura: rendono banale l'eccezionale. Da un lato è un bene, è comodo: se ci fermassimo a riflettere tutte le volte su ogni cosa che nominiamo, non riusciremmo più a vivere in modo funzionante (lavarci, uscire di casa, pranzare, quelle cose lì), ma d'altra parte è anche un peccato, perché la familiarità delle parole ci fa dimenticare che viviamo in un posto assurdo.

Per esempio, Deneb. 
Quando la sera in estate esco sul terrazzo, ogni tanto guardo quelle quattro o cinque stelle che l'inquinamento luminoso cittadino mi permette di vedere: una di queste è Deneb. 


All'apparenza non è niente di speciale, solo un puntino luminoso, se però mi fermo a pensare a cosa sto guardando, la rassicurante normalità di tutto quello che ho intorno (vasi, parapetti, luci cittadine eccetera) inizia a perdere senso.
Deneb è la più lontana di tutte le stelle facilmente visibili a occhio nudo: si trova a circa 2600 anni luce. Per dire, le altre stelle che in questo periodo riesco a vedere sono Altair (17 anni luce), Vega (25), Arturo (37). Questo significa che io, che sono miopissimo e ho una vista di merda anche con gli occhiali, mentre me ne sto seduto in terrazzo sommerso dalle luci della città, riesco comunque a vedere senza problemi un oggetto che si trova a 25 milioni di miliardi di chilometri. Non è assurdo? Già mi stupisco quando nelle mattine serene d'inverno riesco a vedere le Prealpi, che sono a circa 200 chilometri, figuriamoci un coso che sta a 25 milioni di miliardi di chilometri.
Siccome con i numeri così grandi è difficile farsi un'idea e alla fine dire "un miliardo di chilometri" o "mille miliardi di miliardopoli" è un po' la stessa cosa, facciamo un paragone molto approssimativo giusto per rendere l'idea: se questi due pallini sono il Sole e la Terra

•     ·

allora Deneb si trova grosso modo a 1500 chilometri dal tuo monitor.
Non so se questo esempio è stato di aiuto, ad ogni modo il punto è questo: ci sono dei fotoni denebiani che sono usciti dall'atmosfera della stella 2600 anni fa, quando Anassimandro immaginava che l'universo fosse fatto così


hanno viaggiato per tutto quel tempo nello spazio interstellare senza interagire con niente e ieri sera sono arrivati intatti e incontaminati come Deneb li ha fatti dritti nei miei occhi, sono stati raccolti dalla mia retina e hanno prodotto impulsi elettrici nel mio cervello che adesso mi stanno facendo scrivere questo post. È a tutti gli effetti un contatto diretto con un remotissimo oggetto alieno, è come averlo toccato.
Ok, i fotoni sono particelle con massa a riposo nulla e, a differenza delle particelle di cui è fatta la materia, posso metterli tutti nello stesso stato quantico senza che si lamentino, però sono comunque particelle, non sono concetti o leggende, sono entità fisiche reali che sono uscite dall'atmosfera di una stella aliena e sono finite nei miei occhi.

L'assurdità della situazione aumenta se penso a cos'è davvero Deneb, perché da qui sembra un innocuo puntino ma in realtà è un'immensa palla di gas luminoso al cui confronto il nostro Sole, che pure è discretamente immenso, diventa un'insignificante cacchina. Questo il confronto


Non fa impressione? Se prendiamo questo tramonto


e immaginiamo di mettere Deneb al posto del Sole, il risultato è questo


Carino, vero? Questo perché il raggio di Deneb è circa uguale alla distanza della Terra dal Sole.

Deneb emette così tanta luce che se fosse alla distanza di Alfa Centauri, la stella a noi più vicina, sarebbe più luminosa della Luna piena, cioè la vedremmo benissimo anche di giorno, come una specie di secondo Sole (giusto per farsi un'idea più precisa: la magnitudine della Luna piena è -12,7; se Deneb fosse alla distanza di Alfa Centauri avrebbe una magnitudine di -13,2, cioè sarebbe 1,6 volte più luminosa della Luna). Peccato non sia andata così, sarebbe stato divertente. Di certo riusciremo a vedere Deneb di giorno quando esploderà come supernova fra qualche milione di anni. Non vedo l'ora.

Noi siamo abituati a un mondo di tramonti, Prealpi, terrazzi eccetera, non siamo abituati a un mondo di vuoto quasi perfetto, anni luce di oscurità e immense palle di gas luminoso che si muovono nel nulla e ogni tanto esplodono. Il nostro mondo familiare è la stranezza, il posto assurdo in cui invece ci troviamo è la normalità.

TUTTE LE FORTUNE DI TRUMP

È davvero stupefacente quanto Trump sia fortunato. È talmente fortunato che potrebbe essere usato come prova della non esistenza di dio, o perlomeno della non esistenza di un dio buono, mentre sarebbe un'ottima prova dell'esistenza di un dio bastardo (attenzione: qui "dio bastardo" non è una bestemmia, dal momento che non mi sto riferendo al dio cristiano, che è buono e inesistente, ma a un ipotetico dio bastardo di mia invenzione che invece potrebbe esistere). È da un bel po' che ho notato che a quest'uomo gira sempre tutto nel verso giusto e ormai mi ero più o meno assuefatto a questa curiosa peculiarità del nostro universo, ma quest'ultima storia dell'attentato fallito è riuscita comunque a stupirmi. Mi sono detto: "ma com'è possibile? Ma cos'ha fatto di male la specie umana per meritarsi la longevità di Trump e la morte di Schubert a 31 anni?".

Ora farò un elenco di tutte le fortune di Trump, perché le voglio vedere tutte scritte e ordinate una dietro l'altra. Cioè, tutte... diciamo le più eclatanti. A cosa serve? Boh? Forse a consolarci insieme (io e te, dico) per quanto siamo sfortunati che Trump sia così fortunato, un po' come dice il famoso adagio "mal comune mezzo eccetera", perché l'evento "Trump Presidente" è di sicuro un "mal comune", un gigantesco "mal comune", comune anche a chi lo vota, benché sia troppo in estasi per rendersene conto, e comune anche a chi non vive negli Stati Uniti, visto che gli Stati Uniti non sono il Portogallo ma sono, appunto, gli Stati Uniti; un male molto probabilmente comune anche allo stesso Trump, essendo quest'uomo uno di quegli infelici che più ottengono ciò che vogliono più sentono la mancanza di ciò che ancora non hanno, autoannientandosi man mano che si autoaffermano, un po' come fanno gli incendi. Chissà, forse tutto questo poteva essere evitato se i suoi genitori lo avessero mandato ad asfaltare le strade quando aveva otto anni. Tutti sempre a parlar male del lavoro minorile e poi i risultati sono questi.


La prima grande fortuna di Trump è che i suoi elettori lo amano a prescindere, esattamente come fanno gli adepti di una setta con il loro guru. Mentre l'elettore comune è normalmente ipercritico e diffidente nei confronti dei politici, sempre accusati di mentire, rubare e imbrogliare anche quando non c'è nessuna base per sostenerlo, Trump è visto come una specie di novello Gesù Cristo: può fare qualsiasi cosa senza perdere mai l'amore dei suoi fan, anche mentire (condanna di 83,3 milioni di dollari per diffamazione), rubare (condanna di 354 milioni di dollari per frode) e imbrogliare (colpevole di avere falsificato i conti della campagna elettorale 2016; la sentenza non è stata ancora scritta, ma di questo dirò dopo perché riguarda un'altra fortuna di Trump, non questa qui).
Questo amore incondizionato non è una fortuna specifica di Trump ma è comune a tutti i populisti cosiddetti carismatici (dove con "carismatico" credo si intenda "psicopatico"), ciononostante ho voluto menzionarla perché è una fortuna molto importante: non solo gli permette di conservare il suo consenso elettorale sempre e comunque, anche nel caso venisse ripreso mentre sodomizza un maiale (è una citazione di Black Mirror, ok?), ma gli permette anche di eliminare senza sforzo ogni dissenso interno al partito. Chiunque osi criticarlo ha poi due possibilità: 1) o si affretta a rimediare trasformandosi in un impareggiabile leccaculo (lo hanno fatto Ted Cruz, Marco Rubio, Lindsey Graham e recentemente James Vance, il futuro vice Presidente degli Stati Uniti che in passato ha definito Trump "cynical asshole” e “America’s Hitler”, ma forse erano complimenti); 2) o si cerca un altro mestiere visto che nessuno lo voterà mai più (è successo per esempio a Paul Ryan, Liz Cheney o, il caso più divertente di tutti, all'ex vice Presidente Mike Pence, quando la folla del 6 gennaio voleva impiccarlo davanti al Campidoglio senza però riuscire a catturarlo. Speriamo che con Vance vada meglio).
Ancora oggi in Italia c'è gente che ama Mussolini nonostante sia morto da un pezzo e sia riconosciuto da tutti i libri di Storia come uno dei peggiori criminali del Novecento, figuriamoci se non può amare incondizionatamente uno che è ancora vivo e non ha ancora ucciso nessuno. "Vivo" e "non ha ancora ucciso nessuno" è quanto basta a Trump per meritarsi l'entusiasmo del suo elettorato.

Una seconda fortuna di Trump è la distribuzione dell'elettorato repubblicano rispetto a quello democratico. Se nelle elezioni americane vincesse semplicemente chi prende più voti, Trump avrebbe perso già nel 2016, quando era ancora relativamente innocuo, avendo preso il 46.1% dei voti contro il 48.2% di Hillary Clinton, ma per sua grande fortuna negli Stati Uniti non vince chi prende più voti, ma chi ottiene più grandi elettori. Come probabilmente saprà chi sta leggendo questo post, ogni Stato mette in palio un certo numero di grandi elettori e per aggiudicarseli basta un solo voto in più dell'avversario: vincere in uno Stato con il 51% o il 100% è la stessa identica cosa, il numero di grandi elettori che ti aggiudichi è sempre quello, l'unica differenza è che nel secondo caso metà dei voti sono sprecati. Siccome gli elettori repubblicani sono distribuiti più uniformemente fra i vari Stati rispetto agli elettori democratici, la conseguenza è che vanno sprecati molti più voti democratici che repubblicani.
È sempre stato così? No, però adesso, proprio in questi anni fantastici e pieni di sorprese, il caso ha voluto che i democratici abitino praticamente tutti in California e a New York, mentre i repubblicani li trovi un po' dappertutto, come le zanzare.
Grazie a questo regalo della buona sorte, un candidato democratico può vincere le elezioni presidenziali solo se le stravince, come ha fatto Biden nel 2020 (51.3% - 46.8%), se invece le vince di poco, ha perso. Questo non sarebbe un problema così grave se il candidato repubblicano fosse un normale politico conservatore e non un criminale psicopatico amico di Putin. Non è un'iperbole, eh, è la realtà oggettiva: è un criminale perché è stato condannato in un processo penale (vedi sopra); è amico di Putin perché lo dice lui stesso; è psicopatico perché questa parola descrive in modo preciso il suo comportamento. Copio da Wikipedia:

«Gli psicopatici non provano rimorso per le proprie azioni. Se causano danni ad altri, non provano vergogna né senso di colpa, ma incolpano qualcun altro.
Non provano alcuna emozione verso gli altri in generale, dimostrando insensibilità e disprezzo.
Possono avere un fascino superficiale e si esprimono senza preoccuparsi della realtà dei fatti.
Tendono a essere impulsivi e irresponsabili.
Mancando la coscienza e l'empatia, fanno ciò che vogliono e a proprio piacere, violando le norme sociali senza alcuna vergogna o rimorso; ciò che manca, in altre parole, è la reale qualità che permette a un essere umano di distinguersi dall'animale».

Perfetto, no? Manca solo la grande passione per le pettinature sceme.

Terza fortuna di Trump: i senatori. Siccome gli Stati Uniti sono una repubblica federale, gli autori della Costituzione hanno pensato di assegnare lo stesso numero di senatori (due) a ogni Stato, indipendentemente da quanto grande o piccola sia la sua popolazione, in modo da impedire che gli Stati più piccoli finiscano per non contare niente. In questo modo succede che la California (40 milioni di abitanti) può eleggere due senatori esattamente come il Wyoming (0.5 milioni), il Nord Dakota (0.7 milioni), il Sud Dakota (0.9 milioni) e tutti gli altri pezzi semideserti di campagna americana. Sembra assurdo, vero? Ma questi famosi padri costituenti non erano scemi, erano solo nel 1787 e a quel tempo Los Angeles era poco più grande del mio soggiorno.
Come succede un po' in tutto il mondo, i conservatori che odiano gli immigrati vivono principalmente nelle campagne, mentre i progressisti stanno nelle grandi città a bere margarita e fantasticare sull'innata accoglienza della gente di campagna non ancora corrotta dal capitalismo, con il risultato che il Senato degli Stati Uniti, a differenza del Congresso, ha una sovrarappresentanza di repubblicani. Questa fortunata coincidenza fra decisioni settecentesche e distribuzioni umane moderne, ha fatto sì che il Senato abbia assolto Trump dalle accuse di impeachment sia nel 2020 (la famosa "telefonata perfetta" in cui ricattava Zelensky) sia nel 2021 (il famoso colpo di stato passivo-aggressivo).
Bastavano cinque o sei Dakota in meno e Trump sarebbe stato condannato.

Poi c'è la Corte Suprema. Quanti giudici della Corte Suprema ha nominato Obama in otto anni di presidenza? Due. Quanti Trump in quattro anni? Tre. Non è fortuna questa? Un giudice obamiano ogni quattro anni contro un giudice trumpiano ogni anno e tre mesi circa. L'ultima giudice è stata nominata in sostituzione di Ruth Bader Ginsburg morta il 18 settembre 2020, giusto due settimane prima delle elezioni (due settimane, non so se mi spiego), neanche avesse un timer interno. Tutti e tre i giudici confermati senza problemi dal Senato fortunato appena menzionato.
Grazie a questa Corte Suprema così infarcita di nomine trumpiane ("only the best people"), Trump ha avuto in regalo il rinvio del suo processo per l'insurrezione del 6 gennaio, l'immunità parziale per tutti i crimini vari ed eventuali commessi mentre era (e sarà) Presidente e, come conseguenza di questo, il rinvio della sentenza di cui sopra che sarebbe dovuta arrivare l'11 luglio, appena prima del congresso repubblicano, con l'ipotesi non così improbabile che Trump avrebbe dovuto collegarsi in remoto da una comoda cella di Rikers Island).
Ma io dico, questo stronzo non poteva limitarsi a vincere il SuperEnalotto come fanno tutti?

Ma non è finita. Altro colpo di fortuna: il tragico rincoglionimento di Biden. In teoria poteva rincoglionirsi lui, no? Non è poi così più giovane, ci sono solo tre anni di differenza. No, chi si rincoglionisce? L'altro.

Arrivati a questo punto, chiunque sarebbe soddisfatto della sua opera, ma il Fato che governa questo universo di dolore e disperazione non è un tipo che sta con le mani in mano a lungo e così arriviamo all'attentato del 13 luglio (13 luglio 2024, per quelli che leggeranno questo post nel futuro, sempre che ci sarà un futuro): un tizio, per motivi non ancora chiari visto che era un elettore registrato repubblicano, decide di assassinare Trump durante un comizio e lo manca di un centimetro: un solo minuscolo centimetro di distanza tra la fine di Trump e l'apoteosi di Trump eroe dell'universo con tutti che lo adorano e i nemici che si scusano e si inginocchiano vergognosi al suo cospetto chiamandolo Santo; in mezzo il nulla, solo queste due possibilità: o la fine o l'apoteosi.

C'è questo vecchio film di Cronenberg, "La zona morta", tratto da un romanzo di Stephen King e ora te lo spoilererò. È la storia di Christopher Walken che per qualche motivo ha questo potere soprannaturale di vedere il futuro delle persone che tocca. Il potere si rivela ben presto una specie di maledizione o qualcosa del genere ma non ricordo bene perché. Quello che mi ricordo è che un giorno Christopher Walken va a un comizio di un candidato repubblicano (credo fosse repubblicano, ma potrei sbagliare) e stringendogli la mano vede che in un futuro non lontano diventerà Presidente degli Stati Uniti e fra una grappa e l'altra scatenerà una guerra nucleare planetaria (il dettaglio delle grappe potrebbe essere apocrifo). Allora cosa fa Christopher? Quello che farebbe una qualsiasi persona normale: decide di assassinare quel figlio di puttana. Si organizza, compra un fucile, si allena a sparare (non abbastanza) e il giorno in cui è previsto un comizio di questo futuro Presidente si apposta in un angolo, gli spara e lo manca. Esattamente come è successo il 13 luglio: il criminale si salva e il povero attentatore viene ammazzato dalla sicurezza. Ma è a questo punto della storia che interviene il genio di Stephen King e il repubblicano, impaurito dallo sparo, prende un neonato che passava di lì per caso e lo usa come scudo umano per proteggersi. Questa sarà la foto che passerà alla Storia: un criminale vigliacco che si fa scudo con un neonato, non un criminale vigliacco che alza il pugno in segno di sfida mentre una bandiera degli Stati Uniti sventola eroicamente sopra la sua testa.
Christopher morente riesce a toccare un'ultima volta il candidato repubblicano e vede che la sua carriera è finita, stroncata da quella foto, e tutto finisce bene con il criminale che si suiciderà e Christopher che muore felice: anche se tutti pensano che sia lui il vero criminale, in realtà lui sa di avere salvato il mondo.
Bello, no?
Peccato che la Storia di questo pianeta non sia scritta da un autore di romanzi horror.

DOCUMENTARI SUGLI ESSERI UMANI

Siccome sabato non avevo voglia di fare niente, mi sono detto: perché non passare la giornata a guardare documentari? Visto che c'è qualcuno che ha condiviso con me il suo abbonamento a una di queste piattaforme di streaming video, ora mi ritrovo con un sacco di film e documentari da guardare a scrocco (grazie qualcuno!).
Ho scelto di vedere documentari invece che film per lo stesso motivo per cui, se devo andare a caso, preferisco leggere saggi invece che romanzi: è molto raro che un'opera di finzione valga davvero la pena di essere letta/vista, mentre un'opera informativa, chiamiamola così, può essere interessante anche se non è particolarmente significativa, qualcosa impari sempre.
Quindi documentari.

La prima cosa che noto (1) è che sono quasi tutti su animali (perlopiù squali), Hitler e catastrofi, qualcuno su paradisi terrestri o gente che fa cose avventurose, nessuno sulla fisica (vale a dire su tutto il resto dell'universo). Squali e Hitler sono interessanti, certo, ma perché non c'è neanche un documentario sulla nucleosintesi primordiale o sul dualismo onda-particella? Sono fenomeni naturali molto più incredibili dei vermi luminosi delle grotte di Waitomo (che comunque sono assolutamente incredibili).
Ma questo non è un problema, gli animali mi interessano, purché siano a debita distanza e ci sia uno schermo televisivo fra me e loro. Sulla Terra ci sono più di otto milioni di specie diverse di cui non so assolutamente niente ed è bellissimo non sapere niente quando hai tanti documentari da guardare. Così inizio il mio binge watching documentaristico.
Al terzo video, mentre sto guardando l'accoppiamento dei leoni marini delle Galapagos, noto alcune altre cose che tutti questi documentari hanno in comune:

2) Sono pieni di musica. La musica non tace praticamente mai e imbottisce ogni scena con la massima enfasi. È come quei telecronisti sportivi che urlano esaltati per tutti i 90 minuti di Empoli - Sassuolo 0 - 0.

3) Sono pieni di riprese spettacolari. Questa è una cosa positiva, a chi non piacciono le riprese spettacolari? Se non fosse che, con tutti quei droni e quella post-produzione, a volte sono talmente spettacolari da sembrare finte. A volte sembra di guardare un film Marvel.

4) Sono pieni di frasi a effetto e retorica ma avari di dettagli e spiegazioni. Come direbbe qualcuno: "la gente non ne ha mai abbastanza di retorica". È vero che una storia, vera o finta che sia, va saputa raccontare, ma proprio i dettagli e le spiegazioni sono la storia di un documentario, non possono essere sostituiti da pistolotti motivazionali come nelle pubblicità delle auto.
Il risultato è che si passa velocemente da un argomento all'altro senza mai approfondirne nessuno. Voglio dire, mi parli delle vongole? Benissimo, dimmi tutto delle vongole! Dimmi quante specie ci sono, come funziona il loro olfatto (hanno l'olfatto?), da cosa si sono evolute, di cosa si nutrono, quali predatori hanno, come passano il tempo libero, tutto. Non limitarti a farmele vedere per trenta secondi con una bella musica mentre corrono nella savana.

5) (E questa è la cosa più triste) chi più chi meno, questi documentari cercano sempre di umanizzare gli animali: li descrivono come se avessero emozioni e desideri umani, attribuiscono loro scopi e progetti, li inseriscono in storie simili a quelle umane con amici, parenti, mariti e mogli. Tanto per rendere l'idea, la prole viene chiamata "bambini", gli accoppiamenti "storie d'amore" e non è raro che il narratore dia voce ai "pensieri" degli animali con esclamazioni del tipo: "e ora che vuole questo?!" (quando un coccodrillo d'acqua dolce dell'Australia settentrionale si imbatte in un coccodrillo marino) o "finalmente a casa!" (quando una formica tagliafoglie ritrova la strada verso il suo formicaio nella foresta pluviale) o "uhm.... vediamo se così funziona" (quando un amphioctopus marginatus del pacifico si protegge da un odontodactylus scyllarus col guscio di una codakia tigerina).
Che bisogno c'è di tutto questo?

Siccome lo scopo di queste piattaforme è avere più spettatori possibili, possiamo assumere che questi documentari siano ritenuti i più interessanti per il maggior numero di persone possibili, non solo per quanto riguarda gli argomenti trattati ma anche per il modo in cui sono raccontati. È difficile credere che una multinazionale che investe miliardi di dollari commetta l'errore di comprare mille documentari tutta musica e retorica sugli squali, quando invece la gente preferirebbe vedere gli scienziati del CERN che spiegano per un'ora e mezza come funziona il Large Hadron Collider. Quindi è ragionevole concludere che questi documentari siano davvero ciò che la stragrande maggioranza della gente vuole vedere quando decide di vedere un documentario, questo significa che dicono molto di più sugli esseri umani che sugli animali che descrivono.

Vediamo cosa dicono.
La prima informazione che si ricava (vedi punto 1) è che alla specie umana non frega niente di sapere come funziona l'universo in cui vive. Sembra assurdo, lo so, ma vista la premessa data sopra (multinazionale miliardi eccetera), non c'è altra conclusione possibile. Ovviamente ci sono alcuni individui a cui questo universo interessa, altrimenti vivremmo ancora nelle caverne con la TV in bianco e nero, ma a noi umani, come specie, non interessa. Non so perché. Forse in un mondo in cui la gente crede a figli di Dio che risorgono, alieni nascosti dal Governo e memorie dell'acqua, l'esperimento della doppia fenditura non sembra poi così spettacolare.

Altra informazione immediata (punto 2), gli esseri umani hanno un perenne bisogno di avere un sottofondo musicale, qualcosa di più o meno melodioso che cancelli ogni possibilità di imbattersi in un momento di silenzio.

Poi.
La stato d'animo che più accende l'attenzione umana è la paura (squali, Hitler e catastrofi).

Il bisogno di essere stupiti vince su quello di capire (punti 3 e 4).

Un essere umano si interessa a qualcosa solo se riesce a rivedere se stesso (punto 5). 

E infine (tutti i punti), la mente umana viaggia più sui binari dell'emotività che su quelli della razionalità, che è un po' il motivo per cui la nostra specie esiste da circa 300000 anni ma ha capito che un'ipotesi va verificata sperimentalmente solo 400 anni fa.
Questo è abbastanza sorprendente.

La razionalità è la funzione più potente del cervello umano, nessun altro animale ce l'ha, nemmeno gli scimpanzé nonostante siano così carini. Ogni esemplare della specie umana è dotato di razionalità, è lì a disposizione sempre pronta all'uso nella testa di ogni homo sapiens: nella tua, nella mia, persino in quella di un testimone di Geova. Ha l'inconveniente di essere faticosa, è vero, va tenuta in allenamento, spesso dà risultati controintuitivi o addirittura sgradevoli, ma è la funzione cerebrale che garantisce le maggiori probabilità di successo quando si tratta di capire una cosa, qualsiasi cosa: dalla formazione delle galassie a come si cambia l'ora sul display del forno. Eppure gli esseri umani scelgono di lasciarsi guidare dall'emotività: preferiscono credere alle storie che suonano bene invece che a quelle fondate; si fanno impressionare da trucchi e paroloni invece che dai dati; trovano più convincente chi li rassicura nelle loro convinzioni soggettive a chi invece cerca di descrivere il mondo in modo oggettivo.
Questo è un peccato. È un po' come fanno quegli avari che hanno i milioni in banca ma vivono da pezzenti.