L'universo è pieno di cose paurose: orizzonti degli eventi, materia degenere, getti relativistici eccetera, tutte cose che se apparissero di notte in camera da letto ci farebbero molta più paura di un banale fantasma. Tutti fenomeni naturali, ovviamente, ma in confronto a quello che di solito succede in una classica vita umana sembrano soprannaturali. Selvaggiamente soprannaturali. Ma anche senza prendere in considerazione fenomeni così estremi, basta pensare a una "banale" superficie di Titano per avere paura. Cioè, voglio dire, in questo momento, a circa un miliardo e mezzo di km dal mio rassicurante soggiorno, c'è un posto così
un posto perennemente immerso in questa foschia arancione, a 180 gradi sotto zero, dove i mari sono di metano liquido. Anche se non ci abita nessuno, questo posto esiste e io potrei benissimo essere lì, con la mia tuta pressurizzata, seduto in mezzo a quei sassi di ghiaccio (probabilmente) d'acqua.
Eppure le cose più paurose dell'universo non sono queste, ma tre sue caratteristiche che a prima vista potrebbero non sembrare particolarmente degne di terrore.
La prima è che l'universo cambia.
Cambia non semplicemente nel senso che una stella oggi è qui e poi fra un miliardo di anni è là, ma cambia nel senso che invecchia. Per esempio c'è stata un'epoca nel passato in cui non esistevano stelle e ci sarà un'epoca nel futuro (fra 100 mila miliardi di anni) in cui le stelle smetteranno di formarsi, e poi un'altra epoca (fra 10 mila miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di anni) in cui l'universo sarà dominato dai buchi neri e così via. A me questi cambiamenti fanno paura, più o meno come alle civiltà antiche facevano paura le eclissi o le comete.
Per qualche motivo la mente umana ha sempre trovato più rassicurante l'idea di un universo eterno e immutabile (Aristotele), e quando si è visto che invece l'universo cambia (Galileo), si è comunque continuato a pensare che su grande scala dovesse essere, se non immutabile, perlomeno statico (Newton), e quando poi un tizio coi baffi (Einstein) ha dedotto dalla sua nuova teoria della gravità che in realtà l'universo non è statico ma si espande, quello stesso tizio ha cercato fin che ha potuto di opporsi alla sua stessa deduzione e alla fine, quando ormai nessuno poteva più negare il fatto che l'universo si espande, è stato fatto un ultimo disperato tentativo per mantenerlo almeno stazionario, cioè in espansione, ok, ma sempre uguale a se stesso (Fred Hoyle, Hermann Bondi, Thomas Gold). Non è incredibile? Più di duemila anni di sforzi intellettuali per opporsi alla spaventosa idea di un universo che cambia.
Una conseguenza di questa espansione (seconda cosa paurosa) è che l'universo ha avuto un inizio.
Questo significa che esiste un giorno nel passato, molto probabilmente un lunedì, in cui l'universo ha iniziato a esistere, così, dal nulla. Perché un universo si dovrebbe mettere a esistere? È vero che i credenti hanno sempre pensato a un evento del genere senza trovarlo particolarmente spaventoso, ma i credenti hanno il vantaggio di presupporre che ci sia un creatore, e se c'è un creatore allora non si può dire che l'universo sia veramente nato dal nulla, visto che è nato da, appunto, un creatore. Bisogna ammettere che il concetto di creatore è abbastanza rassicurante e mette a tacere un bel po' di ansie cosmologiche, perché vuol dire che esiste un meta-universo divino, guarda caso eterno e immutabile, che contiene il nostro universo umano e mutevole. Rimosso invece Dio dalle condizioni iniziali, se l'universo è cominciato, poniamo, lunedì 4 marzo del 13719997980 a.C., ciò significa che domenica 3 marzo del 13719997980 a.C. è un giorno che non esiste, e non esiste né fisicamente, né metafisicamente, né qualsiasicosamente. C'è un poi, ma non c'è un prima. Non è inquietante?
Per rendere l'idea, immagina che io ora ti dia una scatola, una piccola scatola di legno col suo coperchio e tutto, e ti dica che dentro non c'è niente, non nel senso che è semplicemente vuota, ma nel senso che dentro non c'è neanche il vuoto, neanche lo spazio, neanche la possibilità di concepire uno spazio vuoto. Oltre la superficie che delimita quella scatola che tieni in mano, l'universo smette di esistere. Non dirmi che non ti fa paura? L'unica differenza fra la scatola e l'inizio dell'universo è che mentre la scatola si vede, l'inizio dell'universo non si vede. In teoria lo si potrebbe vedere (sai, la faccenda che più si guarda lontano, più si guarda indietro nel tempo), ma purtroppo l'universo quando era giovane era opaco, tipo nebbia, e così, guardando sempre più nel passato, si arriva a un punto in cui il nostro sguardo viene bloccato da questa opacità, come un lontanissimo guscio che ci circonda, oltre il quale non si riesce a vedere niente. Questo guscio è l'universo com'era a circa 400 mila anni di età, un bambino.
E questo mi porta alla terza cosa paurosa (la più paurosa, direi): l'universo ha solo 14 miliardi di anni.
Ora, l'età precisa è oggetto di discussione e dipende dal valore di alcuni parametri cosmologici su cui gli astronomi litigano da decenni, ma più o meno possiamo dire che sia intorno ai 14 miliardi di anni, mezzo miliardo di anni in più o in meno.
14 miliardi di anni è sicuramente un sacco di tempo, è difficile persino immaginare quante cose ci si possa promettere di fare (e poi rimandare) in 14 miliardi di anni, ma non è una quantità di tempo così inconcepibilmente grande come lo sono le dimensioni spaziali tipiche dell'universo. L'universo, spazialmente, è inconcepibilmente grande, ma temporalmente è solo grande, umanamente grande. Per esempio, la galassia GN-z11, al momento la più lontana mai osservata, è distante da noi 300 mila miliardi di miliardi di km, distanza che, penso siamo tutti d'accordo, si possa far tranquillamente rientrare nell'inconcepibilmente grande.
Provo a dirlo in un altro modo. L'età media di una persona attualmente viva su questo pianeta è di circa 30 anni, ok? Ciò significa che è sufficiente sommare l'età di 467 milioni di persone per uguagliare l'intera età dell'universo. 467 milioni di persone non sono poi così tante. Voglio dire, in questo momento gli abitanti della Cina, presi tutti insieme, hanno 3 volte l'età dell'universo.
Consideriamo invece le distanze, quanta strada fa una persona in 30 anni di vita? Facciamo una stima per eccesso e supponiamo che faccia 5 km a piedi ogni giorno, più 15 km per andare al lavoro in macchina e poi magari un paio di viaggi in aereo all'anno di quanto, boh? 5000 km l'uno? Diciamo che una persona fa in media 17 mila km all'anno. Cioè, in base a questa stima inverosimilmente generosa, ogni abitante della Terra ha finora percorso circa 500 mila km. Se prendiamo tutte le persone del mondo e sommiamo le distanze da loro percorse, abbiamo che i terrestri attualmente vivi hanno percorso 423 anni luce. Non è male, ma rispetto alle dimensioni tipiche dell'universo è niente. 423 anni luce sono sufficienti per arrivare grosso modo alla Stella Polare, ma poi basta, siamo fermi, non siamo nemmeno usciti dalla nostra galassia. Per avere un'idea di che tiro di sputo siano 423 anni luce, si pensi che la Grande Nube di Magellano, la galassia più vicina, è a 163 mila anni luce; Andromeda, la prima galassia seria più vicina, è a 2 milioni e mezzo di anni luce e siamo ancora nell'universo locale, cioè così vicini a casa nostra che l'espansione dell'universo non riesce nemmeno a farsi sentire; GN-z11, la suddetta galassia più lontana, è a ben 32 miliardi e 200 milioni di anni luce; e l'universo contenuto nel famoso guscio nebbioso di cui sopra è ancora più grande.
Insomma, penso di avere reso l'idea.
Per qualche motivo viviamo in un universo spazialmente immenso, ma temporalmente piccolo. Oppure, vedendo le cose da un altro punto di vista, l'umanità è spazialmente infinitesima, ma temporalmente grande, e questo mi fa molta più paura dell'Esorcista.