QI, QI2, EG E CC

QI
Che cos’è l’intelligenza? Si dice la capacità di risolvere problemi. Bene. Ed è molto importante essere intelligenti? A giudicare da quanto la gente ci tiene si direbbe proprio di sì. Chi ha la sfortuna di fare l’insegnante su questo pianeta sa bene che non si può mai dire a un genitore che suo figlio è poco intelligente, nemmeno quando il suddetto figlio non riconosce la propria immagine allo specchio. I pedagogisti vietano persino di pensare che un bambino possa essere poco intelligente e spiegano che tutti, a loro modo, sono intelligenti, sta all’insegnante capire come facciano a fingere così bene di non esserlo. Come dice Isaac in Manhattan, l’intelligenza è molto sopravvalutata, ed è vero. Se solo la gente se ne rendesse conto potrebbe finalmente rilassarsi un po’ e smettere di fare tutte quelle cose stupide per sembrare intelligente. Io, per esempio, non ho difficoltà ad ammettere che non so fare le operazioni a mente. E non sto parlando di prodotti tensoriali o integrazioni in n dimensioni, sto parlando di addizioni e sottrazioni. Quando ci provo mi compaiono subito le rotelline colorate di OSX negli occhi e devo aiutarmi con le dita, cosa che mi limita molto con i numeri maggiori di dieci.
Se l’intelligenza consiste nel saper risolvere i problemi meglio e più velocemente degli altri, allora uno che riesce a realizzare il suo sogno di fare il Ministro della Repubblica è sicuramente una persona molto intelligente, e se l’intelligenza è la qualità intellettuale più importante di un essere umano, allora un qualsiasi Ministro a caso deve essere per forza una persona straordinaria, ma questo è in disaccordo con i dati sperimentali. È evidente che le capacità intellettuali di una persona non possono essere giudicate solo dalla sua capacità di risolvere i problemi, ma anche dal tipo di problemi che si pone. Che cosa bisogna pensare di uno il cui problema è diventare Ministro? Se un mio amico mi dicesse che vuole diventare Ministro, io penserei che è uno stupido, e se poi un giorno diventasse veramente ministro, non è che per questo mi sembrerebbe meno stupido. Uno stupido che risolve i suoi problemi da stupido resta sempre uno stupido. La verità è che esistono stupidi molto intelligenti. Per questo dico che, per valutare le capacità intellettuali complessive di una persona, bisogna considerare oltre all’intelligenza anche la comprensione, dove “comprendere” non è sinonimo di “capire”, checché ne dica la lingua italiana.
Ma che cos’è esattamente la comprensione? Non è per caso solo un espediente per dimostrare che, anche se non so fare le addizioni, sono comunque straordinariamente sveglio?
Non solo.

QI2
Ogni persona (pi) vive in un suo mondo (Mi) dove si rappresenta come Ioi e in cui ci sono varie cose tutte più o meno collegate fra loro.


L’intelligenza è la capacità di cogliere i nessi fra le cose. Per esempio, una persona intelligente sa che le verze possono produrre fastidiosi spifferi e che mettersi un arbre magique nelle mutande non risolve il problema.
Ci sono cose che appartengono ai mondi di tutti e cose che appartengono solo al mondo di qualcuno. L’intersezione di tutti i mondi (∩Mi) è il mondo comune, quello con il quale tutti hanno più o meno a che fare.


Se la figura qui sopra sembra volgare, non è colpa della figura, è il mondo comune che è volgare. Ovviamente ognuno progetta la propria vita nell’ambito più o meno ristretto del suo mondo personale e le cose che stanno fuori è come se non esistessero. Per p1 le rose canine non esistono, esistono i fiori, ma non le rose canine, mentre per p2 non esiste il macropodus opercularis, al massimo esiste la frittura di pesce. Così quando p1 e p2 vogliono scambiare due chiacchiere si limiteranno a parlare di qualcosa che appartenga a ∩Mi.


Che caldo!

Non si respira!

Un caldo così non l’ho mai sentito.

È che non si respira.

Dicono che sia l’estate più calda degli ultimi seimila anni.

Se qui non si fa qualcosa...

Domani sarà anche peggio.

Ormai non sbagliano più, quando dicono che piove...

Piove.

Quando dicono che fa caldo...

Che caldo!

Piovesse almeno!

Che poi non è nemmeno il caldo.

È l’umidità.

Che umidità!

Scusa...

Dimmi.

Non mi ricordo più chi sono io e chi sei tu.


Se l’intelligenza è la capacità di connettere le cose fra loro, la comprensione è la capacità di includerle nel proprio mondo. Comprendere una cosa non significa capirla, ma piuttosto avere la possibilità di capirla. Ognuno esercita la propria intelligenza entro i confini di ciò che ha compreso, quindi si può dire che per capire una cosa bisogna prima averla compresa. Se uno è intelligentissimo, ma nel suo mondo ci sono solo verze, mutande e arbre magique, il margine che ha per destreggiarsi con la sua smisurata intelligenza è abbastanza limitato. È come avere una Porsche e abitare ad Alicudi.
La comprensione di una persona parte sempre dalle cose che le sono più vicine, cioè da se stessa, dai suoi bisogni immediati e dal suo benessere materiale, poi passa a quelle che la riguardano sempre meno direttamente e via via si allarga fino a includere cose anche molto distanti dal proprio entusiasmante ego. Le persone che comprendono poco vivono in mondi piccoli, il cui raggio è stimabile intorno ai due o tre palmi dal naso, e quando nel mondo di una persona ci sono poche cose, queste sono perlopiù quelle che appartengono a ∩Mi. Ciò fa sì che la gente col mondo piccolo abbia desideri comuni, apprezzi le cose che vanno di moda, parli per sentito dire, abbia opinioni banali e racconti un sacco di barzellette. Sono quelli che vanno nei posti dove vanno tutti, a fare quello che fanno tutti e, quando tornano, raccontano le cose che raccontano tutti, parola per parola. Queste persone sono una la fotocopia dell’altra, parlano tutte insieme con la stessa voce e si ammassano sgomitando e calpestandosi. Fra loro ci sono anche persone molto intelligenti, sono quelle che sgomitano e calpestano meglio degli altri. Inoltre più Mi è piccolo, più Ioi sembra grande. Per chi vive in un mondo piccolo tutto quello che c’è è noto e tutto quello che è noto è in relazione diretta con lui, così le persone che comprendono poco tendono inevitabilmente a parlare sempre di sé e sono incapaci di ascoltare. Primo perché sono storditi dalle smisurate dimensioni del proprio Io (dimensioni smisurate solo in relazione alla piccolezza del mondo in cui vivono), secondo perché nel loro mondo ci sono così poche cose che chiunque si rivolga a loro parlerà quasi sempre di qualcosa che non comprendono.
Quindi, per avere una valutazione più veritiera delle capacità intellettuali di una persona (QI2), il QI deve essere pesato con un coefficiente di comprensione (CC), cioè un numero compreso fra 0 e 1 che stimi le dimensioni del mondo della persona in questione (0 se inesistente, 1 se infinito).

QI2 = CC × QI

In questo modo si può avere il caso limite di una persona che capisce tutto (QI=miliardi) ma che non ha niente da capire (CC=0), e che è quindi indistinguibile da uno che non capisce niente (QI=0).

EG
Per esempio, una cosa che mi sono sempre chiesto è questa: come fa una persona intelligente a credere in Dio? Un ente metafisico, atemporale, onnipotente, onnisciente, creatore di tutto e di tutti, che si arrabbia se uno si mette sul pene una guaina di gomma? La risposta che mi sono sempre dato è che non può, chi crede in un Dio così intelligente che fa cose così stupide non è intelligente. Certamente è una risposta che viene spontanea, ma è sbagliata, perché se fosse un problema di intelligenza, allora uno che non si accorge di incongruenze così evidenti dovrebbe essere talmente stupido da radersi con l’affettatrice, entrare e uscire di casa passando per lo scarico del water, guidare la moto col casco alla rovescia e pretendere di far colpo sulla gente dandosi fuoco ai peli del naso. Invece non è così. Tolta la religione, i religiosi sono intelligenti tanto quanto gli altri. Allora si potrebbe pensare che è colpa dell’ignoranza: se uno non sa che sulla Terra esistono migliaia di religioni, alcune persino più assurde della sua e ciononostante seguite altrettanto ciecamente da milioni e milioni di fedeli, è più facile che continui a coltivare la sua spiritualità locale. Certo l’ignoranza aiuta, ma non basta, perché tutti sono più o meno al corrente dell'esistenza del Buddismo, dell’Induismo, dell’Islam, dei tarocchi, eccetera, ma non è che questo faccia loro una grande impressione.


Che cos’hai detto?

Quando?

Luddismo? Bullismo? Lollismo?

Buddismo.

E che cos’è?

È una religione.

Davvero!?

Sì.

Non sapevo che esistessero due religioni!

Dice che tutto è sofferenza, ogni cosa decade e si estingue, e l’Io non esiste.

Mm... mi torna.


Invece non va mai così. I riti degli altri sono sempre superstizioni senza senso, mentre stringersi la mano in chiesa è scambiarsi un segno di pace, mangiare una sottile sfoglia di frumento è ricevere il corpo di Cristo e raccontare le proprie perversioni sessuali a un vecchio chiuso in una cabina di legno è confessarsi. Questo perché la religiosità di una persona non è tanto una questione di intelligenza né di istruzione, quanto di comprensione. Non è che le incongruenze della propria religione non siano capite, non sono proprio nemmeno comprese. Un religioso ha nei confronti di queste incongruenze perlopiù lo stesso atteggiamento che ha nei confronti delle mosche: cerca di scacciarle.
Per chi nasce in Italia, Dio, l’immortalità dell’anima e la verginità della Madonna appartengono a ∩Mi.


Sono cose a cui uno dà importanza di default, non perché le abbia scelte. Si crede in Dio perché ci credono gli altri, senza averlo mai deciso, quasi senza saperlo, e questo non è di per sé stupido. Avere delle convinzioni basate sul sentito dire è normale. Se uno mettesse in discussione ogni volta tutto quanto, impiegherebbe due settimane solo per farsi una pasta coi broccoli. Anche nel Giappone molte persone credono solo per sentito dire: qualcun altro ci è stato e ne parla, Google Maps sostiene che quell’arcipelago a forma di banana si chiami Giappone, il sushi viene spacciato per cibo giapponese, eccetera, e finché nel loro mondo non entra qualcosa di incongruente col Giappone, queste persone non ne metteranno mai in discussione l’esistenza. La stessa cosa vale anche per le religioni, solo che per smettere di credere in Dio o nel Giappone non è sufficiente che un’incongruenza si presenti sulla porta del mondo e suoni il citofono, bisogna anche aprirle. Certo è una scocciatura, è troppo bello starsene chiusi in casa e non rispondere a nessuno, meno che mai a un’incongruenza, una che magari entra in casa con le scarpe sporche e butta all’aria tutto. Purtroppo però è l’unico modo per capire se un’incongruenza è veramente un’incongruenza o solo pubblicità in buca. In poche parole, per darsi una risposta bisogna prima essere disposti a farsi la domanda.
Come fa una persona intelligente a credere in Dio? Non se l’è mai chiesto.

CC
Il QI da solo non serve a niente, è solo un numero da giocare al lotto. Come si è detto, il QI diventa una valutazione attendibile delle capacità intellettuali solo se viene moltiplicato per CC, il coefficiente di comprensione. Quindi se si vogliono quantificare le capacità intellettuali di una persona, è necessario avere un test che stimi anche CC. Naturalmente preparare un test di questo genere va al di là degli scopi di questo blog, tuttavia è possibile farsene un’idea per mezzo di alcune domande qualitative. Per cercare di capire come potrebbero essere queste domande, partiamo dal seguente dato di fatto: le persone tracotanti hanno poca comprensione e più sono tracotanti meno comprensione hanno. Per convincersene è sufficiente tenere presente che la comprensione di un essere umano è fondamentalmente la sua apertura alla possibilità di essere stupido. “Stupido” non in senso clinico, ma in senso esistenziale. Gli stupidi clinici, cioè quelli col cervello difettoso, sono rari e sono persone da compatire. Non c’entrano niente con questo discorso. Generalmente, quando si dice che uno è stupido, si dà sempre per scontato che lo sia nello stesso senso di uno stupido clinico, ma non è così. La stupidità delle persone col cervello che funziona è un modo di essere, non una condizione fisica del cervello. Lo stupido è solo una persona che fa o dice cose stupide ed è stupido solo ed esclusivamente nel momento in cui dice o fa quelle cose. Per esempio, essere convinti di non dire e non fare mai cose stupide è una cosa stupida. È sbagliato pensare, come di solito fanno tutti, che esistano gli stupidi e i non stupidi, perché la stupidità è la condizione originaria e congenita di ogni essere umano, è il suo modo di essere più prossimo, quello che gli viene più spontaneo. Tutti siamo stati, siamo e saremo stupidi, almeno un po’, e l’unica cosa che si può fare è solo cercare di essere il meno stupidi possibile. Che cos’è la vita se non un graduale e continuo liberarsi della propria stupidità? Si nasce che si è dei perfetti stupidi e si dovrebbe sperare di morire un po’ meno stupidi di quando si è nati. Rendersi conto di essere stupidi è una cosa positiva, perché solo chi di tanto in tanto si sente stupido può provare a esserlo di meno.
Ecco quindi alcune domande attraverso cui chiunque può farsi un’idea del proprio CC, basta rispondere con sincerità. Purtroppo c’è l’inconveniente che chi ha una scarsa comprensione è di solito anche poco sincero con se stesso, il che renderebbe il test che segue completamente inutile se non fosse che ho una gran voglia di scriverlo.
Prima domanda: mi è mai capitato di avere torto?
Rispondere al volo “sì, un sacco di volte” non basta. Questo test non si fa fregare così facilmente. Per rispondere bisogna prendere carta e penna e menzionare nel dettaglio tutte le volte in cui si ha avuto torto (quando, dove, come e perché). La quantità di spazio bianco che resterà sul foglio sarà inversamente proporzionale al proprio CC. Importante: il foglio deve essere un A4, non un post-it.
Seconda domanda: conosco qualcuno più intelligente di me?
Rispondere “Einstein” non va bene. Anche rispondere “Einstein, Mozart, Socrate, Shakespeare e tutta la scuola di Francoforte” non va bene. Bisogna dire nomi di persone che si conoscono, gente con cui si ha a che fare più o meno tutti i giorni: amici, parenti, colleghi, vicini di casa, eccetera, meglio se antipatici. Troppo comodo ammettere la superiorità intellettuale di morti illustri, gente che se ne sta al sicuro sottoterra e non dà fastidio a nessuno. Se uno si sente più intelligente di tutti quelli che conosce, i casi sono due: o è effettivamente più intelligente di tutti o è stupido, non ci sono vie di mezzo. Beethoven pensava di essere il musicista migliore del suo tempo e aveva ragione, sarebbe stato stupido da parte sua non pensarlo, ma siccome l’apparizione di un Beethoven sulla Terra si verifica grosso modo due o tre volte al secolo, se uno si crede Beethoven ha ottime probabilità di essere semplicemente uno stupido. Sia chiaro, stupido sempre nel senso eccetera.
Terza domanda: mi sono mai sentito stupido?
Siccome sentire la propria stupidità è fondamentale per poterla superare e progredire verso forme di stupidità sempre meno grossolane, uno che non si è mai sentito stupido è uno che è rimasto esattamente com’era al momento della nascita, cioè un rompicoglioni egocentrico che detta ordini frignando. Rendersi conto di aver detto o fatto qualcosa di stupido dovrebbe essere un momento di festa e bisognerebbe essere per sempre grati a chi ce l'ha fatto notare, invece, cosa assurda, le persone si offendono. Anche far notare un semplice errore di grammatica, cosa che non mette minimamente in discussione l’intelligenza di una persona, è una cosa che fa imbestialire, e inevitabilmente succede che uno lotta con tutte le sue forze per difendere il suo errore. Così inizia la guerra dei dizionari, le discussioni sull’Accademia della Crusca e alla fine, quando proprio deve cedere di fronte all’evidenza che “vai a dritto” è solo un’espressione regionale, se la prende con l’irrazionalità della lingua italiana: “vai a sinistra, vai a destra, vai a dritto. Ovvio, no?”.
Quarta domanda: perché tutto quello che mi riguarda è così interessante?
Questa è una domanda trabocchetto.

EMOZIONI IN PADELLA

Domenica... Finalmente posso alzarmi tardi... Mi rigiro nel letto crogiolandomi nel tenerissimo ricordo di sogni appena trascorsi, fragili e impalpabili parvenze notturne piene di magia: tagliatelle col ragù, stinco di maiale al forno, friggione, torta della nonna, frutta, caffè e ammazzacaffè, il tutto accompagnato da una struggente bottiglia di Sangiovese... Ma sono i sogni a essere solo sogni o è la realtà che è un sogno e i sogni sono in realtà la realtà sognata a occhi aperti mentre si dorme in sogno con la televisione accesa? Non lo so, ma una cosa è certa: i sogni sono tuoi (cioè miei) e nessuno può rubarteli (cioè meli)... Ho tutta la casa per me, e oggi, almeno oggi, nessuno potrà costringermi a stare sul divano a guardare la tv e a riempirmi di birra... I bambini non ci sono (nel senso che non sono mai nati) e Wilson è fuori per lavoro... Ho voglia di riprendermi i miei spazi, di fare pace con me stesso... Così, dopo un bidet ristoratore, via subito in cucina, l’unico posto al mondo dove riesco a esprimere tutto quello che ho dentro (in senso spirituale, perché quando devo esprimere quello che ho dentro in senso corporeo vado in bagno)...
Oggi voglio qualcosa di gustoso ma al tempo stesso squisito, qualcosa di ghiotto ma delizioso, qualcosa di sfizioso, stuzzicante, intrigante, appetitoso, fragrante, genuino e tutti gli altri aggettivi che si usano sulle confezioni delle merendine, in poche parole voglio coccolarmi con le padelle... Come ha detto un grande filosofo “ogni giorno, una volta al giorno, fermati un istante a coccolarti” (credo fosse Nietzsche) e io quando voglio coccolarmi mi faccio il polpettone con l’oliva...

INGREDIENTI
- Un’oliva


- 500 grammi di gatti granulari in polvere


- 3 uova di sogliola biologiche (le uova, non la sogliola... la sogliola dev’essere di quelle tradizionali)


- Cinque confetti rosa
- Due bicchieri di spremuta di manzo (mi raccomando: spremuta, non spermuta)


- Sapone a scaglie q.b.
- Un tubetto di maionese (nel caso non ci fosse la maionese vanno benissimo anche due sedie pieghevoli)
- Un cucchiaino di scorza di banana
- Chewinggum
- Pastiglie Wilson


- Limoncello
- Anguria
- Corn flakes
- Olio di naso
- Sale
- Pepe
- 3 chili di farina
- E per finire, ingrediente fondamentale, una gustosissima lepisma...


PREPARAZIONE
Per prima cosa sciacquare accuratamente l’oliva sotto l’acqua corrente e mangiarla... Questo aiuterà a tenere occupato lo stomaco durante la preparazione del polpettone... Dopodiché tritare finemente i confetti e rosolarli a fuoco lento in una grossa pentola insieme a manzo, pastiglie, limoncello e maionese... A proposito di tritare, confesso di essermi completamente innamorato dello straordinario tritatutto Wilson...


Maneggevole, silenzioso e soprattutto sostenibile, perché non consuma energia elettrica e in più produce grosse quantità di acqua completamente gratuita (sotto le ascelle)... Ma proseguiamo... Mentre il sugo di manzo cuoce e zampilla tutto intorno, tostare i chewinggum in una padella antiaderente aggiungendo di tanto in tanto un po’ d’acqua tiepida, come quando si prepara la testa di balena in agrodolce, e intanto far sciogliere a parte le scaglie di sapone... Questo può farlo la lepisma... Poi, quando il manzo inizia ad asciugare e a incrostarsi alle pareti della pentola, aggiungere olio bollente e mescolare bene con la pratica paletta Wilson...


Ricoprire il tutto con uno o più coperchi Wilson e alzare la fiamma dei chewinggum... Che profumino... I fumi di aspartame penetrano nelle più recondite narici dell’anima e, per un momento, ti fanno sentire su un altro pianeta (Venere)... È duro costringersi a tornare al lavoro, ma ne vale la pena, c’è un appassionante polpettone da finire... Prendere le uova di sogliola e romperle molto delicatamente, separando gli albumi dai tuorli: gli albumi vanno montati a neve e i tuorli ridotti in tanti piccoli orsacchiotti con l’apposito imbuto Wilson...


Abbassare la fiamma dei chewinggum, impastare i gatti di polvere con un po’ di olio e sale,  metterli in un sacchetto antigelo Wilson insieme a manzo, albumi, orsacchiotti, sapone e chewinggum, e  immergere il tutto in una pentola Wilson piena d’acqua fino all’orlo Wilson... Far cuocere per circa quindici Wilson ed ecco finalmente il nostro polpettone...


Già pronto da spalmare sul pane (è possibile anche spalmarlo su altre superfici, ma sul pane dà più l’idea di essere commestibile)... È un piatto fresco e leggero per tutte le occasioni, una leccornia da leccarsi i baffi (a vicenda)...
La vita è strana... A volte succede che guardi dentro di te e non vedi altro che mucose e tessuti molli... Eppure un raggio di luce può risplendere persino nell’oscurità dell’anima più insensibile e indicare la via della speranza, della libertà e delle coccole...

È severamente vietato preparare questa ricetta anche solo parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa l’immaginazione, anche per usi diversi da quelli alimentari, come la preparazione di emetici, calcestruzzi o armi chimiche... Ogni violazione sarà repressa nelle coccole...

L’UOMO È UNA PASSIONE INUTILE

Nasco con una certa dose x di autostima. x varia nel tempo, può aumentare o può diminuire. Per esempio, se mi scoppia una vena nel cervello, diventa +∞. y è invece la stima del mondo nei miei confronti così come io la percepisco (stima del mondo percepita)

y = ∑ƒiyi

dove yi è la stima che effettivamente ha per me la persona i-esima e ƒi è quanto m’importa di questa persona.
Sono soddisfatto di me stesso se e solo se

y ≥ x

cioè se e solo se la stima del mondo è pari o superiore alla mia autostima. Se questo non accade allora sarò frustrato, tanto più frustrato quanto più grande è la differenza fra x e y, e la mia infelicità sarà

I = µ (x-y)

dove µ è una costante di proporzionalità che dipende solo dalle unità di misura.

ESEMPIO 1
Sandro si stima in maniera pazzesca

x = pazzesca

ed è stimato da sua madre (m), che Sandro usa come sua personale badante e scendiletto mobile (ƒm=0), e dal suo gatto Rasputin (r), che per quanto sia di razza è pur sempre un gatto (ƒr=0). A sua volta Sandro stima moltissimo Giorgio, Federico e Paolo (gfp), che però sono tre soldatini di legno e a quanto pare i soldatini di legno non hanno l’anima (ygfp=0), cosa che non dipende tanto dal materiale quanto dal fatto che sono soldatini. Quindi l’infelicità di Sandro è

I = µ (x - ymƒm - yrƒr - ygfpƒgfp)

che svolgendo i calcoli diventa

I = pazzesca

Più in generale si può concludere che una persona sola (y=0) non solo è necessariamente infelice

I = µx

ma la sua infelicità è tanto più grande quanto più alta è l’opinione che ha di sé. Chi non fosse soddisfatto da questa situazione (molte persone non vedono il lato divertente dell’essere infelici) ha due possibili strade: può cercare di ridimensionare x, per esempio rendendosi conto che non sa nemmeno cucinare due uova al tegamino, oppure può cercare di aumentare y, cioè può dedicare la vita a guadagnarsi la stima degli altri. Quest’ultima strada è nettamente la più faticosa e lunga, ma sorprendentemente è anche la più seguita. C’è però un problema: ogni nuova persona che mi stima fa aumentare non solo y ma anche x, infatti x è composta da due termini

x = x0 + ∑yi

dove x0 è la stima che ho di me quando nessuno mi stima (autostima a riposo), mentre ∑yi è la stima che tutti gli altri hanno di me (stima del mondo effettiva). È un fenomeno abbastanza intuitivo, più persone mi stimano più a mia volta io mi stimo e mi stimo tanto più quanto più esse mi stimano. Inoltre si noti che, mentre il contributo della stima altrui alla percezione che ho della stima del mondo nei miei confronti (y) è pesato in base a quanto m’importa delle persone che mi stimano, quando invece si tratta di autostimarmi (x) la stima altrui va bene così com’è, fosse anche quella del mio gatto. In altre parole c’è sempre un buon motivo per stimarsi. Per capire se questo meccanismo fa diminuire o aumentare la mia infelicità basta scrivere esplicitamente x e y nell’espressione dell’infelicità

I = µ (x0 + ∑yi - ∑ƒiyi)

cioè

I = µ [x0 + ∑ yi(1-ƒi)]

Ora, se chiamo xi la stima che ho della persona i-esima, ƒi può essere scritto come segue

ƒi = xi/x0

cioè m’importa poco delle persone che stimo poco e, in generale, più io mi stimo meno m’importa di tutti gli altri. Dunque sostituendo ƒi si ha

I = µ [x0 + ∑yi(x0-xi)/x0]

da cui si vede che se conquisto la stima di una persona che stimo meno di quanto io di base mi stimi, cioè se x0-xi>0, otterrò come risultato quello di aumentare la mia infelicità, non di diminuirla.

ESEMPIO 2
Sandro decide di guadagnarsi la stima del maggior numero di persone possibile e si iscrive a Facebook. Dopo alcuni mesi ha più di quattromila amici, alcuni dei quali stima moltissimo, come un premio Nobel, cinque pittori rinascimentali e l’inventore della vagina, ma sfortunatamente Sandro è convinto di essere la persona più intelligente del mondo

x0>xi per ogni i appartenente al mondo

dunque ogni suo nuovo amico, per quanto sia stimabile, non farà altro che sprofondarlo ancora di più nell’infelicità.
Si può così ritenere dimostrato il seguente risultato fondamentale: chi pensa di essere la persona migliore del mondo è tanto più infelice quanto maggiore è il numero dei suoi adulatori.

SUPERMAN


INTERVISTA A MARCO BELLOCCHIO

Com'è nata in lei la passione per il cinema?

La mia passione per il cinema?

Il cinema è la sua più grande passione, no? Intendo dopo la passione per lei stesso.

È nata quasi per caso. Quand’ero ragazzo andavo spesso al cinema, forse ero più affascinato dalla sala cinematografica che dai film, sa quell’atmosfera quasi onirica di sospensione della realtà...

Cosa intende esattamente con “onirica”?

Nel senso che era una cosa... non so come dire.

Magica?

Magica.

Magica come? Tipo mago di Oz, gnomi della foresta o maggica Roma?

Ha presente quando si percepisce distintamente qualcosa di più della somma delle singole parti?

Maggica Roma. Senta, cosa pensa del cinema italiano?

Penso che il cinema italiano stia attraversando un periodo di crisi, ma non penso si tratti tanto di mancanza di idee, quanto piuttosto di un appiattimento su canoni visivi e narrativi collaudati. Ritengo che ci siano grandi potenzialità inespresse. Molti autori stanno facendo un lavoro più che apprezzabile, penso ad esempio --

E lei crede di essere fra questi?

In che senso?

Dico i suoi film, pensa che siano "lavori più che apprezzabili"?

Il mio cinema è un po’ particolare.

Particolare bello o particolare brutto?

Voglio dire che prescinde dagli stereotipi commerciali.

E come mai ci tiene così tanto ai premi? Stereotipi commerciali no, premi sì?

Io non ci tengo ai premi.

Oh, mi scusi tanto, l’avevo scambiata per Marco Bellocchio, quello che ha detto “non parteciperò mai più a un festival” solo perché non ha vinto la Mostra del Cinema di Vaccarezza.

Ho cose più importanti da fare che partecipare ai festival.

Cose tipo rodersi il fegato?

Neanche volevo essere in concorso, l’ho fatto solo per la troupe, per dare un riconoscimento pubblico al loro lavoro.

Certo.

È la verità.

Senta, quali sono i suoi riferimenti cinematografici?

Intende dire --

Sì.

Mi lasci pensare. Spaziano molto, non sono un autore settoriale.

Mi dica solo un paio di registi. Non è per metterle fretta, ma sono più di dieci minuti che siamo in questo... come chiamarlo? Villaggio di buzzurri.

Guardi che Bobbio è una città d’arte.

Non stiamo qui a spaccare il capello in quattro, mi dica solo i nomi di due registi.

Sì, dunque, Antonioni.

E Michael Mann?

No.

Ormai l’ho scritto.

Mann e io abbiamo idee totalmente diverse sul cinema.

E si vede. Progetti per il futuro?

Beh --

Arrivederci.

PAUSA CAFFÈ

Ci saranno state, non so, duecento persone.

Duecento?

Anche di più.

Ma cos’era? Pasqua?

Non era niente, era una domenica qualsiasi.

Un codice verde.

Esatto. Di solito ci saranno venti, trenta persone a dir tanto.

Sempre più che da noi.

Invece domenica ce n’erano almeno duecento.

Sul serio?

Almeno.

Come mai?

E che ne so? Lo sai com’è la gente...

Io duecento persone non le vedo neanche a Natale.

E tutti che si mettono in fila per la cosa.

La comunione?

Esatto.

Stai scherzando?

Ti giuro, tutti. Non ho mai visto una roba del genere.

Duecento coperti?

Almeno.

Cioè, da spararsi.

Io largheggio sempre con le particole, lo sai. Riempio la pisside fino all’orlo e poi sono a posto per tutto l’anno.

Ma scadono.

In che senso?

Hanno una scadenza.

Mica si mangiano per il sapore.

Giusto.

Sì, “giusto”, però quel giorno lì non ne ho tre in meno?

No!

Una, due e tre.

Eh, ma questa è sprovvidenza.

Me ne accorgo quando ho ancora quattro vecchie da servire.

Pazzesco.

Guardo le vecchie: quattro. Guardo le ostie: una. Guardo ancora le vecchie, non si sa mai che nel frattempo siano diminuite: sempre quattro.
 
Quindi?

Taci, va’...

Io di solito le spezzo.

Quelle piccole?

Sì.

Le mie sono troppo piccole.

Anche le mie sono piccole.

Non piccole come le mie.

Guarda che sono misure standard.

Per fortuna avevo le patatine.

Le patatine?

Sai, le patatine. Quelle tonde, sottili...

Le patatine.

Eh. Per caso ne avevo un sacchetto in tasca, così --

Hai usato le patatine?

Sì, perché?

Cioè, fammi capire, tu gli hai dato le patatine invece delle ostie?

Esatto.

Mica si può fare.

Perché no, scusa?

Le patatine non sono il corpo di Cristo.

Ah ah ah!

Cosa c’è?

Oddio...

Perché ridi?

No, niente. Hai ragione.

FOBIA

C’è chi ha paura dei ragni, chi degli scarafaggi, chi dei topi. Io ho paura delle persone. Sia chiaro, ho paura anche di ragni, scarafaggi e topi, ma delle persone ho più paura. Non so perché. Perché uno ha paura dei ragni? Non lo sa. Non è perché sono pericolosi. Tutti sanno che i ragni non sono pericolosi, almeno qui da noi. Certo, se si va in quei posti dove sono grandi come tigri, ruggiscono come tigri e hanno la forma di tigri è un altro discorso, ma qui da noi sono innocui come ragni. Da un certo punto di vista sono anche buffi. Non ho idea da quale ma da un qualche punto di vista lo saranno pure. Dopotutto c’è gente che trova buffe le battute di Ezio Greggio, figuriamoci se non si può trovare buffo un ragno. Io ho molta più paura delle battute di Ezio Greggio che dei ragni. Quando vado a dormire, prima di spegnere la luce, controllo sempre in tutti gli angoli che non ce ne sia una nascosta. Con le persone è più o meno la stessa cosa: non ho paura perché sono pericolose, ho paura e basta. Tutte le mie giornate sono organizzate in modo da entrare in contatto col minor numero di persone possibile, per il più breve tempo possibile e nel modo più impersonale possibile. Per esempio vado a fare la spesa solo quando ho esaurito tutte le scorte di tonno in scatola, sottaceti e lepisme, e vado sempre nel primo pomeriggio, cioè quando al supermercato c’è al massimo qualche commesso troppo concentrato a essere un commesso per fare caso a me. Ma una giornata perfetta è una giornata in cui non devo fare la spesa. Una giornata veramente perfetta è una giornata in cui non esco proprio di casa. Perché? Forse uno psicanalista saprebbe rispondermi, ma uno psicanalista è molto peggio della spesa. Se avessi il coraggio di trovarmi faccia a faccia da solo con uno psicanalista, non avrei certo bisogno di uno psicanalista.
Non è odio, è solo paura. Per odiare una persona bisogna avere un motivo, è da stupidi odiare a prescindere. Per esempio io odio quello che abita al piano di sopra perché è un grande appassionato di spostamento di mobili. Appena ha cinque minuti liberi, si mette a spostare il mobilio per tutta la casa. Forse è uno con un sacco di mobili, milioni e milioni di rumorosissimi mobili, oppure sposta da anni la stessa credenza, non saprei dire, ma se la smettesse di fare tutto quel rumore io non lo odierei più. Non sono uno che porta rancore. Se si dedicasse a qualcosa di più silenzioso, tipo morire, non lo odierei più. Io non odio le persone. Mi piace spiarle dalla finestra quando passano in strada, ascoltare quello che dicono o anche annusarle, quando riesco a farlo senza sporgermi troppo. A volte prendo la videocamera e le filmo. È molto interessante poter apprezzare tutti i dettagli di una persona con lo zoom 24x. In un certo senso si potrebbe quasi dire che le persone mi piacciono. Se però ne trovo una nel ripostiglio o sul piatto della doccia, prendo la scopa e l’ammazzo.

3000000000 METRI PIANI

Penso che Salvador Dalì sia di gran lunga il più grande cretino che la storia dell’arte abbia mai preso sul serio.


Ma non è di questo che voglio parlare. Quello di cui voglio  parlare è la sbruffoneria di quelli che fanno i 100 metri piani. Che bisogno c’è di fare tutte quelle facce da cretini? Cosa pensano li esenti dall’essere ritenuti dei cretini come tutti quelli che fanno facce da cretini? Tutta questa scena solo perché fanno 100 metri in 10 secondi? Dopotutto sono solo 36 km/h. Magari poteva fare impressione due milioni di anni fa, quando la gente rincorreva le banane nella savana, ma adesso ci sono le macchine, gli aerei, gli space shuttle. Quanto impiega uno space shuttle a fare 100 metri da fermo? Non ne ho idea, ma di certo fa molta più impressione. Quanto mi piacerebbe che questa gente sapesse che quando mostra la lingua nei primi piani, bacia l’obiettivo o fa altre cose di questo tipo, dall’altra parte ci sono io, senza mutande, col culo appiccicato alla tv. Certo non è elegante, ma è l’unica cosa che sa darmi un po’ di sollievo. O almeno era l’unica cosa. Ora ne ho un’altra.
Come è evidente dalla vita di tutti i giorni, festivi compresi, lunghezze e intervalli di tempo sono gli stessi per tutti, ovunque ci si trovi e su qualsiasi mezzo di locomozione si stia viaggiando, a parte naturalmente quando si parla di prestazioni sessuali, ma questo non c’entra. Nell’atletica, 100 metri sono 100 metri e 10 secondi sono 10 secondi sia per chi sta allo stadio sia per chi è a bordo di un roadster a reazione lanciato a velocità supersonica. L’unica differenza è che la gara vista dal roadster sembra molto più divertente, ma questo non cambia i risultati sportivi.
Qualsiasi evento può essere etichettato con due coordinate x e t: una per la sua posizione e l’altra per l’istante in cui accade. Ovviamente sto facendo finta che l’universo abbia una sola dimensione spaziale, cosa che per certi versi non sarebbe neanche male: niente più semafori, niente più salite, niente più caricature. Per esempio, l’evento “partenza degli sbruffoni alla finale dei 100 metri delle Olimpiadi di Budrio” (P) ha le coordinate

{0, 0}

dove x è misurato dall’inizio della pista e t dall’inizio della gara. Invece l’evento nascita di Gesù ha le coordinate

{3000 km, 2012 avanti Olimpiadi}

sempre che Gesù sia veramente esistito, altrimenti le coordinate sono

{certo, certo}

Questo per chi è allo stadio, invece per chi si muove a velocità costante v rispetto alla pista e misura i tempi col suo orologio e le distanze a partire da se stesso, le coordinate x’ e t’ di questi eventi sono in generale diverse e sono in relazione con x e t secondo queste equazioni

x’ = x - vt
t’ = t

dove per comodità mi sono seduto sul divano, ho aperto una birra fresca e ho deciso che anche lo spettatore in movimento fa partire il cronometro all’inizio della gara, istante in cui transita a tutta velocità sui blocchi di partenza col roadster di cui sopra. Senza perdere in generalità, assumiamo che non investa nessuno, al massimo un paio di giamaicani. Se adesso considero oltre all’evento P anche l’evento “arrivo al traguardo del primo sbruffone” (A) e l’evento, altrettanto degno di nota, “mosca che del tutto casualmente si posa su un blocco di partenza nel momento esatto in cui il primo sbruffone arriva al traguardo” (M), ho che per la gente allo stadio le coordinate di questi eventi sono

P{0, 0}
A{100 metri, 10 secondi}
M{0, 10 secondi}

mentre per chi è in movimento sono

P{0, 0}
A{100 - 10v, 10}
M{-10v, 10}

cioè per entrambi gli spettatori la gara dura 10 secondi (tA = t’A) e la pista è lunga 100 metri (xA - xM = x’A - x’M). Tutto questo discorso per dimostrare l’ovvio, si potrebbe dire, se non fosse che è da circa un secolo che si sa che questo “ovvio” è in realtà sbagliato. Infatti, se proprio si vuole essere precisi, le coordinate si trasformano così

x’ = γ(x - vt)
t’ = γ(t - vx/c2)

dove c è la velocità della luce e

γ = 1/√(1-v2/c2)

Stando così le cose, gli eventi P, A e M visti dallo spettatore in movimento non hanno più le coordinate scritte sopra, ma queste

P{0, 0}
A{γ(100 - 10v), γ(10 - 100v/c2)}
M{-γ10v, γ10}

da cui, dopo alcuni passaggi, si perviene facilmente al seguente risultato: è un casino pazzesco. Per esempio, la posatura della mosca e l’arrivo dello sbruffone non sono più simultanei (t’M ≠ t’A), quindi la lunghezza della pista non può più essere misurata facendo x’A - x’M, perché nel tempo che passa fra sbruffone e mosca la pista si allontana dallo spettatore. Per sapere quanto è lunga la pista per chi ama guardare le gare di atletica scorrazzando a bordo di veicoli supersonici, bisogna scegliere un evento diverso da M, cioè bisogna scegliere fra tutti gli infiniti eventi che avvengono all’inizio della pista (x’=-vt’) quello simultaneo ad A (t’=t’A), cioè

M2{γ(-10v + 100v2/c2), γ(10 - 100v/c2)}

Si vede così che la pista non è più lunga 100 metri ma 100/γ, con lo sbruffone che esulta dopo γ(10 - 100v/c2) secondi invece che 10. Quindi, ogni volta che dei centometristi stanno per stupire il mondo oltrepassando ancora una volta tutte le frontiere del pavoneggiamento, basta andare in autostrada a 3600 km/h e questa gente farà 0.0000000006 metri in meno impiegando 0.00000000005 secondi in più, che potrebbe sembrare poco, ma sono più di trecentomila protoni messi in fila e diecimila miliardi di mesoni ρ+ che decadono uno dopo l’altro. C’è ben poco da esultare.
Ma la cosa che in assoluto dà più sollievo di tutte è un’altra. Lunghezze e intervalli di tempo non sono gli stessi per tutti, è vero, però lo sono le distanze spazio-temporali. Basta omogeneizzare spazio e tempo moltiplicando t per le costanti c e i, dove i è l’unità immaginaria

i2 = -1

e si ha

(xA - xP)2 + (ictA - ictP)2 = (x’A - x’P)2 + (ict’A - ict’P)2

La distanza spazio-temporale fra partenza e arrivo è la stessa per tutti gli spettatori, proprio come succederebbe in un normalissimo spazio euclideo. È un’idea che mi è venuta così, chissà come mai, mentre leggevo qualcosa di un certo Einstein, penso “dottrina del relativismo” o qualcosa del genere. Che persona meravigliosa doveva essere questo Einstein, lui di certo non faceva facce cretine.
Tutto questo significa che il tempo è un po’ come lo spazio: lo si percorre e si incontrano posti diversi, alcuni mai visti, altri un po’ sempre noiosamente gli stessi, come l’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni o l’ennesima incredibile rimonta, ma la cosa veramente bella è che non si può tornare indietro. No, questa non è bella. La cosa bella è che viaggiare nel tempo non costa nessuna fatica, basta aspettare e in un batter d’occhio si copre la distanza

ic × (batter d’occhio)

In pratica ci si muove alla velocità della luce (per i) lungo la direzione del tempo, così come i fotoni si muovono alla velocità della luce nello spazio, e come i fotoni hanno sempre la stessa velocità spaziale, così io ho sempre la stessa velocità temporale, ovunque mi trovi e su qualsiasi mezzo di locomozione stia viaggiando. È veramente piacevole pensare che nei 10 secondi in cui quelli là fanno 100 miserabili metri, io, seduto comodamente sul mio divano, ne faccio circa tre miliardi. Immaginari, certo, ma sempre tre miliardi.