COME SEDURRE UNA DONNA


In questo nuovo video un'intelligenza artificiale spiega a Horny Porny tutte le regole da seguire per sedurre una donna rispettando le leggi terrestri (paesi islamici esclusi).
Farei anche il video "Come sedurre un uomo" se non fosse che durerebbe 5 secondi: afferrare il pene.

Comunque, il video è questo qui


Purtroppo stavolta non c'è la voce di Guglielmo Favilla, al momento è impegnato sul set di un film, così ho dovuto ripiegare su Luciano Pastiglia che non è un attore. Sarà per questo che nei commenti su YouTube tutti scrivono che il video fa schifo.

Altre storie di Horny Porny le ho messe in questo fumetto qui

GRANDE NOVITÀ 2

Da oggi si può seguire questo blog via email, basta inserire il proprio indirizzo qui e dimostrare di non essere un robot.


Lo avevo già fatto con Feedburner, ma siccome Feedburner sta per morire, ora ci riprovo con Mailchimp. Chi si era già iscritto non deve fare niente, ci penso io a trasferire il suo indirizzo dalla vecchia mailing list alla nuova.
Qui di seguito riscrivo il post dell’altra volta, al tempo della prima “grande novità”, visto che mi sembra ancora valido.

Allora, la novità è che adesso, se uno vuole, può ricevere i post di questo blog via email. Sì, lo so, è una cosa che si fa da vent'anni, diciamo che è una piccola e quasi insignificante vecchia novità.
Basta inserire il proprio indirizzo email nel form qui sotto


premere "subscribe” e da quel momento in poi staremo sempre insieme: io, te e Emanuelesi. Non è fantastico? Cioè, non proprio per sempre, perché alla fine uno può sempre disiscriversi, ma fin che rimane iscritto riceverà ogni nuovo post nella sua casella di posta, senza bisogno di dover fare tutta la fatica di venire fin qui sul sito. Con la gente che gira oggi su internet, chi ha voglia di aprire il browser?
A questo punto uno si potrebbe chiedere: ma chi mai dovrebbe avere tutta questa smania di restare aggiornato su quello che viene pubblicato in un blog come tanti?
Ottima osservazione. Un po' scortese, forse, ma ci sta. Allora, prima di tutto, di blog nudi e crudi come questo, dove non si viaggia, non si mangia, non ci si veste e in generale non si ha nessuna velleità influenceriana, non ne sono rimasti poi così tanti, non siamo mica nel 2010. Oggi se dici che hai un blog, fai la stessa impressione di uno che dice che ha un incunabolo.
Poi, mettiamola così, al mondo ci sono milioni di persone che pendono dalle labbra di questo o quel ciarlatano più o meno psicopatico, non vedo cosa c'è di male se uno ha voglia di seguire un blog che non ha mai fatto del male a nessuno.
Almeno finora, sul futuro non garantisco.

FATE ALTRI VIDEO

Sotto l'ultimo video che ho caricato su YouTube per far sapere dell'esistenza del fumetto di "Preti" (questo qui) sono apparsi vari commenti che dicono più o meno "fate altri video",  tipo questo


Visto che su questo blog siamo fra pochi intimi posso dirlo: un commento così è il modo migliore per farmi passare la voglia di fare altri video. Penso sia comprensibile, no? Sono dieci anni che metto video su YouTube, se il giorno in cui faccio un fumetto mi dici "mannooooooooo" a me non viene voglia di fare altri video, a me viene voglia di cancellare anche quelli vecchi.

Perché non faccio video più spesso? Anzi no, prima di rispondere a questo, una premessa.

Anche a me piacerebbe fare tanti video: mi piace scrivere le mie storielle, mi piace vederle realizzate e soprattutto mi piace doppiarle insieme a Guglielmo Favilla e Fabrizio Odetto, due persone divertentissime oltre che due bravissimi attori. È un bellissimo gioco. Purtroppo il problema di fare un video animato sono le animazioni. Per due motivi che ora andrò brevemente a elencare:

1) Animare è una tortura.
Presente le pulizie del bagno? Ecco, animare è peggio delle pulizie del bagno. Infinitamente peggio. Animare è come fare le pulizie di un bagno che non viene pulito da almeno un mese, un bagno di 850 ettari. E qui arriva il secondo motivo per cui le animazioni sono un problema:

2) Il tempo.
Sarà che non sono un animatore, ma per fare animazioni anche semplicissime impiego un'infinità di tempo. Per esempio, per fare "Preti" ci ho messo circa un anno e mezzo. Un anno e mezzo per un video di 21 minuti... è un po' una cosa da matti, no? Una settimana per scriverlo (divertente), due giorni per doppiarlo (divertentissimo), un anno e mezzo per animarlo (tortura).
Invece per fare il fumetto di "Preti", che dura il doppio di "Preti", ci ho messo circa 6 mesi. Questo significa che nel tempo che ho impiegato per fare "Preti" e "Ancora Preti" avrei potuto fare "Preti", "Ancora preti", "Sempre più preti", "Preti a più non posso", "Preti, più preti e strapreti" e "Basta preti".
Ora, se la vita fosse eterna, io potrei dedicare un paio di anni a fare, che so, "Il sentiero dei preti di ragno", tanto che mi frega? Avrei davanti a me infiniti anni di vita in cui poter fare tutto quello che mi pare: nuove animazioni, imparare a memoria l'Orlando Furioso, studiare flauto traverso, riempire una cisterna di saliva, lavare tutti i bagni del mondo o qualsiasi altra attività un po' torturosa che però alla fine mi darebbe moltissima soddisfazione (cosa c'è di più appagante di vedere un bel bagno appena pulito che nessuno ha ancora profanato?). Purtroppo però la vita non è eterna, checché ne dicano i testi sacri, e un anno e mezzo inizia a essere una frazione non trascurabile di quello che mi rimane da vivere.

Ciò premesso, ecco la risposta:
Io sto facendo più video che posso, solo che richiedono un'enormità di tempo, ed essendo tutto lavoro fatto nel tempo libero, ci vuole ancora più tempo.

Ovviamente se un giorno arriverà un emiro miliardario che vorrà pagare una squadra di animatori coreani, io sarò più che felice di sfornare un video alla settimana, sarebbe un sogno, ma finché quell'emiro non arriva dovrò accontentarmi di uno o due video all'anno, se va bene.

Chi non vuole rischiare di perdere questi rari video annuali, può attivare le notifiche di YouTube. Chi addirittura si accontenta di disegni non animati, può seguirmi su Instagram (qui) o comprare i due fumetti che ho appena pubblicato (qui).

Penso sia tutto. Se mi viene in mente qualcos'altro te lo scrivo.
Ciao.

IL CALCIO NON È UNO SPORT RIDICOLO


Il calcio mi è sempre sembrato uno sport ridicolo. A parte la solita cosa che si dice dei 22 milionari in calzoncini che rincorrono un pallone (verissimo), c'è anche il contrasto fra tutta quell'enfasi da gladiatori e l'incredibile facilità con cui cascano per terra a piangere appena li sfiori. Io non capisco come facciano gli arbitri a sopportare quelle ridicole sceneggiate. Io, se uno iniziasse a rotolarsi per terra come un epilettico solo perché è stato sfiorato, lo espellerei immediatamente. Espulsione diretta senza nessuna pietà. Le partite finirebbero probabilmente in 3 contro 5, ma almeno sarebbero più serie.
E poi il calcio è noioso. Per ogni gesto atletico esteticamente degno di nota, devi sorbirti cento azioni confuse, mischie, rimpalli casuali e infiniti passaggini inutili avanti e indietro a metà campo. Uno strazio.
Però, col fatto che l'Italia ha vinto gli Europei, ho iniziato a guardare qualche partita anch'io e devo dire che il calcio non è poi così male, basta guardarlo con la giusta prospettiva. Per esempio ho capito che non è uno sport che va goduto come pura esperienza estetica, tipo il beach volley, ma come surrogato momentaneo della vita sul quale focalizzare per 90 minuti la propria volontà. Da questo punto di vista funziona benissimo, basta avere una squadra per cui tifare ed è fatta: ti annulli completamente per tutta la partita, diventi un tutt'uno con la tua squadra e non pensi più alle scadenze, al mutuo, alla guarnizione della caldaia che sono due mesi che va fatta sostituire, ma pensi solo a fare gol. Le azioni confuse, i rimpalli casuali eccetera non sono più noiosi, sono momenti in cui soffri e speri. E se alla fine della partita la tua squadra ha vinto sei felice per almeno un paio di giorni, anche se la tua vita è rimasta esattamente come prima, se invece ha perso... beh, se ha perso la colpa è dell'arbitro o dell'allenatore o di qualche giocatore scarso, mai tua. Se vinci hai vinto tu, se perdi è colpa di qualcun altro. Non è bellissimo? Nota: tutto questo funziona meglio con un paio di birrette.
Così mi sono messo a guardare i risultati delle altre squadre e ho visto che la Francia ha battuto il Kazakistan 8 a 0. Pazzesco, no? 8 a 0 vuol dire un gol quasi ogni 10 minuti. Com'è possibile?
Ho dato un'occhiata agli altri risultati del Kazakistan:
Kazakistan - Finlandia: 0 - 2
Kazakistan - Bosnia ed Erzegovina: 0 - 2
Macedonia del Nord – Kazakistan: 4 -0
Albania – Kazakistan: 2 - 0
Kazakistan – Lituania: 1 - 2
Ha perso pure con la Lituania? In casa? L'Italia con la Lituania ha vinto 5 a 0. Ma quanto è scarso il Kazakistan?
Con Andorra invece se la gioca: un pareggio (1-1) e una vittoria (4-0).
Andorra: 77260 abitanti.
Kazakistan: 18750000 abitanti.
Se la gioca...
Com'è possibile che con 19 milioni di abitanti a disposizione, il Kazakistan non abbia nessuno di meglio da mandare in campo di Aýımbetov, Zharynbetov, Taykenov eccetera? E perché si chiamano tutti Qualcosaov?
Il Kazakistan non è un paese ricco, ok, ma ha pur sempre un PIL procapite che è quasi il doppio di quello del Brasile.
PIL procapite Kazakistan: 26500 $, ranking FIFA 125°.
PIL procapite Brasile: 15500 $, ranking FIFA: 2°.
E poi il calcio non è uno sport da ricchi. Non è come il golf o la Formula 1 che per praticarli da bambino devi avere i soldi per comprarti le mazze o una Ferrari, per il calcio basta avere una palla e almeno un amico disposto ad andare in porta.
L'unica spiegazione è che agli abitanti del Kazakistan, del calcio, non freghi assolutamente niente, un po' come gli italiani con il cricket. Allora mi è tornato in mente che i Kazaki vanno pazzi per i cavalli, proprio così. L'avevo scoperto guardando John Oliver
Quindi, ho pensato, lo sport nazionale del Kazakistan sarà sicuramente qualcosa con i cavalli. Cosa potrà mai essere? L'ippica? Il dressage? Il volteggio? No, il buzkashi, detto anche "polo con capra".
Interessante.
Siccome non ho mai sentito nominare questo buzkashi, mi limito a riportare quello che c'è scritto su Wikipedia:

Il buzkashi è praticato su un grande campo, la cui lunghezza può variare da circa 400 metri alle dimensioni di un campo da calcio, da due squadre di cavalieri. Scopo del gioco è impadronirsi della carcassa di una capra e lanciarla oltre un segno di demarcazione o in una area definita.

Spero non sia sfuggita l'espressione "carcassa di una capra".
In Kazakistan il buzkashi viene preso molto sul serio. C'è un campionato nazionale con giocatori professionisti, tifosi e moviole del dopo partita esattamente come in Italia per il calcio. C'è anche una competizione internazionale eurasiatica tipo la Champions League, visto che il buzkashi è popolare anche in Afghanistan, Pakistan, Kirghizistan e, chi l'avrebbe mai detto, Tagikistan.
Ovviamente ci sono anche le nazionali. In questo video si può vedere un gol segnato durante una finale del 2016 fra Kazakistan e Kirghizistan: dopo una prolungata azione in area, si vede l'attaccate del Kazakistan (o forse del Kirghizistan) che di prepotenza mette il cadavere di capra in porta.


Penso che non dirò mai più che il calcio è uno sport ridicolo.

ANNUNCIAZIONE!

Il 9 novembre sarà il 3321° giorniversario di Preti, apparso per la prima volta fuori dal mio computer il 6 ottobre 2012 al Colchester Film Festival in (controllo su Google Maps) Inghilterra. Per celebrare degnamente questo evento, uscirà Preti. Il mistero della fede.

Che cos'è?

Grazie per la domanda. È un libro a fumetti (non si sono ancora accorti che non so disegnare) che racconta lo storico stage YouTubiano in modo molto più esteso. Per dire, ci sarà anche il catechismo, le preghiere della sera, la confessione, l'esegesi della genealogia di Gesù, le pulizie del bagno eccetera. Potremmo definirlo un reboot del prequel del sequel Ancora Preti.

Purtroppo non ci saranno le voci di Guglielmo Favilla e Fabrizio Odetto, è vero. È davvero un peccato che in tutti questi anni nessuno abbia ancora inventato un modo per far emettere suoni alla carta, però a questo c'è un rimedio molto semplice: basta ascoltare qualche episodio di Preti su YouTube e poi leggere il fumetto trattenendo nelle orecchie le loro voci. Io faccio così per qualsiasi libro: ascolto cinque minuti di Favilla e Odetto e poi mi metto a leggere Tolstoj.

Il libro contiene anche una prefazione di Saverio Raimondo, con cui condivido la passione per le divinità e i loro adoratori. Non ho ancora capito per quale miracoloso motivo si sia prestato a dare il suo contributo per questo fumetto, so solo che gli ho mandato un timido DM con scritto, più o meno: "Ciao... ehm, eh eh... cioè... scusa se ti disturbo, ma vista la nostra affinità di umorismo, non scriveresti la prefazione del mio fumetto?", e lui, invece di rispondermi “Affinità tua nonna”, mi ha risposto “Conta su di me”. Giuro, “Conta su di me”.  Credo non me l'abbia mai detto nessuno a parte mia madre.

Le altre due persone responsabili dell'esistenza di questo fumetto sono Mattia Fontana, editor e grande appassionato di apocalissi (il libro ha infatti un tocco apocalittico, come il periodo in cui stiamo vivendo), e Donatella Franciosi, manager artistica e nel mio caso anche mental coach, per non dire psichiatra.

Bene, ora credo che mi riposerò per un paio di decenni.


FINESTRE

IL MONDO PIÙ PAZZO DEL MONDO (seconda postilla)

La copie del Mondo¹ con le spille dei personaggi, le frasette buffe e le briciole di biscotti sono finite, sono state vendute tutte. Però il libro esiste ancora e può essere preordinato su Amazon, nelle librerie e nelle fumetterie (qualsiasi cosa siano).
Naturalmente più viene preordinato, più aumentano le richieste dei distributori e più aumentano le probabilità che io riesca finalmente a realizzare il grande sogno della mia vita, che, come forse ho già detto, consiste nel comprare la Pro Vercelli² e portarla a vincere l'8° scudetto della sua storia.
_______

¹ Il mio, non quello di Schopenhauer³
² È una squadra di calcio.
³ Non è curioso che io abbia le stesse iniziali di Arthur Schopenhauer? Questo mi fa capire che occasione io abbia perso non avendo scelto come titolo “Il mondo come volontà e rappresentazione più pazzo del mondo”.



IL MONDO PIÙ PAZZO DEL MONDO (postilla)

Sempre a proposito del Mondo più pazzo del mondo, tre cose che non ho detto:
1) Le copie della prevendita verranno spedite il 20 settembre;
2) La prevendita prevede consegne solo in Italia;
3) Non me la ricordo.

Segue esempio.

IL MONDO PIÙ PAZZO DEL MONDO

Ho fatto il mio primo libro a fumetti. Si chiama "Il mondo più pazzo del mondo" e sarà in vendita dal 27 settembre in tutti i posti dove di solito si vendono i fumetti, ma può essere comprato già ora in prevendita sul link dell'editore, cioè qui.
La copia prevenduta sarà una copia speciale corredata da una frasetta buffa, tre spille con i personaggi del libro, la certificazione timbrata di autenticità, l'autografo con il mio nome finto, le mie impronte digitali e probabilmente anche qualche briciola di biscotti.
Questa è la copertina

Bella vero?
Se questo libro esiste è anche merito (o colpa) di Donatella Franciosi, che scrive contratti molto poetici, e Stefano Antonucci, che ha il potere di trasformare semplici jpg in libri di bellissima carta.
Un ringraziamento particolare va anche al mio fisioterapista (maggiori dettagli qui): grazie persona di cui preferisco non dire il nome!
"Il mondo più pazzo del mondo" non è solo il primo libro a fumetti che io abbia mai fatto, ma è anche il primo che io abbia mai letto.

COSE MISTERIOSE

Nonostante il progredire della civiltà e l’indiscutibile acume intellettuale della specie umana


nell’universo ci sono ancora molte cose misteriose che aspettano una risposta convincente, definitiva e possibilmente breve.
Per esempio, chi ha inventato l’abbinamento prosciutto e melone?  Come gli è venuto in mente? È andato a tentativi? Mortadella e anguria, salame e banana, ciccioli e mandarino, finché un giorno, “eureka!”, prosciutto e mango? “Mm, quasi”. Ma soprattutto perché faceva esperimenti col cibo invece di mangiare la pastasciutta come fanno tutti? Chissà, forse anche i cetrioli nel caffelatte sono buonissimi, solo che nessuno li ha ancora provati. Quante segrete squisitezze ci tiene ancora nascoste il caso? Perché lo Stato non finanzia la ricerca di nuove leccornie? Finanzia praticamente tutto: film, lungometraggi, cinema, perché non finanzia anche le leccornie? E si dice “leccornìe” o “leccòrnie”? Sul dizionario c’è scritto che la gente dice “leccòrnie” ma sarebbe corretto dire “leccornìe”, ma corretto rispetto a cosa? Esiste un dizionario eterno e incorruttibile in orbita intorno al Sole da consultare col telescopio? E se non esiste allora perché non decidiamo tutti insieme di accentare la prima sillaba di tutte le parole? Sarebbe comodo: “léccornie”, “càminetto”, “àlbergo”, éccetera. A proposito, perché gli asciugamani degli alberghi hanno tutti lo stesso caratteristico odore di asciugamano d’albergo? Ovunque, da Varese a New York. Intendo quell’inconfondibile aroma che sembra un misto di limatura di ferro, corde di iuta e minestra d’ospedale. Per caso è usanza degli hotel lavare gli asciugamani con un apposito detersivo fatto di limatura, iuta e ospedale? Oppure esiste un unico centro mondiale di lavaggio degli asciugamani d’hotel a cui tutti si rivolgono per ragioni di, boh, abitudine? Perché la gente cede così facilmente al richiamo dell’abitudine? Se non fosse per l’abitudine che fine farebbero cose palesemente assurde come il latte scaduto con estratto di stomaco di vitello (“formaggio”), le X sulle schede elettorali o le mutande delle donne? Vista la fortunata collocazione dei genitali femminili, le mutande delle donne sono veramente la cosa più inutile del mondo. Per il pene è un altro discorso, è molto difficile proteggerlo dalle intemperie, eppure per qualche motivo gli uomini ci tengono ad averlo lungo. Perché? Non sarebbe molto più utile avercelo, che so, luminoso? (Ho come la sensazione di avere già detto questa cosa del pene luminoso) Certo, questo cambierebbe radicalmente la storia dell’arte figurativa mondiale, ma in peggio o in meglio? Perché i quadri di Picasso sono belli anche se sono disegnati male? E perché i disegni che io facevo al liceo fanno schifo anche se sono disegnati bene? Per caso è il nome che conta? Se Pablo Picasso si fosse chiamato, per dire, Alvaro Pischiappa sarebbe comunque  considerato un grande pittore? Pensiamo per esempio a Mario Schifano, chi mai mangerebbe schifano e melone? Eppure magari è buonissimo.

PIEGARE

 


LA SERA IN CUI SONO ANDATO A MANGIARE LA PIZZA CON THOMAS BERNHARD

Thomas Bernhard è esattamente come uno se l’aspetta dopo non aver letto nemmeno un suo libro: affabile, spiritoso, estroverso, uno con cui ci si sente subito a proprio agio. L’ho conosciuto nel 1985, al tempo faceva il babysitter. Nella vita aveva fatto un po’ di tutto: il commesso, il parrucchiere, il cuoco cinese e ora faceva il babysitter. Mi ha raccontato che quando aveva bisogno di arrotondare preferiva i lavori cosiddetti umili. Gli piaceva molto l’aggettivo “cosiddetto”. Preferiva i lavori cosiddetti umili ai lavori cosiddetti borghesi, perché con i lavori cosiddetti borghesi si deve venire a patti con i cosiddetti valori della cosiddetta classe cosiddetta borghese. Era un miracolo che riuscissi a capirlo.
In quel periodo io ero fidanzato con Morena, una ragazza straordinaria ma sempre a corto di soldi e che, non so per quale motivo, si ostinava a chiamarmi “abbello”. Una sera che dovevamo uscire a cena, passo a prenderla al solito posto sotto il viadotto, ma lei non c’è. Aspetto un po’, niente, non si fa vedere. Impegni di lavoro, mi dirà poi. Siccome però io avevo già prenotato in pizzeria e non mi andava di mandare tutto a monte, decido di chiamare una babysitter per farmi compagnia, tanto, penso, che problema c’è? I soldi glieli do e non deve neanche cambiarmi il pannolino. Solo che come babysitter chi mi arriva? Esatto.
Al tempo non sapevo chi fosse, appena mi rivela che è uno scrittore, cerco di capire meglio.   


Quindi lei è uno scrittore?

Cosiddetto.

Bello.

Ho pubblicato alcuni romanzi, racconti e altre cose.

Sembra divertente.

Lo è, finché uno ne ha la forza.

In che senso? Lei non scrive seduto?

Scriverei sdraiato se la macchina da scrivere sulle costole non mi togliesse il respiro. Ho provato, sa? Ma sono andato in coma. Mi hanno dovuto ricoverare d’urgenza al centro medico Grillparzer. Una vera scocciatura. Io non sopporto Grillparzer.

E com’è il coma?

Meglio.


In effetti non sembrava molto in forma. Stava tutto curvo, col berretto di lana, la coperta sulle ginocchia e due infermieri che gli praticavano una toracocentesi. Il rumore del liquido intercostale che sgocciolava nella bacinella sotto il tavolo era abbastanza fastidioso.


Beh, dopotutto si è tolto le sue soddisfazioni, no? Non è obbligato a continuare a scrivere. Perché non si gode la pensione e basta?

Ho cinquantaquattro anni.

Terrestri?

A me interessa solo pubblicare. Scrivo le mie cose su carta economica e poi mi ritrovo dei libri così carini da mettere in ordine sulla mensola. È per questo che ho diviso la mia autobiografia in cinque parti, per massimizzare i volumi.

Quindi non le interessa diventare famoso?

Ogni cosa è ridicola se paragonata alla morte.

Ah, non me ne parli.


Com’è semplice a volte avere a che fare con le persone. Uno pensa che uno stimato scrittore austriaco e un ragazzino brufoloso non abbiano niente da dirsi, e invece eccoli lì in pizzeria a parlare della stupidità della razza umana, dell’ipocrisia e della volgarità di ogni religione, di quanto sarebbe utile tagliare le orecchie a chi fa un figlio (parole sue) e del suicidio. Ah, il suicidio! La nostra grande passione comune.


Davvero non hai mai provato con le borse di plastica?

No!

Dovresti. Basta una borsa della spesa e un laccio emostatico, è veramente facile.

Sembra divertente.

Molto meglio dei barbiturici. L’ultima volta sono stato a letto quattro giorni.

No, sei pazzo? Se vuoi ti do i miei. Mi sono salvato solo perché erano scaduti.


Una persona davvero piacevole. Dopo la pizza gli ho proposto una grappa a casa mia, davanti a una puntata di Magnum P.I., ma Thomas era molto provato e preferiva tornare a casa a sistemare i suoi libri sullo scaffale. Poi, nei mesi successivi, ne ho letti alcuni e devo dire che non sono niente male. “Il respiro” è uno dei miei preferiti. Lo consiglio assolutamente a tutti quelli che quando sentono l’annuncio “allontanarsi dal binario due, treno in transito”, oltrepassano anelanti la linea gialla e poi si fermano incerti sull’orlo della banchina. È un libro eccezionale, fa l’effetto di una spintarella.

LA MIA STORIA CON PETER DEL MONTE

Premessa.
Per apprezzare pienamente la drammaticità di questa storia, bisogna tenere presente che una delle cose che più mi terrorizzano è parlare in pubblico, e non sto usando il verbo "terrorizzare" tanto per dire. Per me parlare in pubblico è sullo stesso livello terroristico di trovarmi su una bagnarola in mezzo all'oceano indiano e scoprire che nella cabina dove dormo c'è almeno un topo, cosa che mi è successa veramente e che posso documentare per mezzo di questa foto del sapone rosicchiato.


Avrei anche altre foto molto più impressionanti da esibire, ma preferisco conservarle per quando scriverò il post "La mia storia con Betsy" (Betsy è il nome dell'almeno un topo).
Se so che un certo giorno devo parlare in pubblico (cosa che per fortuna succede molto raramente), io inizio a preoccuparmi giorni prima, a volte settimane prima, e man mano che il giorno si avvicina la mia stessa preoccupazione inizia a preoccuparmi, togliendomi ogni serenità e impedendomi di fare qualsiasi altra cosa che non sia prefigurarmi scenari catastrofici di pubblica umiliazione quando finalmente arriverà il momento di dovermi rivolgere formalmente alla folla (dove con "formalmente" e "folla" intendo, rispettivamente: "fingendo di essere una persona seria" e "più di tre persone"). Non so esattamente di cosa io abbia paura, ad ogni modo, qualsiasi cosa sia, mi terrorizza.
Fine della premessa.
La mia storia con Peter Del Monte è durata solo una sera, ma è stata molto emozionante, almeno per me. Per chi non lo sapesse, Peter Del Monte è un regista italiano. Non so se attualmente stia ancora proseguendo questa sua attività, a dir la verità non so nemmeno se è ancora vivo, visto che l'episodio che sto per raccontare risale a circa 25 anni fa, quando io ero ancora un ragazzo e lui un attempato signore (Wikipedia mi ha appena informato che è ancora vivo e ha 78 anni. Ottimo).
Una sera io e una mia amica andiamo al cinema a vedere "Compagna di viaggio" di, appunto, Peter Del Monte. Forse è più preciso dire che questa mia amica (la chiameremo Natalya) mi ha trascinato a vedere questo film. Io non avrei mai scelto di mia iniziativa e nel pieno delle mie facoltà mentali di fare lo sforzo di uscire di casa per andare a vederlo, e non tanto perché all'epoca avessi dei pregiudizi negativi sul regista in questione (neanche sapevo chi fosse), ma perché avevo dei pregiudizi negativi sul cinema italiano in generale, pregiudizi che col tempo si sono trasformati in giudizi.
Per qualche motivo i film italiani non mi sembrano neanche film. Salvo rare eccezioni (Visconti, Bertolucci, Leone e qualcun altro), i film italiani mi sembrano perlopiù dei montaggi di riprese di persone che fanno finta di fare un film, e questo al di là del giudizio positivo (quasi mai) o negativo (quasi sempre) che io posso avere sul film in questione. Per esempio, prendiamo un film italiano pressoché unanimamente lodato sia in Italia che all'estero: "Profondo rosso". L'ho visto per la prima volta l'anno scorso e devo dire che mi è sembrato un film intelligente e con tante trovate simpatiche, ma è davvero un film? Mentre lo guardavo non mi è mai successo quello che mi succede di solito con i film veri (belli o brutti che siano), e cioè che mi dimentichi di stare guardando un film e mi immerga completamente nella storia. Con "Profondo Rosso" mi sono ritrovato per tutto il tempo chiuso fuori dal film e intanto pensavo "ah, che bravi questi ragazzi che fanno finta di fare un film!", e questo è quello che di solito penso mentre guardo un film italiano che mi piace, quando invece guardo un film italiano che non mi piace, penso "ah, che incapaci questi ragazzi che fanno finta di fare un film!". Questo è più o meno il motivo per cui ogni volta che posso evito di guardare film italiani, drammatici o comici, vecchi o nuovi, di cosiddetto autore o di cosiddetto genere, tutti quanti, perché so già a che tipo di esperienza vado incontro ed è un'esperienza che non mi interessa, ma quella sera evidentemente mi andava di uscire, fare due chiacchiere, bere una birretta in compagnia e pazienza se prima dovevo sorbirmi un film italiano. Che sarà mai? Mi sono detto, male che vada mi annoierò per un'ora e mezza.
Del film non ricordo praticamente niente. Ricordo che c'era Asia Argento molto giovane e un famoso attore francese molto anziano, forse c'era anche un treno, o un pullman, ma magari mi sto facendo influenzare dal fatto che nel titolo c'è la parola "viaggio". Ricordo del sentimentalismo, qualche musichetta fastidiosa, una realizzazione vagamente amatoriale e poi basta, non ricordo nient'altro. Ricordo che c'erano anche uno o due flashback col tipico effetto flashback, ma questo è un dettaglio che mi ricordo non per il film, ma per quello che dirò dopo.
Finito il film e finiti i titoli di coda, che guardo diligentemente seduto in silenzo come richiesto dall'etichetta (era un cinema di cosiddetto essai e non volevo fare brutte figure), si accendono finalmente le luci e io mi predispongo mentalmente a pregustare le mia meritata birretta, ma sorprendentemente nessuno si alza, nemmeno Natalya. Come mai? Che ci sia una scena dopo i titoli di coda come nei film Marvel?
Guardo Natalya cercando di comunicarle con lo sguardo il concetto "che ne diresti se ci mettessimo alle spalle questo brutto film e ci precipitassimo dal più vicino rivenditore di birrette?", ma lei si limita a sorridere e mi dice "film carino, vero?". Per Natalya i film si dividono in "bellissimi", "belli" e "carini", è una persona troppo buona per ferire i sentimenti di un film. Per me invece i film si dividono in "belli", "insignificanti" e "brutti", ma alla fine intendiamo la stessa cosa e quindi le rispondo "sì, carino". Ormai però ho capito che c'è qualcosa che mi sfugge e proprio mentre sto per chiederle se per caso stiamo aspettando qualcosa o qualcuno di cui non sono al corrente, vedo entrare in sala il gestore del cinema che accompagna cerimoniosamente un signore attempato. A quanto pare, dopo il film, era previsto il famoso dibattito col regista in sala. Gesù Cristo, penso.
Ora, per capire meglio la situazione: la sala era una piccola sala di un piccolo cinema di un piccolo paese di campagna, in inverno, con la nebbia che quasi vedevi entrare sotto le porte delle uscite di sicurezza e un vago odore di letame, e a vedere il film saremo stati in sette o otto, io e Natalya compresi, cioè, in sintesi, una situazione per cui la lingua italiana mette a disposizione una parola ben precisa: "squallida". Ah, c'era anche un altoparlante che, appena finito il film, si era messo a fare un rumore intermittente che potremmo onomatopeicamente descrivere così: bzzz... bzzz... ecco, in questa situazione viene presentato il regista e sceneggiatore Peter Del Monte, autore di questo e quest'altro film mai sentiti, vincitore di non so più quale oggetto d'oro e/o d'argento, dopo di che gli viene passato il microfono ed ecco finalmente le prime parole pronunciate da Peter Del Monte nella mia vita: "non ditemi che avete guardato il film con questo rumore".
Proprio così, non "buona sera e grazie per essere qui" o "spero che il mio film sia stato di vostro gradimento", no, "non ditemi che avete guardato il film con questo rumore".
Silenzio.
Magari ha il terrore di parlare in pubblico, penso. Noi persone terrorizzate dal parlare in pubblico siamo spesso laconiche e sbrigative e possiamo dare l'impressione di essere degli stronzi altezzosi. Nessuno dice niente, neanche il gestore del cinema, che si limita a chiedere "Ci sono domande?".
Silenzio.
"Nessuna?".
Silenzio.
"Domande, commenti... qualsiasi cosa?"
Silenzio.
Bzzz... bzzz...
Silenzio.
Il gestore è chiaramente in imbarazzo, non sa più che dire, mentre Peter Del Monte se ne rimane lì immobile, pietrificato col suo microfono in mano e, com'era prevedibile, inizia a farmi pena. Proprio così, perché non importa se una persona mi è antipatica o simpatica, se la vedo in difficoltà non riesco a impedirmi di provare pena. Penso a questo povero regista misconosciuto e un po' avanti con gli anni che è venuto fin qui da chissà dove, forse addirittura da Roma, con la sua giacca buona, i capelli lavati, pieno di speranze e aspettative, e invece di trovarsi in una bella sala con un pubblico entusiasta, si ritrova in uno piccolo cinema di cosiddetto essai, in un oscuro paesino in mezzo alla nebbia e al letame, davanti a sette o otto persone che non vedono l'ora di avere il via libera per andare a bere una birretta con Natalya.
Il gestore guarda l'orologio.
Silenzio.
Decido di immolarmi. Non importa se parlare in pubblico è come avere un topo in camera da letto, io non ce la faccio a vedere Peter in quello stato di imbarazzo, così decido di chiedere il microfono e fare una domanda. Una domanda a caso, la prima che mi viene in mente, giusto per rompere il ghiaccio e fargli capire che non tutti siamo qui per andare a bere una birretta con Natalya, c'è qualcuno che è venuto qui per te, Peter, per te e il tuo bellissimo film.
"Come mai questa questa scelta dei flashback?".
Ok, è una domanda del cazzo, ma segnala un interesse, no? Un interesse finto, certo, ma lui che ne sa? E poi in ogni caso gli dà modo di dire qualcosa, magari diffondersi in teorie cinematografiche, che ne so, svelare dei particolari sulla realizzazione del film eccetera, sai quante cose si possono dire partendo da un piccolo particolare insignificante?
"In che senso?", mi risponde lui.
Silenzio (e questo silenzio mi sembra durare molto di più di quelli precedenti).
"Eh, beh... cioè...", e adesso cosa cazzo dico?, "non so, magari per introdurre quei ricordi potevano esserci altre soluzioni? Cioè, chiedo...".
"No".
Così, secco: "no",  senza aggiungere nient'altro. Un "no" che riechegga nella sala: no... no... no... bzzz... no... 
Natalya non mi guarda, ma noto che ha lo stesso colore delle poltrone del cinema. Non c'è modo di girarci intorno, ho fatto una figura di merda e questa non è l'unica cosa che capisco, capisco anche che il precedente silenzio di Peter Del Monte non era timidezza, ma fastidio, era infastidito per la situazione evidentemente non all'altezza della sua autostima in cui si trovava e stava sfidando il pubblico, era una cosa tipo "se voi non parlate, non parlo nemmeno io, brutti bifolchi che avete osato deturpare la mia opera col vostro sguardo di campagna".
Un obiettivo però la mia domanda lo raggiunge: rompere il ghiaccio. Infatti dopo di me c'è un altro tizio che chiede la parola, anche se in realtà, quando gli portano il microfono, non fa nessuna domanda vera e propria, ma inizia un lungo panegirico sul regista e sceneggiatore Peter Del Monte, prodigandosi in lodi e elogi per almeno cinque minuti (e così alla fine qualcuno era davvero venuto apposta per Peter Del Monte). "Se io sono stato trattato così malamente per una domanda insignificante" penso, "come verrà trattato questo qua che gli sta leccando il culo senza vergogna in modo così spudorato?". All'epoca ero molto ingenuo. Quando il tizio finisce, Peter Del Monte gli risponde (testuali parole, non mi invento niente): "lei è il mio spettatore ideale".
Spettatore ideale? Un leccaculo prolisso che ha parlato per cinque minuti, forse di più, senza dire niente e senza dare nessuno spunto per una qualsiasi risposta più articolata di un semplice "grazie"? 
Eppure dice proprio così "lei è il mio spettatore ideale", dopo di che Peter Del Monte si mette a parlare del suo film per un'ora e mezza filata, con naturalezza, tutto contento, senza più bisogno di altre domande o imbeccate. Addio birretta.
"Come ti è sembrata la mia performance con Peter Del Monte?", chiedo a Natalya mentre la riaccompagno a casa.
"Carina". 

LA TENDA

COMUNICAZIONE FASTIDIOSA

È con fastidio che comunico a tutti coloro che seguono questo blog via email, che Feedburner sospenderà  il servizio a partire da luglio 2021. Quindi quello "staremo sempre insieme" che avevo promesso è durato solo sette mesi. È come quando al supermercato scopro una cosa che mi piace, inizio a comprarla abitualmente e dopo un mese o due non esiste più. Pazienza.
Chi vuole continuare a ricevere una notifica per ogni nuovo post pubblicato qua sopra, può seguire il blog tramite feed RSS (non so cosa voglia dire quello che ho appena detto, ma so che per alcune persone le parole “feed RSS” hanno un significato).
In alternativa ci sono gli account Twitter mio e di Emanuelesi, dove twittiamo (si dice così, non è colpa mia, c'è anche sul dizionario) più o meno regolarmente i nuovi post e altre cose.
Un altro modo è seguire la pagina Facebook del blog. Non è una pagina gestita e creata da me, ma da un benefattore che chiameremo Jacopo (grazie Jacopo!) e viene regolarmente aggiornata ogni volta che su questo blog appare un nuovo post. Va detto che se questo blog è bene o male sopravvissuto alla famosa morte dei blog, gran parte del merito è di quella pagina. Un giorno o l’altro dovrò ricordarmi di spedire a Jacopo una cassa di spritz, cioè metà cassa di prosecco, un terzo di cassa di Aperol e un sesto di cassa di soda (e arance come imballaggio).

TEST PER CAPIRE SE SEI UNA MERDA


Nonostante le avversità (lockdown, capsulite adesiva, non voglia di disegnare, ancora più non voglia di disegnare) io e Guglielmo Favilla abbiamo fatto un altro video della serie Tutto quello che c’è da sapere su tutto quanto.
Io ho fatto le parole e i disegni (ho già detto che odio disegnare?*), Favilla ha fatto le voci e Gabriele Draghetti ha registrato le voci di Favilla nel pieno rispetto delle norme anti-Covid. Almeno spero.


* Odio talmente tanto disegnare che quando disegno penso “forse non è stato così male quando da bambino mi sono chiuso il mignolo nello sportello del frigo, prima o poi devo riprovare”.

FUMO

 

SCHOPENHAUER E I RAPPER ITALIANI

Oggi avrei voluto scrivere un post su quanto mi danno fastidio il chiasso e i rumori, ma siccome l'ha già scritto Arthur Schopenhauer sul suo blog Parerga e Paralipomena, io mi limito a trascrivere le sue parole.
Sostituirò solo "schioccare delle fruste" con "canzoncine dei rapper italiani" e poco altro ("carro di sabbia" con "telefono", "concime" con "casse bluetooth", "far camminare gli animali da tiro" con "intrattenere il popolo", "un nodo in cima ogni frusta" con "l'uso degli auricolari", "proletari" con "borghesi", "cavalli di posta liberi" con "l'autoradio a palla", "montando un cavallo da tiro sciolto" con "in sella a una bicicletta con le casse", "a fianco degli animali" con "con uno di quegli zaini stereo", "carrettieri" con "truzzi", "facchini" con "punkabbestia", "gente oziosa" con "studenti fuoricorso di Lettere e Filosofia", "Germania" con "Bologna"). 

«Il chiasso è la più impertinente di tutte le interruzioni, poiché interrompe, anzi perfino spezza i nostri pensieri. Ma dove non vi è nulla da interrompere, il chiasso non sarà avvertito in modo particolare. [...]
Ora però, passando dal genus alla species, debbo denunciare come il rumore più imperdonabile e infame le canzoncine veramente infernali dei rapper italiani nelle vie rumorose della città. Queste improvvise e acute canzoncine, che paralizzano il cervello e spezzano e ammazzano i pensieri, dovrebbero essere sentite dolorosamente da ognuno che porti nella sua testa qualcosa che somiglia a un pensiero, e dovrebbero, dunque, disturbare centinaia di persone nella loro attività spirituale, per quanto di genere comune: al pensatore, però, questo rumore penetra nelle sue meditazioni con un dolore così micidiale, come quando la spada del boia stacca la testa dal tronco. Nessun suono ferisce il cervello in modo così tagliente, quanto queste maledette canzoncine dei rapper italiani; [...] non capisco perché un qualsiasi villano, che sta portando un telefono o delle casse bluetooth, debba solo perciò avere il privilegio di soffocare in germe ogni pensiero che sgorga nel cervello di diecimila teste in successione (una mezz'ora di strada attraverso la città). Martellate, abbaiar di cani e strilli di bambini sono orribili; ma l'unico vero e proprio assassino dei pensieri sono le canzoncine dei rapper italiani. La loro destinazione è di distruggere ogni momento di raccoglimento, che ad uno sia dato ogni tanto di avere. Soltanto nel caso che non vi fossero altri mezzi per intrattenere il popolo, se non questo rumore più abominevole di tutti, ciò potrebbe essere scusato. Ma proprio al contrario, queste maledette canzoncine dei rapper italiani non soltanto non sono necessarie, ma perfino inutili. [...] Che una simile infamia venga tollerata nelle città è una grande barbarie e ingiustizia; tanto più che sarebbe facile eliminarla se la polizia prescrivesse l'uso degli auricolari. Non può essere cosa nociva attirare l'attenzione dei borghesi sul lavoro mentale delle classi superiori: essi, infatti, provano un timore enorme verso ogni lavoro cerebrale. Ma che un villano, il quale, attraversando le vie strette di una città molto popolata con l'autoradio a palla o in sella a una bicicletta con le casse, o addirittura camminando con uno di quegli zaini stereo, emetta senza tregua e con tutte le forze canzoncine di rapper italiani lunghissime, non meriti di essere obbligato a scendere immediatamente per ricevere cinque bastonate date con convinzione, non mi convinceranno tutti i filantropi del mondo. [...] Deve, dunque, mentre tutti hanno cura del corpo e delle sue soddisfazioni, lo spirito che pensa essere l'unico al quale mai viene concesso il minimo riguardo o protezione, per non parlare di rispetto? Truzzi, punkabbestia, studenti fuoricorso di Lettere e Filosofia che stanno agli angoli della strada e altri simili sono gli animali da soma della società umana; essi vanno senz'altro trattati umanamente, con giustizia, benevolenza, indulgenza e con le cure necessarie; ma non dovrebbe essere permesso loro di diventare un impedimento col chiasso petulante alle aspirazioni più alte del genere umano. Vorrei sapere quanti grandi e bei pensieri questi rapper italiani abbiano già cacciato via dal mondo con le loro  canzoncine. Se potessi comandare io, si dovrebbe creare nella mente dei truzzi un nexus idearum indiscutibile fra le canzoncine dei rapper italiani e il ricevere bastonate. [...] La tolleranza generale riguardo al chiasso inutile, ad esempio riguardo allo sbattere le porte, abitudine oltre modo maleducata e volgare, è addirittura un sintomo dell'ottusità generale e della povertà di idee. In Bologna le cose stanno come se si mirasse a far sì che per il chiasso nessuno riesca a riflettere; per esempio, battendo il tamburo senza scopo».
Arthur Schopenhauer

IL VIAGGIO

MINIMIZZATORI E NEGATORI

Una cosa interessante di questa pandemia è vedere come alcuni l'abbiano usata come pretesto per prendersela con le persone che odiavano già prima della pandemia. Alcuni esempi: i pigri hanno deciso che gli untori sono quelli che corrono (bei tempi quando le persone avevano la delicatezza di andare a correre in posti appartati, ora invece ti vengono a sgambettare sotto il naso vestiti nel modo più catarifrangente possibile, costringendoti inevitabilmente a pensare a tutti i Tegolini che non stai smaltendo); chi non sopporta il gioventume che tutte le notti fa baldoria sotto la sua finestra incolpa la (chiedo scusa per la parola) mo(scusa, davvero)vida; gli appassionati di Marx incolpano il capitalismo; gli xenofobi incolpano gli stranieri; chi odia la scuola incolpa le scuole; chi ama la scuola incolpa chi chiude le scuole; e, più in generale, chi ama un certo tipo di attività (cinema, palestra, discoteca, carcere) riterrà quelle attività magicamente protette da ogni possibilità di propagazione del contagio e crederà di individuare la fonte di ogni male nelle attività che invece odia. È  davvero strano e per certi versi affascinante come alcune persone siano riuscite a passare attraverso più di un anno di pandemia senza avere capito assolutamente niente.
Per un virus, soprattutto un virus che si trasmette attraverso le vie respiratorie e non attraverso, che so, l'ingestione dei peli delle ascelle, ogni contatto sociale è un'occasione di contagio, non importa se coloro che si contattano socialmente sono stranieri, proletari, discotecari, vigili urbani, fisici nucleari o Presidenti delle Repubbliche, il virus non guarda in faccia a nessuno, e ogni occasione di contagio è per lui una possibilità in più di replicarsi, propagarsi e evolversi. Certo, ci sono alcune attività sociali che sono più virus-friendly di altre (per esempio giocare a rugby nello sgabuzzino è sicuramente più a rischio che giocare a ping pong nel deserto), ma rimane il fatto che, ogni volta che si entra in contatto con un'altra persona senza adottare tutte le precauzioni che ormai dovremmo avere imparato a memoria, si sta giocando nella squadra del virus. Perché è così, è come se ci fosse una partita Umani - Virus, una specie di derby, visto che entrambe le squadre giocano in casa, e chi ignora le suddette precauzioni è uno che, per qualche motivo, ha deciso di giocare col virus. Chi dice cose tipo "se non mi metto la mascherina sono cazzi miei" è esattamente come un giocatore della Juventus, poniamo, che dice ai suoi compagni di squadra "se durante la partita Juventus – Torino provo a fare autogol sono cazzi miei". Cioè, se vuoi fare autogol fai pure autogol, hai il libero arbitrio, ma non è vero che sono “cazzi tuoi”; se fai autogol il punteggio diventa Juventus – Torino: 0–1, non Juventus – Torino – Giocatore della Juventus che ha fatto autogol: 1–1–0.
Quindi, visto che non ci sono untori, bisogna rassegnarsi all'idea di non dare la colpa a nessuno? Beh, non saltiamo subito alle conclusioni. Se oggi la situazione è molto più grave di quella che avrebbe potuto essere, se dovremo trascinarci dietro questo flagello per chissà quanto tempo ancora e se per un bel pezzo le nostre vite non sono state e non saranno più quelle di prima, i colpevoli ci sono. Sono i minimizzatori e i negatori, a cominciare dal Governo cinese.
In questo articolo (Covid-19: Five days that shaped the outbreak), Jane McMullen ricostruisce in modo chiaro e preciso il comportamento delle autorità cinesi nei primi giorni della non-ancora-pandemia. Il concetto è grosso modo questo: in una fase in cui per la prima volta il virus stava esplodendo in modo esponenziale (n.b. la parola "esponenziale" è qui usata nel senso di "esponenziale" e non nel senso di "pazzesco") e in cui, cito, "ogni giorno e ogni ora erano determinanti", la Cina ha deciso di minimizzare e negare l'esistenza del problema per più di due settimane, silenziando i suoi medici e i suoi scienziati. "That was the shot we had, and we lost it", dice l'articolo.
Dopo di che (qui sono io che parlo, non è più l'articolo) la torcia del minimizzare e del negare è passata al resto del mondo: ad altri Governi non democratici o aspiranti tali, a politici opportunisti, a giornalisti ignoranti, a sedicenti esperti a caccia di notorietà e, infine, ai semplici scemi (gli scemi sono sempre la base della piramide di ogni disastro). Tutti questi minimizzatori e negatori sono colpevoli, esattamente come sarebbe colpevole chi invitasse la gente a guidare ubriaca minimizzando o negando gli effetti dell'alcol sulla lucidità della mente umana, o come chi si mettesse lui stesso a guidare ubriaco, o perché ha deciso che non gli frega niente delle conseguenze o magari semplicemente perché è disperatamente scemo.
Sono troppo severo? Non mi pare. Se non fosse per quelli che "le mascherine sono inutili", "è solo un'influenza", "muoiono solo i vecchi", "la cura esiste ma non ce lo dicono", "i numeri sono gonfiati" eccetera, ora non saremmo nella situazione in cui siamo, e visto che non si può dare la colpa di tutto questo a un virus che sta semplicemente facendo il suo lavoro in modo egregio, a chi altri la si può dare se non a quelli che, pur non essendo nella squadra del virus, hanno deciso di giocare con lui?
Se hai un amico minimizzatore o negatore, per favore, fagli leggere questo post e digli da parte mia che è un criminale, ma senza la dignità di quei criminali che pianificano i loro crimini e li portano a termine, no, è più un criminale tipo Schettino. “Te lo ricordi Schettino?” digli, “ecco, tu sei così. Un criminale deficiente”.

FAKE NEWS

IL CAMPANILISTA – ERRATA CORRIGE

Devo segnalare un errore abbastanza serio che ho commesso nel post di lunedì (questo qui), resoconto della mia breve ma significativa interazione con un esemplare di campanilista adulto.
Una persona a conoscenza dei fatti, disposta a parlare solo a condizione di restare anonima, mi ha segnalato che il finale della storia non è esattamente come io lo ho riportato. Sì, lo so che avevo scritto frasi impegnative come "queste sono le esatte parole" e "lo ricordo bene", ma il fatto è che la mia memoria si premura sempre di rendere il passato meno squallido e un po' più accettabile, non possiamo biasimarla per questo.
Prima di esporre la versione dei fatti restaurata, invito il lettore a rileggere la versione precedente, da "finalmente arriva il momento di pagare" in poi. Io intanto aspetto qui.
Fatto?
Allora, le cose sono in realtà andate così: mentre la proprietaria stava ancora preparando il conto, Gianluigi, come se niente fosse, chiede se può assaggiare il rinomato Rosolio di Cetriolo di Fregazzano del Passero.

– Potrei avere un po' di Rosolio di Cetriolo?

ed è qui che tutti ci voltiamo increduli verso di lui, come se si fosse appena spogliato nudo in mezzo alla sala.
Invece la proprietaria non è per niente stupita e gli risponde come chi ha perfettamente capito con chi ha a che fare

– Vorrai dire “dell’altro Rosolio di Cetriolo”. L’hai già bevuto, no?

Il resto è più o meno uguale: Gianluigi dice “ma io non... cioè io…”; la proprietaria risponde “sì, e ti deve essere piaciuto molto, perché te lo sei bevuto quasi tutto”; Gianluigi non ribatte; la proprietaria non gli versa da bere un bel niente e inoltre, con un gesto nobile e umiliante allo stesso tempo, non gli fa pagare la bottiglia di Rosolio che aveva diligentemente prosciugato.
È molto meglio così, no? "Molto meglio" nel senso di molto peggio.

IL CAMPANILISTA

Io non ho mai capito il campanilismo. Già faccio fatica a capire il nazionalismo, figuriamoci il campanilismo. E di tutti i campanilismi quello che capisco meno è il campanilismo non per una regione, non per una città, non per un paese minimamente rinomato, ma per un minuscolo e insignificante paesello come ce ne sono milioni. Voglio dire, non c'è niente di male a essere affezionati al posto dove si è nati, l'affetto è sempre una bella cosa, e non c'è niente di male nemmeno a voler sempre informare tutti sul proprio luogo di origine, come fanno i prosciutti, ma quando uno inizia a dire che il pane del suo paesello è il più buono, che l'aria del suo paesello è la più sana, che la gente del suo paesello è la più gentile, questo non vuol più dire essere affezionati alle proprie origini, questo vuol dire avere una tara (un attimo che controllo che "tara" sia proprio la parola che cercavo.

Tara s.f. -  Malattia, anomalia o deformazione ereditaria, o altro difetto che comunque comprometta l’integrità fisica o psichica di un individuo.

perfetto) e infatti le tare sono il risultato di anni e anni passati a riprodursi fra parenti nello stesso paesello.
Il campanilismo è una limitazione abbastanza grave per chi ce l'ha, perché gli impedisce di apprezzare cose come il saté indonesiano o la cirimoia peruviana, e lo costringe ad accartocciare tutta la sua esistenza attorno alle usanze e alla mentalità di un frammento di pianeta dove la cosa più interessante è la sagra dell'oloturia mantecata. E fin qui problemi suoi, i problemi tuoi iniziano quando, una persona così, sei costretto a frequentarla, magari perché è un collega o un amico di un amico o il cugino di un'amica di tua sorella eccetera, e ogni volta che ci esci devi sorbirti tutto il suo repertorio di frasi tipo "questo lo sanno fare solo al mio paesello", "quest'altro non succederebbe mai al mio paesello", "il mio paesello qui", "il mio paesello là"... ma scópatelo il tuo paesello!
Chiedo scusa, mi è ascesa l'ira. Non succederà più.
La mia irritazione verso questo tipo di essere umano è dovuta al fatto che tempo fa me ne è toccato in sorte uno di nome Gianluigi, l'allora compagno di un'amica di Sandra (quella della capsulite adesiva). Sandra è ok, l'amica di Sandra è ok, per qualche motivo il compagno dell'amica di Sandra non era neanche lontanamente ok, anzi era decisamente non-ok, la personificazione stessa del Non-Essere-Ok, come direbbe Heidegger. Ogni tanto capitano questi abbinamenti male assortiti, soprattutto quando ci sono di mezzo i rapporti sessuali.
Gianluigi veniva da un paesello talmente "ello" che probabilmente non esisteva neanche sulle mappe, e come tutti i campanilisti che sono costretti a lasciare la loro amata terra non parlava d'altro. Letteralmente. Non ho mai visto una persona così monotematica, era esasperante; di qualsiasi cosa si stesse parlando, non importa quanto fosse lontana da ogni possibile collegamento con pane, salumi e olive, Gianluigi riusciva sempre (sempre) a riportare il discorso al suo paesello.

– C'è uno che mi deve 200 euro da due anni e nel frattempo si è comprato una Porsche, ti rendi conto?
– Al mio paesello ce l'hanno tutti, la Porsche.
– L'estate scorsa ho visto Andromeda col binocolo, fa quasi impressione.
– Il mio paesello fa molta più impressione.
– La diffrazione è un fenomeno che si manifesta quando un'onda incontra un ostacolo.
– Paesello.

Anche quando se ne stava in silenzio, mi sembrava che il suo respiro facesse un verso tipo: paaae... sello... paaae... sello...
Non era un cattivo ragazzo (almeno credo) e all'inizio i suoi racconti erano anche interessanti, come sempre è interessante sentire parlare di posti che non si conoscono, ma quanto si può resistere? Un conto è se uno ti parla delle isole Adamane, per dire, ma dopo il duecentottantaseiesimo aneddoto su Fregazzano del Passero, la serata inizia a prendere una brutta piega. Io credo che l'alcol sia stato inventato proprio per sopportare gente come Gianluigi.

– Leonardo cita per ben tre volte un manuale di agrotecnica scritto da un inventore nato nel mio paesello.
– Eh ehh.... pa.,eselo..x

Al tempo in cui frequentavo Gianluigi ero molto ingenuo. Per esempio pensavo che per spostare il discorso su qualcos'altro fosse sufficiente fargli tanti complimenti per l'incredibile fortuna di nascere in un posto così meravigliosamente meraviglioso e voltare pagina, e invece no. Regola numero 1 quando si frequenta un campanilista: il campanilista non vuole complimenti e non gli fa per niente piacere se anche tu ti metti a decantare le prodezze culinarie e paesaggistiche del suo paesello. Che ne puoi sapere tu del suo paesello? Solo perché una volta hai mangiato l'oloturia mantecata, adesso pensi di poter dire che è il tuo piatto preferito? Sicuramente ne avrai mangiata una versione imperfetta e corrotta da ingredienti spuri, di quelle che si fanno all'estero (i.e. nei comuni limitrofi), ma la vera e originale oloturia mantecata la si può apprezzare solo in un posto e, va da sé, la può apprezzare solo ed esclusivamente uno del posto.
Regola numero 2: quello che il campanilista vuole da te è che tu, straniero, ti metta a decantare il tuo, di paesello, e che insieme facciate la gara a chi ha il paesello più lungo.
E poi succede questo. Al tempo andavo in un ristorante che faceva piatti tradizionali della regione di Gianluigi, me lo aveva fatto conoscere Sandra e in poco tempo era diventato uno dei miei ristoranti preferiti. Un giorno, del tutto casualmente, scopro che i proprietari sono originari proprio del paesello di Gianluigi. Che coincidenza. Quando riferisco la cosa a Gianluigi (sì, lo so, errore mio), lui fa una faccia come se gli avessi appena detto che ho ritrovato i suoi genitori dispersi in antartide durante la prima guerra mondiale. Il tempo potrebbe avere corrotto i miei ricordi, ma a me sembra che abbia pianto.
Il risultato è scontato: Gianluigi prenota istantaneamente un tavolo per sei nel predetto ristorante per la sera del giorno dopo, e con "sei" intendo io, Gianluigi, Sandra e i rispettivi compagni, tutti insieme a cena in un mercoledì sera qualsiasi solo per accontentare Gianluigi.
Per l'occasione Gianluigi si veste come per un matrimonio, il suo, più precisamente il suo matrimonio con se stesso, e già questo mi faceva sentire abbastanza in imbarazzo, era come se stessimo portando a cena lo zio rincoglionito. Nemmeno la sua compagna mi sembrava molto a suo agio, a giudicare dagli sguardi che ogni tanto rivolgeva agli altri, sguardi che sembravano dire "eh eh... ehm, cioè... ah ah...". La chiameremo Gianluigia.
Gianluigia non era originaria del paesello di Gianluigi, il che ha perfettamente senso perché il campanilista, quando non è in patria, ha costantemente bisogno di orecchie straniere da ragguagliare sulle infinite e non numerabili meraviglie del suo paesello, e quali migliori orecchie di quelle della persona che si è incautamente voluta legare in un patto di frequentazione sistematica e prolungata? Una volta Gianluigia ha raccontato a Sandra che, quando lei e Gianluigi si sono conosciuti, lui le parlava come se si stesse rivolgendo a una tedesca.

– Tu è bellissima, Gianluigia. E quali occhi tu ha!
– Grazie, Gianluigi. Sei proprio carino, io però... ecco... io credo di essere lesbica.
– No problema, io piace lesbica.

Ok, dimentica questo dialogo, volevo solo citare questo film


Almeno credo che sia questo film.
Comunque, Gianluigi entra nel ristorante e si comporta come se fosse a casa sua, e non per modo di dire, fa letteralmente il padrone di casa nonostante fosse la prima volta che metteva piede in questo posto: saluta i proprietari come fossero suoi amici, ci accompagna di persona al tavolo che ritiene il migliore e inizia a descriverci il menù senza nemmeno bisogno di aprirlo. Io lo guardo sconcertato, questo sfoggio di confidenza e la reazione estremamente benevola dei proprietari mi stavano facendo ricredere sulla poca verosimiglianza dei racconti campanilistici di Gianluigi e per un attimo mi sono ritrovato a pensare che, forse, Gianluigi non era un patetico coglione, ma era davvero uno dei pochi eletti a essere nati in un meraviglioso paesello dove la gente è la più gentile, l'aria è la più sana e il pane è il più buono. Ma, come detto, quest'impressione dura poco, il tempo di arrivare agli antipasti. Quando ce li portano, Gianluigi prende su di sé il compito di descriverli e questo produce una chiara espressione di fastidio in chi ci stava servendo, espressione che non sono l'unico a notare, visto il modo imbarazzato in cui si guardano Sandra e il suo compagno (Sandro) e il calcetto che mi dà Maria Paola (la mia compagna), un calcetto impercettibile e affettuoso che significa più o meno "con chi cazzo mi fai uscire?".
I primi piatti ci vengono serviti dal proprietario in persona (brutto segno) e quando Gianluigi tenta di fare lo stesso giochino che aveva fatto poco prima col cameriere, il proprietario, senza farsi intimorire, lo contraddice. Lo contraddice con gentilezza, ci mancherebbe, ma non con la famosa gentilezza che dovrebbe essere tipica del paesello Gianluigiano, ma con la più prosaica gentilezza di un banale rapporto venditore - cliente.

– No, caro cliente, nell'oloturia mantecata non si mette la ricotta.
– Beh, ma nella ricetta originale si mette.
– Questa è proprio la ricetta originale.
– Sì, certo... ma ogni tanto, dico... ogni tanto si mette.
– Mai.
– Beh... ma...
– Niente ricotta.
– Comunque è buonissimo.
– Grazie.

Ma il bello arriva nella fase caffè/ammazzacaffè (bello nel senso di "bello"). Dopo che ognuno di noi ha diligentemente finito di bere i suoi caffé, i suoi gingseng in tazza grande, i suoi orzi non zuccherati con scorza di mandarino biologico non trattato, Gianluigi, con la massima disinvoltura e senza preannunciare a nessuno le sue intenzioni, si alza dal tavolo, apre la vetrina dei superalcolici (vetrina che in tutti i mesi in cui avevo frequentato questo ristorante avevo visto maneggiare solo dal personale di bordo) e, senza chiedere il permesso a nessuno, lì, da solo, in piedi in mezzo ai tavoli, si versa un bicchierino di Rosolio di Cetriolo, una delle "tante" "famose" "prelibatezze" del suo paesello.
Vista la sicurezza con cui conduce a termine questa operazione, reprimo la mia ansia e mi convinco che deve essere per forza una tipica usanza del suo paesello, del resto, mi dico, nel mondo ci sono quei posti dove è considerata buona educazione ruttare, magari al paesello di Gianluigi è considerata buona educazione svuotare le bottiglie dei ristoranti. Dico "svuotare" perché Gianluigi fa questa manovra più di una volta: si versa il suo coso, lo beve al tavolo con noi, poi si alza di nuovo, apre la vetrina, se ne versa un altro bicchierino, lo beve al tavolo e così via, per una mezz'ora buona, il tutto sotto gli occhi dei proprietari che lo osservano da un angolo della sala. Lo osservano piuttosto freddamente, bisogna dire, ma, mi dico, in che altro modo dovrebbero guardare un cliente che espleta una tipica usanza del loro comune paesello?

– Volete un po' di Rosolio di Cetriolo anche voi?
– No grazie, Gianluigi, io sono a posto.
– Gianluigia? Sandro? Sandra? Maria Paola? Nessuno?

No, Gianluigi, nessuno, anche perché è da un pezzo che siamo rimasti solo noi nel ristorante e chiunque non sia un egocentrico egotista egomaniaco si sarebbe facilmente reso conto che non siamo più graditi, ma questo non glielo dico.
Finalmente arriva il momento di pagare: conti separati, come si faceva da giovani, e quando arriva il turno dei Gianluigi, succede la seguente cosa: Gianluigi, che naturalmente si autoincarica di elencare tutto quello che hanno ordinato lui e Gianluigia, omette il Rosolio di Cetriolo. Se ne sarà dimenticato, penso, e infatti la proprietaria dice

– Ti sei dimenticato il Rosolio di Cetriolo, caro cliente.

Ok, penso, tutto risolto, ora Gianluigi si scuserà, dirà qualcosa come "sì, è vero, ah ah, come ho fatto a dimenticarmelo?" e tutti ce ne andremo a dormire e ci metteremo alle spalle questa sgradevole serata e invece no, Gianluigi risponde

– Quale Rosolio?

Proprio così, "quale Rosolio?". Ci voltiamo tutti all'unisono verso di lui, increduli, Gianluigia compresa, e lo guardiamo con una faccia che inequivocabilmente dice "perché lo stai facendo"?

– Il Rosolio di Cetriolo, caro cliente. Ti è piaciuto, vero?
– Ma io non... cioè io...
– Sì, e ti deve essere piaciuto molto, perché te lo sei bevuto quasi tutto.

Non sto inventando niente. Queste sono le esatte parole che la proprietaria ha pronunciato, le ricordo bene perché, essendo io lì nel ruolo ufficiale di "accompagnatore di Gianluigi", ho provato così tanta vergogna che, per la prima volta, ho capito perfettamente il senso della frase fatta "mi sarei sotterrato". Gianluigi non ribatte più, nemmeno con una banale scusa, giusto per salvare le apparenze, ma si limita a pagare il dovuto. Dopo di che ce ne andiamo.
Fuori dal ristorante facciamo tutti finta di niente, sorridiamo, diciamo due battute e ci salutiamo ripromettendoci di rivederci presto, come si fa sempre, ma non era vero, non solo non ci siamo più rivisti tutti e sei insieme, ma nessuno di noi ha più rimesso piede in quel ristorante.
Da quella sera non ho più rivisto Gianluigi, non so che fine abbia fatto. Invece so che ora Gianluigia sta con un tedesco e vive felicemente con lui e i loro due figli a Valencia.

TESTINE

L'IMPORTANZA DEI GRILLINI

Spero di non offendere nessuno se dico che in tutti noi c'è un piccolo grillino, anche nelle persone più insospettabili, anche in Soros. Lo so perché qualche tempo fa ho letto "The Alchemy of Finance: The New Paradigm", un libro che Soros ha pubblicato nel 1988, e qua e là saltano fuori alcuni degli ora ben noti preconcetti grillini: la sfiducia nel Fondo Monetario Internazionale, l'uso di termini come "fondamentalismo liberista", la globalizzazione finanziaria vista come portatrice di un'imminente catastrofe mondiale eccetera, ma soprattutto c'è quel caratteristico atteggiamento grillino per cui un totale profano di politica economica e di scienza delle finanze come Soros (profano per sua stessa ammissione) pensa di avere capito tutto sul funzionamento dei mercati finanziari, anche cose che gli accademici di tutto il mondo ignorano e che i famosi media mainstream "non ci vogliono dire" (il virgolettato non è dal libro di Soros, ma dal libro dei luoghi comuni grillini). Soros sarebbe l'idolo dei grillini se solo sapessero leggere (e non fossero vagamente antisemiti, parlo di quell'intramontabile antisemitismo popolare per cui la cosiddetta "lobby ebraica" sarebbe una cosa reale e non semplicemente un'espressione antisemita).
Piccola precisazione: da qui in avanti col termine "Grillini", con la "g" maiuscola, non intenderò semplicemente i rappresentanti del Movimento 5 Stelle (con un po' più di sforzo potevano trovare un nome anche più scemo, che so, "Organizzazione 3 Gamberi", "Formazione 8 Volante", "Ayurveda Relax 50 minuti"), ma intenderò più in generale quel tipo di persone che si possono trovare ovunque e in qualsiasi epoca e che hanno quelle caratteristiche distintive che nell'Italia di oggi sono così ben rappresentate dai "grillini" con la "g" minuscola. In questo senso sono Grillini i Khomeinisti, i QAnoniani, i fan di Putin, la maggior parte dei Brexiter, gli Anti-Vaxxer di tutto il mondo, tanti seguaci di Modi in India e di Bolsonaro in Brasile, ma anche i Leghisti (che potremmo definire una versione xenofobicamente consapevole dei grillini) e persino gente del PD. Il mondo pullula di Grillini. Per esempio, nell'Italia all'epoca fascista, i Grillini erano i fascisti, in particolare i fascisti alla Bombacci, quelli che erano davvero convinti di fare il bene dell'umanità (e quindi i peggiori), più che i fascisti alla Starace, a cui fondamentalmente piaceva solo menare.
È normale che sia così, perché la Grillinità (o se si preferisce Grillineria) è una condizione esistenziale costitutiva dell'essere umano. Tutti nasciamo Grillini, così come tutti nasciamo ignoranti, egotisti e psicopatici, ed è solo attraverso il contatto con la civiltà che possiamo smettere di esserlo, o perlomeno cercare di esserlo meno, ognuno secondo le sue possibilità e le sue opportunità. Come dice quella famosa frase di Rousseau "l'uomo nasce in catene, ma ovunque può diventare libero". Certo, per alcuni è un po' più difficile che per altri; per i grillini è stato evidentemente impossibile. In che modo allora possono essere considerati importanti?
Beh, prima di tutto sono importanti proprio perché sono Grillini in modo integrale e ben riconoscibile, e questo fa sì che proprio grazie a loro questa condizione esistenziale primordiale abbia oggi finalmente un nome.
A questo proposito vorrei far notare quanto è perfetta la parola "grillino", è una di quelle parole che rendono benissimo l'idea già da sole, come "borbottio", "smargiasso" o "demagogia", perché i Grillini sono proprio così: sono piccoli, tanti, fastidiosi e saltellanti come un'invasione di grilli, tutti uguali come sancisce mirabilmente il loro motto: uno vale uno. Pensa che sfortuna se Beppe Grillo si fosse chiamato, che so, Beppe Rodomonti: "i rodomontiani aprono il Parlamento come una scatoletta di tonno", non funziona, vero? Ha quasi un che di nobile. "Rodomontiani" non fa percepire il cieco brulicare di una massa di persone minuscole con le loro vocine sghignazzanti e i loro occhietti umidi; "grillini" invece è perfetto, "zanzarini" sarebbe stato ancora meglio, o "escherichia colini", ma anche "grillini" va benissimo.
C'è poi un altro motivo per cui sono importanti, anzi fondamentali: attraverso il loro esempio, ognuno ha la possibilità di riconoscere il Grillino che ha dentro di sé e distaccarsene, perfezionando così il suo processo di autosgrillinamento.
Per me è stato così. Non che io sia mai stato grillino, questo no, però tempo fa avevo anch'io qualche preconcetto tipicamente Grillino, proprio come Soros, luoghi comuni raccattati con le orecchie un po' qua e un po' là e che ritenevo plausibili non perché li avessi mai approfonditi, ma proprio perché non li avevo mai approfonditi. Se ho abbandonato quei preconcetti a gambe levate e in modo definitivo come nessuna argomentazione avrebbe mai potuto convincermi a fare, è solo merito dei grillini.
Il giorno in cui per la prima volta ho sentito parlare il mio primo grillino in carne e ossa, all'inizio ho provato una strana sensazione: su certe cose mi veniva da dargli ragione (le banche qua, la democrazia diretta là...), anche se io le avrei espresse usando i congiuntivi, ma allo stesso tempo mi vergognavo, com'era possibile? Eppure anche a me piaceva Rousseau, ma più lo ascoltavo e più lo sentivo fare errori logici, banalizzare tutto il banalizzabile, inanellare un luogo comune dietro l'altro e sostituire le argomentazioni con un po' di retorica da rappresentate di classe e il sarcasmo di un bulletto mancato, più la mia vergogna aumentava, finché a un certo punto mi sono detto: "un momento, ma questo qua è un imbecille". È stato un momento catartico, come guardarsi per la prima volta allo specchio e scoprire che, quando fai certi discorsi, non sembri così


ma così


Siccome i grillini dicono solo cose da Grillini e le dicono in modo assolutamente spontaneo e convinto (e dunque senza possibilità di errore), sono perfetti per fare un rapido check sullo stato attuale delle proprie convinzioni personali e depurarsi così da eventuali "idee" Grilline residue.
Qui di seguito ho stilato una piccola lista di queste tipiche "idee" grilline. Ovviamente è solo un abbozzo che deve essere migliorato e ampliato, ma già così può essere un utile strumento per perfezionare il proprio processo di sgrillinamento (con la spunta ho segnato quei preconcetti che, più o meno, avevo anch'io).

1) Destra e sinistra non esistono;
2) La ricerca scientifica persegue principalmente interessi economici;
3) I mercati finanziari distruggono l'economia reale ✓ (cioè, non è che io proprio lo pensassi ("pensassi"), però, insomma, avevo un pregiudizio negativo nei confronti dei mercati finanziari senza sapere nemmeno bene cosa fossero, quindi mi pare di meritarmi la spunta);
4) La politica come professione è male ✓;
5) [Un complotto mondiale a caso] ✓ (Va bene, lo ammetto, anch'io tanti anni fa ho prestato l'orecchio a un complottino, ok? Ma ero molto giovane, non ne ero pienamente consapevole e alla fine non era uno di quei complotti così assurdamente pazzi come le scie chimiche, per dire, era solo mediamente pazzo, un complotto pazzerello, diciamo, e comunque mi è bastato ascoltare Giulietto Chiesa per cinque minuti per provare la vergogna descritta sopra e tornare subito in me);
6) I media ci tengono nascosta la verità;
7) Democrazia diretta > democrazia rappresentativa ✓;
8) Sovranismo > Sovranazionalismo;
9) Saggezza popolare > esperienza professionale;
10) Naturale = sano, artificiale = malsano;
11) Gli elettori sono migliori dei loro rappresentanti ✓ (questa purtroppo è una Grillinata che ho pensato per tantissimo tempo);
12) "Non sono antisemita, ma la finanza mondiale è manovrata dalla lobby ebraica" (grazie a dio questa cosa non l'ho mai pensata, è stato sufficiente frequentare le scuole elementari);
13) Report è una trasmissione attendibile ✓(questo punto può essere approfondito qui).