LA VITA SUL SEDILE DIETRO

LA BUCA DELL’AMORE (21 E 22)

21. LA GENTE È TRACOTANTE

L’affermazione “la gente è stupida”, nel senso di “la stragrande maggioranza della gente è stupida”, è falsa, sia che con “stupida” si intenda “poco intelligente” sia che si intenda “poco saggia” (parte 19). Questo comunissimo assemblaggio di lettere è in realtà solo uno dei tanti modi in cui si manifesta la tracotanza umana, un sicuro appiglio sonoro a cui aggrapparsi quando il fastidio per i propri obiettivi intralciati straripa e porta via tutta l’obiettività che incontra. È un’affermazione di solito fatta in momenti di particolare coinvolgimento autoamoroso, e che proprio per questo s’imprime nella mente di chi la fa con la stessa forza di una rivelazione, evidente come un postulato euclideo: dato un punto e una lunghezza, la gente è stupida. Così succede che la tracotanza passa ma la convinzione resta. “La gente è stupida”, dice la gente, e mai nessuno che si chieda “la gente chi?”. “La gente è stupida” significa in realtà “io non capisco di non capire la gente”, cioè significa “non solo io non capisco la gente, ma nemmeno riesco a concepire l’idea che ci sia qualcosa da capire”, in pratica è un’ammissione di tracotanza (parte 20). Dicendo “la gente è stupida” si dice “la gente è tracotante”, solo che ci si riferisce a se stessi.
Chiarito il vero significato della frase, resta da chiedersi se sia vera. È vero che la gente è tracotante? Cioè è vero che la stragrande maggioranza della gente dà facilmente in escandescenze belluine nonostante non sia stupida? È davvero possibile che tutto questo miliardume di gente ammassata insieme da migliaia di anni sullo stesso pezzettino di terra non abbia ancora imparato a sopportarsi? Le risposte sono “sì”, “sì” e “sì”, rispettivamente. La ragione è che al crescere del coinvolgimento emotivo la saggezza necessaria per essere obiettivi (s*) tende a 1, cosicché la soglia della tracotanza, cioè il valore di amor proprio oltre il quale si è tracotanti, tende a 0

lims*→1 √(1/s*2 - 1) = 0

Quindi, siccome per quanto una persona possa amarsi poco si amerà sempre più di niente, esisterà sempre almeno una situazione così molesta da farle dire “la gente è stupida”, fosse anche la persona più saggia del mondo. Anche un asceta in meditazione, se gli si pesta il callo giusto, può bestemmiare.


22. UN ESEMPIO SU TUTTI

Luigi Bellocchio è un regista molto noto nel suo piccolo angolo di pianeta Terra, e fin da bambino ha sempre avuto un sogno: vincere la Mostra del Cinema di Frosolone, obiettivo cui corrisponde una saggezza so=0.39 (parte 4). Alcuni registi hanno il sogno di far vedere il mondo coi loro occhi, questo mondo o un altro, altri invece hanno il sogno di vincere i festival. Sono due obiettivi ugualmente rispettabili, l’unica differenza è che il secondo obiettivo è molto più vicino del primo al centro della buca dell’amor proprio, e quindi l’intelligenza minima necessaria per raggiungerlo è molto più piccola (parte 6). Luigi Bellocchio, oltre a essere molto innamorato di se stesso (a=2), è anche molto intelligente (i=0.9), e infatti ha vinto moltissimi festival: Monghidoro, Varazze, Maddaloni, Giacciano con Baruchella, Fucecchio, Crespellano, ma mai Frosolone, proprio il festival sotto casa sua. Ogni sera, prima di addormentarsi, si crogiola nel pensiero di quanto sarebbe bello vincerlo: salire sul palco davanti al duomo, stringere la mano al sindaco, concedere un’intervista al giornalino della Diocesi e, soprattutto, essere applaudito dai vecchi compagni del liceo, quelli che lo consideravano uno sfigato solo perché pensava che le donne facessero la pipì dallo stesso buco da cui fanno i bambini. Per non parlare del fatto che quello di Frosolone è uno dei festival cinematografici più prestigiosi di tutto il Molise, e alzare al cielo almeno una volta il Vitello d’Oro per il miglior film lo farebbe sentire incredibilmente orgoglioso di sé (oo=0.8, parte 4). Certo sarebbe ancora meglio alzare al cielo un Luigi Bellocchio d’oro, ma non si può avere tutto.
Ecco perché Luigi Bellocchio, fin da quando ha diretto il suo primo lungometraggio “Abbrustoliamoci”, un piccolo film amatoriale girato con gli amici (a loro insaputa), non ha mai mancato una sola edizione del festival di Frosolone. Ogni anno, per oltre quarant’anni, ha sempre letto diligentemente tutto il bando di concorso, ha sempre compilato la scheda d’iscrizione in tutte le sue parti, ha sempre scritto dettagliatamente il suo curriculum senza tralasciare niente, nemmeno quel trenta e lode in filosofia morale di cui va tanto fiero, e ha sempre spedito il tutto alla Mostra del Cinema Internazionale di Frosolone c/o Guido Sbernazzi, con tanto di raccomandata e ricevuta di ritorno, per sicurezza. Due volte, per sicurezza. Ma purtroppo non ha mai vinto. Mai, nemmeno coi suoi film più riusciti: “Leccarsi i baffi da dietro”, “Bagagliaio a mano” e “La donna col marsupio”. Ha sì vinto alcuni premi: miglior soggetto originale esclusi i presenti, miglior gatto non protagonista, miglior montatura degli occhiali, eccetera, ma mai il premio per il miglior film, e cos’altro è un film di Luigi Bellocchio se non il miglior film? Per questo motivo, stufo di fare ogni anno spazio al trofeo sulla mensola del caminetto per poi ogni anno dover rimettere tutto tristemente in ordine, decide di fare l’ultimo tentativo: “questa è l’ultima volta che partecipo”, giura fra sé e sé come ogni anno.
Una mattina di febbraio, due mesi prima della deadline, Luigi Bellocchio esce di casa col suo plico sottobraccio e il modulo della raccomandata già compilato, entra in posta salutando gli impiegati per nome e consegna nelle loro mani la sua ultima opera: “Gigi lo spaventapassere”, un intenso film autobiografico in cui racconta il suo difficile rapporto con le donne, in particolare quelle che non ci stanno. Quando l’impiegata prende il plico col film e lo getta nello scatolone delle spedizioni con lo stesso gesto con cui si butta l’immondizia, Luigi Bellocchio sente l’impulso di prenderla a schiaffi. Ma si trattiene, aiutato in questo dalla sua grande forza di volontà e da due guardie giurate che lo tengono fermo, come ogni anno. Fatto questo se ne torna a casa a fare la sua vita di tutti i giorni, tranquillamente, a parte controllare di tanto in tanto il sito del festival, giusto per vedere se è stata pubblicata la lista dei selezionati.
Tutto va avanti così per qualche mese, senza novità: il sole sorge e tramonta, i sindacati scioperano, qualcuno ammazza gente a caso per far vedere quanto è misericordioso il suo Dio e ogni cosa sulla Terra è esattamente uguale a come è sempre stata, a parte un clamoroso aumento delle visite al sito del festival di Frosolone. Poi, un giorno, arriva finalmente una mail dall’organizzazione. È una mail molto cordiale e piena di riguardi. Si vede che rispettano il suo lavoro.

Caro regista,
grazie per aver inviato il tuo film GIGI LO SPAVENTAPASSI alla 52a Mostra del Cinema di Frosolone. Quest’anno sono arrivati più di 100 film e la selezione è stata veramente molto difficile, sia per l’alta qualità artistica del materiale ricevuto sia perché il lettore dvd ogni tanto fa le bizze. Ci rendiamo conto che escludere un film per prenderne un altro significa dover scartare il lavoro di tante persone, ma bisogna pur scegliere! Quindi, pur consapevoli dei notevoli meriti artistici del tuo film, siamo tuttavia spiacenti di informarti che non è stato possibile trovare una collocazione adatta per una sua proiezione. Nemmeno nella nuova sezione “film al bagno”.
Sicuri di ricevere in futuro altre tue opere, ti invitiamo a Frosolone a seguire dal vivo il nostro spumeggiante festival, uno straordinario caleidoscopio di immagini, idee e culture da tutta la provincia di Isernia. Ti aspettiamo!

Luigi Bellocchio legge la mail da cima a fondo soppesando ogni parola, anche se con l’esperienza acquisita in tanti anni capisce di essere stato scartato già a “caro regista”. Finita la mail si passa una mano sulla faccia e, dopo un sospiro, la rilegge un’altra volta. Purtroppo però le parole non cambiano, e quel che è peggio non cambia il loro significato: il tuo film non ci piace. Com’è possibile? Luigi Bellocchio sa bene di avere tutte le qualità necessarie per vincere un festival come Frosolone: ha una reflex full HD, degli amici disposti a improvvisarsi attori e una saggezza pari a 0.4 (parte 12), sa quante sottigliezze e sfumature ci sono nel suo film, quanti innumerevoli piani di lettura, per non parlare dell’altissimo livello tecnico raggiunto in ogni aspetto della realizzazione (questa volta aveva persino il catering), eppure quest’anno non solo non vincerà niente, ma non sarà nemmeno proiettato. “Nemmeno proiettato”, che suono molesto hanno queste parole.
Quello che Luigi Bellocchio non riesce a capire è che il problema non è tanto che il suo film è brutto, quanto che i film degli altri sono belli. Non solo, il problema è anche che in ogni scelta di chicchessia, per quanto scrupolosa e meditata possa essere, c’è sempre una componente di caso, e un film per essere pienamente apprezzato deve essere visto nel momento giusto e nello stato d’animo giusto. Per esempio “2001: odissea nello spazio” è molto più bello se lo si guarda subito prima di “Stalker”, “Apocalypse now” e “Heimat”, invece che subito dopo. Capire tutto questo quando si sono spesi tanto tempo e tante energie per raccontare qualcosa a cui si tiene è davvero molto difficile (s*=0.9, parte 20), e Luigi Bellocchio non solo non riesce a capirlo, ma non riesce nemmeno a concepirlo (sC=0.45, parte 8). Infatti per concepire una cosa del genere dovrebbe amarsi meno di una casalinga (parte 4), mentre lui si ama più di Alessandro Magno, cioè poco meno di un comune mitomane ma almeno quanto un Luigi, e, proprio come un qualsiasi Luigi, quando legge la mail ha un terribile e irresistibile accesso di tracotanza.
Decide di rispondere. Cosa può scrivere a questa gente di abbastanza offensivo da ferirli, ma non così rozzo da far capire che se l’è presa? Di abbastanza arguto da dimostrare la sua superiorità intellettuale, ma non così sottile da rischiare di non essere capito? Ci vorrebbe una cosa tagliente e sintetica, poche devastanti parole che facciano subito capire con chi hanno a che fare. Non è facile. Così, dopo aver riflettuto per oltre cinque secondi, Luigi Bellocchio si tira vicino la tastiera del computer e inizia a scrivere. “Brutti imbecilli”. No, forse è meglio un più sobrio “imbecilli”. Sì, “imbecilli”. Anzi, “cari imbecilli”, non bisogna mai dimenticare le buone maniere.

Cari imbecilli,
vi sembra questo il modo di trattare un regista del mio calibro? Per non parlare del film. Lo avete visto almeno? Avete letto fra le righe? Avete colto le citazioni? Ma soprattutto avete pensato al futuro dei nostri figli? A degli organizzatori seri chiederei che facessero almeno lo sforzo di spiegare in base a quali criteri hanno scartato un film così sfaccettato e intriso di duplici significati, ma a voi non chiedo tanto, evidentemente siete poco sensibili alle sfumature di altri linguaggi. Sappiate che il mio film è conteso da tutti i grandi festival internazionali, o almeno spero. Non dico questo per elogiarmi, ma per

Per... per... per... niente, non gli viene in mente un altro motivo credibile. È troppo fuori di sé per scrivere qualcosa di sensato, quindi alla fine cancella tutto e si limita a scrivere “la gente è stupida”, come ogni anno.

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PRETI (TRAILER)

On line non so quando, sicuramente prima o poi, in ventiquattro pratici episodi.

LA BUCA DELL’AMORE (20)

20. STUPIDITÀ DEL TERZO TIPO

Io non so chi sia alla guida di questo universo e che progetti abbia per il futuro, se stia portando tutti a un enorme party cosmico o se si sia semplicemente addormentato, quello che è certo è che la dose di amor proprio che ha versato dentro l’essere umano è una dose da cavallo, anzi molto più che da cavallo, visto che non si è mai visto un cavallo autocelebrarsi con tutta la costanza e la passione degli uomini, né un cavallo né nessun altro animale, nemmeno un pavone. È curioso che si usi il verbo “pavoneggiarsi” per riferirsi a qualcuno che fa sfoggio di sé, quando invece sarebbe molto più onesto dire “uomeggiarsi”. Forse tutto questo amor proprio ha una sua utilità, chi lo sa? Forse è indispensabile perché la gente possa dedicarsi spensieratamente alla propria vita senza vederne il lato ridicolo: chi mai si metterebbe a fare qualcosa di grandioso o presunto tale se il solo concetto di “grandioso” gli facesse venire da ridere? Certamente, utile o no, tutto questo amor proprio ha uno svantaggio evidente: è come una gigantesca fetta di prosciutto che avvolge tutto l’essere umano e gli ottura la vista. Per non creare altre inutili similitudini, diciamo che è come una gigantesca buca. Una buca di prosciutto.
Finora, parlando di obiettivi da raggiungere (parte 4), ci si è sempre implicitamente riferiti alla situazione ideale di una persona in un universo disabitato. In una situazione del genere, per raggiungere un obiettivo posto a distanza so dal proprio ego, uno deve solo avere una saggezza sufficiente (s≥so), cioè deve avere un amor proprio (a) non troppo alto e un’intelligenza (i) non troppo bassa, essendo l’equazione fondamentale della persona (parte 12)

s = i / √(a2+1)

In questo modo tutti i possibili obiettivi sono caratterizzati da una saggezza minima necessaria per raggiungerli, tutti: dal fare retromarcia nel parcheggio del supermercato (so=0.12) al capire l’evoluzione dell’universo (so=0.88), cioè un obiettivo non è altro che un numero che la saggezza di una persona deve solo uguagliare. C’è chi ce la fa e c’è chi non ce la fa, ma chi ce la fa ce la fa sempre e chi non ce la fa non ce la fa mai. Tutto molto semplice, se non fosse che purtroppo nella vita effettivamente vissuta non funziona così, perché, come chiunque sa, nella vita esiste un piccolo fondamentale intralcio alla realizzazione dei propri obiettivi: gli altri. Nella vita il raggiungimento di un obiettivo non è una cosa che si svolge comodamente nello spazio intergalattico, ma va a incrociarsi col raggiungimento di altri obiettivi da parte di altre persone, come per esempio quando l’obiettivo “fare retromarcia nel parcheggio del supermercato” si scontra con l’obiettivo “mettere la spesa nel bagagliaio tenendo il carrello in mezzo al parcheggio” di quello dietro. Già questa è una situazione delicata che può facilmente sfociare in reciproci scambi di segni digitali, figuriamoci quando due hanno anche in mente modelli cosmologici diversi.
Si potrebbe pensare che capire la retromarcia di un altro non possa essere poi molto più difficile che capire la propria, in fondo si sta sempre parlando di retromarce, ma questo è vero solo quando il comportamento altrui non interferisce coi propri propositi. In tutti gli altri casi per raggiungere l’obiettivo “capire il comportamento altrui” bisogna prima essere in grado di raggiungere un altro e ben più arduo obiettivo, cioè “essere obiettivi”. Chiamato s* il distacco che bisogna prendere da sé per essere obiettivi, diciamo che una persona è obiettiva solo quando

s ≥ s*

s* varia da situazione a situazione a seconda di quanto gli obiettivi altrui risultino molesti, ma deve comunque sempre essere un distacco tale da portare più lontani da sé che da tutto il resto

0.5 ≤ s* < 1

Questo significa che, data la definizione di saggezza (parte 12), chi non è saggio non può mai essere obiettivo, anche se chi è saggio non è detto che lo sia. Soprattutto quando ci sono in ballo cose di fondamentale importanza come il lavoro, i sentimenti o le retromarce, essere obiettivi può diventare un’impresa riservata a pochi (s*≈1).
Il semplice non essere obiettivi, però, non è sufficiente a far comportare una persona da stupida, cioè a farle fare e dire cose come se fosse stupida in senso stretto pur non essendolo. L’obiettività può anche essere irraggiungibile, ma non per questo uno smette di avere presente che anche gli altri sono mossi da una volontà propria e hanno i loro personali e incomprensibili obiettivi. Sarebbe stupido giudicare stupido chi fa una cosa che sembra stupida senza saperne il motivo, così è normale che uno che non riesce a capire il fastidioso comportamento di un altro riesca almeno a capire di non aver capito e quindi a sopportare. Tuttavia, in alcuni casi di estremo coinvolgimento emotivo, può facilmente succedere che uno non solo non capisca, ma non riesca nemmeno a concepire la possibilità di non aver capito. È quello che succede quando la saggezza necessaria per essere obiettivi è maggiore della saggezza del proprio obiettivo concepibile più lontano (parte 8)

s* > sC

cioè quando

s* > 1/√(a2 + 1)

Sono questi i casi in cui le persone, di fronte al comportamento inconcepibile di altre persone, si lasciano finalmente andare ai più sfrenati comportamenti animaleschi. Perché, ammettiamolo, essere umani è parecchio faticoso e a volte ci si sente in diritto di riposarsi un po’. Questo è il terzo tipo di stupidità.
Si osservi che mentre la stupidità in senso stretto è dovuta alla poca intelligenza (parte 11), e la stoltezza è dovuta a un misto di poca intelligenza e troppo amor proprio (parte 14), questo nuovo tipo di stupidità è dovuto solo al troppo amor proprio. Infatti si manifesta quando

a > √(1/s*2 - 1)

Per questo lo chiamiamo “tracotanza”, e chiamiamo la soglia di amor proprio oltre la quale si manifesta “soglia della tracotanza”

a* = √(1/s*2 - 1)

Più grande è la saggezza necessaria per essere obiettivi, più bassa è la soglia della tracotanza, più è probabile che ci si comporti in modo tracotante. La tracotanza, se vista da osservatori esterni non coinvolti, è quel tipo di stupidità che più di ogni altro può far vergognare di appartenere alla specie umana. È la stupidità di chi fa causa ai vicini perché usano l’aria condizionata di notte, di chi minaccia di morte qualcuno per una precedenza non rispettata o di chi parla con disprezzo di una nuova scoperta scientifica solo perché deve rifare tutti i conti. È il tipo di stupidità più comune e frequente perché riguarda più o meno tutti, ma in particolar modo le persone che si amano molto.
Una persona può essere obiettiva in una certa situazione (s*≤s), non obiettiva ma non tracotante in un’altra (s<s*≤sC) e tracotante in un’altra ancora (sC<s*), tutto dipende dal valore che di volta in volta assume s*, così può succedere che chi non è saggio, e quindi nemmeno obiettivo, in molte situazioni riesca comunque a non essere tracotante (a<a*). Siccome però s* non può mai scendere sotto 0.5, c’è un limite oltre il quale a* non può crescere, quindi chiunque abbia un amor proprio superiore a questo limite sarà inevitabilmente condannato alla tracotanza in tutte le interazioni con gli altri, comprese quelle in cui gli altri nemmeno si accorgono di interagire con lui. Per scoprire qual è questo limite basta sostituire s*=0.5 nell’espressione di a*, e quello che si trova è √3, l’amor proprio di Alessandro Magno (parte 4): chiunque si ami più di Alessandro Magno sarà sempre tracotante, oltre che poco saggio, frustrato e infelice (parti 15 e 16).
Per fare un esempio concreto consideriamo uno di quei casi in cui l’amor proprio di una persona viene profondamente coinvolto, cioè quando non si trova posto al ristorante pur avendo prenotato. Poniamo che in questo caso la saggezza minima richiesta per essere obiettivi sia s*=0.7, dunque la soglia della tracotanza sarà a*≈1. In figura sono rappresentati sul piano dell’amor proprio e dell’intelligenza (parte 15) tutti e tre i possibili modi di affrontare questa situazione: obiettivo (O), non obiettivo non tracotante (NONT), tracotante (T).


Solo le persone particolarmente sagge (s≥0.7) riusciranno a vedere la situazione con distacco e a rendersi conto che si tratta di un semplice malinteso dovuto alla scarsa ricezione del telefono al momento della prenotazione. “Te l’avevo detto di non chiamare col cellulare”, diranno senza il minimo segno d’ira alla loro personale moglie, dopodiché, seguendo l’insegnamento del sedicente Buddha, si siederanno placidamente ai piedi dell’attaccapanni e mediteranno in silenzio. Invece per tutti gli altri essere obiettivi è un obiettivo irraggiungibile, ma chi non si ama troppo (a≤1) sarà comunque in grado di ritenere plausibile un qualche tipo di inconveniente e, benché irritato, si rassegnerà ad aspettare il proprio turno senza protestare, magari ordinando un paio di birre consolatorie. Al contrario, quelli il cui amor proprio è così grande da non poter sopportare un simile affronto (a>1) cederanno inevitabilmente alla tracotanza. Per queste persone sarà impossibile non solo giudicare la situazione con obiettività, ma persino metterla nella giusta prospettiva rispetto all’infinitezza dell’universo e alla finitezza della loro vita, dal momento che non riusciranno a concepire nient’altro che l’inaudito fastidio per l’ostacolo che è venuto a frapporsi fra loro e l’imprescindibile obiettivo che si erano posti: “cenare subito”. Questo li farà dare in escandescenze varie e dire cose come “lei non sa chi sono io”, “il mondo è mio” e “la gente è stupida”.

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LA BUCCIA DI BANANA

LA BUCA DELL’AMORE (18 E 19)

18. TRE BREVI OSSERVAZIONI SUL MODELLO

La prima osservazione è che questo modello non ha ancora un nome. Ero indeciso fra Nicolas e Kevin, che adesso vanno tanto di moda, ma alla fine penso che lo chiamerò semplicemente “Buca dell’Amor Proprio”. Un nome dovrebbe sempre essere la sintesi più breve e precisa di quello che nomina, per questo sarebbe bene che tutti chiamassero i propri figli “Prurito”.
La seconda osservazione è che in base al suddetto modello sembrerebbe che l’intelligenza e l’amor proprio di una persona siano fissati per sempre. Così, per esempio, se uno nasce con un’intelligenza inferiore alla media e/o un amor proprio superiore a quello di Alessandro Magno è destinato a essere poco saggio per tutta la vita, e per quanti sforzi faccia non farà altro che cose poco sagge, dirà solo cose poco sagge, si pettinerà in modo poco saggio e in generale ogni suo comportamento, fin nei più piccoli dettagli, sarà assolutamente e inevitabilmente poco saggio. Ovviamente tutti sanno che non è così. Nella realtà l’intelligenza e l’amor proprio non sono parametri fissi ma variano continuamente al variare della situazione e dello stato d’animo in cui ci si trova, in modo tale che può succedere che la mattina uno sbrighi le sue pratiche d’ufficio con inappuntabile saggezza e poi la sera faccia a pezzi moglie e figli con un trinciapollo. Questa mancanza di flessibilità del modello non è però un difetto, ma solo un aspetto della realtà che il modello non pretende di spiegare. Un modello, per quanto possa funzionare bene, è sempre e solo un modello, cioè una descrizione della realtà semplificata e che ha senso solo sotto precise condizioni. Un modello non va mai applicato oltre i limiti entro cui pretende di essere valido, altrimenti si fa lo stesso errore di chi prende la teoria politica di un filosofo del XIX secolo e la usa per spiegare tutto, anche le strategie ai box della Formula Uno.
La terza osservazione, importantissima, non me la ricordo.


19. UN’ALTRA COSA

Perché la gente dice che la gente è stupida? Penso infatti sia evidente a tutti che questa frase viene detta davvero molto spesso, forse addirittura più spesso di “è per il futuro dei nostri figli”. Ma chi è che l’ha inventata? Cosa significa esattamente? Ma soprattutto è vera? E se non è vera, da dove arriva quest’impressione così forte che sia vera?
La prima domanda è facile: come tutte le frasi fatte è stata inventata circa cinque milioni di anni fa da un ardipiteco molto pigro, un certo Luigi.


Senti.

Cosa c’è?

E se scendessimo?

Spiegati meglio.

Perché non scendiamo un attimo?

Sei impazzito?

Per cambiare un po’.

È pericoloso.

Ma non sei stufo di stare tutto il giorno su quest’albero?

Quest’albero, per tua informazione, è l’albero dove mio padre ha cresciuto me e tutti i suoi figli, e dove il padre di mio padre ha cresciuto il padre che diceva a suo figlio, il padre dei miei figli, che il padre di suo padre ha cresciuto tutti i padri dei figli che hanno cresciuto i padri dei padri dei padri e così via.

Quindi non scendi.

No.

Facciamo quattro passi, ci sgranchiamo un po’ le zampe e poi magari, chissà, ci evolviamo in qualcosa di meglio.

Cos’ha quest’albero che non va?

Niente.

Eppure deve avere qualcosa che non va, non trovi?

Non prenderla così, Luigi.

No, adesso tu mi dici cos’ha quest’albero che non va!

Beh, ammetterai che non è molto elegante farla da quassù.

È per il futuro dei nostri figli.

Sì, lo so.

Ma se tu ci tieni tanto, scendi.

Giusto cinque minuti.

Poi però non venirti a lamentare con me.

Ormai scendono tutti.

Per forza, la gente è stupida.


Bene, ma cosa significa? Cominciamo con l’osservare che “la gente è stupida” non può significare letteralmente “tutta la gente è stupida”, visto che chi pronuncia questa frase è sempre disposto ad ammettere l’esistenza di almeno una persona non stupida, cioè lui stesso. Chi dice “la gente è stupida” intende in realtà dire “la stragrande maggioranza della gente è stupida”, e questo possiamo dire che è sicuramente falso, almeno se con “stupidità” intendiamo “intelligenza inferiore alla media” (parte 11). Sicuramente esistono definizioni di stupidità migliori di questa, non lo metto in dubbio, ciò non toglie che ha senso parlare di stupidità umana solo se si prende come riferimento un livello di intelligenza caratteristico dell’umanità, non un’intelligenza astratta opportunamente grande per dire che tutti sono stupidi o opportunamente piccola per dire che tutti sono intelligenti ma non si applicano. L’intelligenza media è lo spartiacque più naturale per distinguere chi è stupido da chi è intelligente. Dunque la frase “la gente è stupida” è falsa per il semplice fatto che le persone con un’intelligenza inferiore alla media sono presumibilmente tante quante le persone con un’intelligenza superiore alla media, almeno in prima approssimazione. Si potrebbe allora arrivare alla conclusione che chi dice “la gente è stupida” faccia in realtà parte della metà di gente stupida, la quale, non essendo in grado di valutare la stupidità altrui, pensa giustamente che tutti siano stupidi tranne lei. Questo chiuderebbe elegantemente il cerchio della stupidità e permetterebbe di distinguere a colpo sicuro chi è stupido da chi non lo è, con enorme risparmio di tempo, soldi e vite.


Ho organizzato un viaggio a Urumqui, vuoi venire?

Bellissimo.

Facciamo la traversata del deserto di Taklamakan in bicicletta.

E, senti, secondo te la gente è stupida?

Certo.

Magari un’altra volta.


Ma purtroppo non è così. Come chiunque può constatare, gli estimatori della frase “la gente è stupida” sono la stragrande maggioranza della gente, cioè sono significativamente più di quanti è lecito presumere siano gli stupidi, senza contare che esiste la più che fondata possibilità che la gente stupida non solo non sia la stragrande maggioranza, ma sia addirittura la minoranza. Tutto dipende da come la gente è distribuita rispetto all’intelligenza (i). Se è distribuita simmetricamente intorno alla media (im), allora metà della gente è stupida (i<im) e metà no (i≥im), cioè la media della distribuzione coincide con la mediana (iM)

im = iM


Ma se la distribuzione non è simmetrica questo non è più vero. Se per esempio la distribuzione è fatta così,


allora la gente è ancora equamente suddivisa fra chi sta sotto e chi sta sopra 0.5, ma mentre fra quelli che stanno sotto ci sono molte persone molto stupide, fra quelli che stanno sopra ci sono poche persone molto intelligenti, e questo fa abbassare la media

im < iM

In tutti i casi come questo le persone stupide sono la minoranza, dal momento che le persone non stupide sono la metà più tutte le persone con intelligenza compresa fra im e iM. Viceversa, quando

im > iM

le persone stupide sono la maggioranza. Ora, siccome è evidente che le persone molto intelligenti (quelle che scrivono Moby Dick) sono molte meno di quelle molto stupide (quelle che scrivono sui muri), la distribuzione reale della gente rispetto all’intelligenza sarà più alta verso i=0 che verso i=1, da cui segue che la gente stupida è la minoranza. Piaccia o non piaccia, bisogna imparare a convivere col fatto che la maggior parte dell’umanità è fatta di persone intelligenti.
E se “la gente è stupida” fosse in realtà solo un modo sbrigativo di dire “la gente è poco saggia”? Molte volte non si fa caso alle parole che si usano e magari in certe occasioni si preferisce ricorrere a espressioni più colorite di “poco saggio”, come per esempio quando si vuole gentilmente invitare un vicino di casa a traslocare in una tomba. Effettivamente è probabile che la maggior parte della gente sia poco saggia, dal momento che le persone stupide sono un piccolo sottoinsieme delle persone poco sagge (parte 15), ma ciò non implica che queste ultime siano la stragrande maggioranza, anzi, siccome chiunque si ami meno di Alessandro Magno può riuscire a essere saggio, guardando la lista degli amori storico-emblematici (parte 4) si vede che persino un calciatore professionista ha qualche possibilità di finire in zona saggezza (sopra la curva rossa in figura), e che una delle categorie al mondo con la più alta percentuale di saggi è sicuramente quella delle casalinghe. Peccato non abbiano tempo di scrivere trattati filosofici.


È quindi molto probabile che le persone sagge siano una numerosa minoranza e che dunque i poco saggi, per quanto numerosi siano, non possano essere la stragrande maggioranza. E non è nemmeno possibile che la gente che dice che la gente è stupida sia così poco saggia da essere convinta che la gente sia poco saggia, altrimenti la gente poco saggia, cioè la stessa gente che fa affermazioni poco lusinghiere sulla saggezza altrui, dovrebbe essere la stragrande maggioranza, cosa che abbiamo appena visto non essere vera. Bisogna allora prendere atto del fatto che esistono anche persone sagge che dicono che la gente è stupida, qualsiasi cosa intendano dire.
Per capire perché la gente dice che la gente è stupida e per sapere cosa intende veramente dire è allora necessario introdurre un terzo tipo di stupidità, una stupidità che non è proprio stupidità e nemmeno mancanza di saggezza, ma piuttosto uno sfortunato caso di ottundimento amoroso. Sfortunato per il giudicante, non per il giudicato.

GLI ALTRI

LA BUCA DELL’AMORE (17)

17. IL PRURITO OSCURO

L’amor proprio è come un prurito che non passa mai. Per quanto abilmente una persona si gratti, anche spingendosi nei più remoti e dimenticati interstizi del proprio ego, ne rimane sempre un po’, quel tanto che basta per tenerla in movimento tutto il giorno, alla ricerca di sempre nuovi e più sofisticati metodi di grattamento, finché alla fine, grosso modo dopo cena, non si addormenta, a volte definitivamente. Questo prurito residuo è l’insoddisfazione. In piccole quantità è una cosa sopportabile, sgradevole ma sopportabile, ma se il prurito che rimane supera il prurito che ci si è tolti allora si cade in quello stato d’animo chiamato “frustrazione”. Le persone frustrate sono infelici, questo non stupisce, quello che invece stupisce è che molte di loro siano frustrate nonostante abbiano ottenuto più o meno tutto quello che volevano. Anzi, a volte sembra che più uno è stato abile nell’ottenere quello che voleva, più è frustrato. È il millenario paradosso del tiranno infelice: perché chi ha tutto, compresa l’intelligenza, spesso sembra più infelice di chi non ha niente?
L’insoddisfazione è la quantità di amor proprio che l’orgoglio personale non riesce a soddisfare (parte 13), cioè il dislivello che resta ancora da fare per uscire dalla buca dell’amor proprio una volta usata tutta l’intelligenza a disposizione per salire il più in alto possibile (parte 4). Per coprire questo dislivello bisognerebbe raggiungere obiettivi che non sono raggiungibili, e questo fa soffrire. Ma non tutti gli obiettivi irraggiungibili fanno soffrire allo stesso modo: ci sono obiettivi irraggiungibili che fanno soffrire molto e obiettivi irraggiungibili che fanno soffrire ancora di più. Per esempio ci sono obiettivi così lontani che uno nemmeno riesce a concepire che siano obiettivi, e quindi per lui è come se non ci fossero (parte 8), però ci sono e prudono tanto quanto i comuni obiettivi irraggiungibili, ma in modo oscuro. Il prurito oscuro è molto peggio del prurito comune, perché mentre quest’ultimo ha una causa precisa e un irraggiungibile rimedio (grattarsi dove prude), il prurito oscuro non ha causa né rimedio, prude senza che ci sia niente che prude, fa soffrire senza che si abbia almeno la consolazione di poter dare alla sofferenza il nome di sofferenza. È facile intuire che una cosa del genere può rovinare la vita a chiunque, anche a tiranni, condottieri e rock star.
Scomponiamo l’insoddisfazione (n) in una componente oscura (nO) e una componente comune (nC), la prima relativa agli obiettivi irraggiungibili inconcepibili, la seconda agli obiettivi irraggiungibili concepibili

n = nO + nC

La componente comune è il dislivello che c’è fra il momento della vita più alto che uno riesce a raggiungere (R) e il momento di un’ipotetica realizzazione dell’obiettivo concepibile più lontano (C), mentre la componente oscura è il dislivello rimanente fra C e l’impossibile uscita dalla buca dell’amor proprio (I).


Dall’equazione della buca sul piano della saggezza e dell’amor proprio (parte 4) si possono ricavare le coordinate x e y di questi momenti

R: s, a(s-1)
C: sC, a(sC-1)
I: 1, 0

dove a è l’amor proprio, s la saggezza e sC la saggezza associata all’obiettivo concepibile più lontano. Poiché per definizione

nC = yC - yR
nO = yI - yC

si ha

nC = a(sC-s)
nO = a(1-sC)

da cui, sostituendo le espressioni di s e sC precedentemente ricavate (parti 12 e 8), si ricava l’espressione delle due componenti dell’insoddisfazione in funzione dell’intelligenza (i) e dell’amor proprio

nC = a[(1-i)/√(a2+1)]
nO = a[1 - 1/√(a2+1)]

Le persone frustrate possono allora essere suddivise in due tipi: le persone frustrate in modo comune e le persone frustrate in modo oscuro, cioè le persone che soffrono perché non riescono a raggiungere gli obiettivi che vorrebbero e le persone che soffrono e basta. Queste ultime sono quelle la cui insoddisfazione oscura sovrasta l’insoddisfazione per le cose comuni di tutti i giorni

nO > nC

cioè

1 - 1/√(a2+1) > (1-i)/√(a2+1)

da cui si ricava

i > 2 - √(a2+1)

Questa è la condizione intellettuale-autoamorosa che distingue le persone oscuramente frustrate da quelle comunemente frustrate. Per capire meglio in cosa consista questa condizione, consideriamo il piano dell’amor proprio e dell’intelligenza.


Come sappiamo (parte 15) la curva rossa è il confine che separa le persone sagge (S) da quelle poco sagge. Siccome le persone poco sagge coincidono con quelle frustrate (parte 16), queste ultime stanno tutte sotto la curva rossa. La curva nera è invece il confine individuato dalla disequazione scritta sopra e separa le persone oscuramente frustrate (OF) da quelle comunemente frustrate (CF).
La prima cosa che si nota è che tutte le persone che si amano troppo, cioè più di aO, sono frustrate in modo oscuro, mentre tutte le persone che si amano poco, meno di aC, se sono frustrate lo sono in modo comune. Per trovare i valori di aO e aC basta mettere a sistema la curva nera con l’asse dell’amor proprio e con la curva della saggezza, rispettivamente

i = 2 - √(a2+1)
i = 0

i = 2 - √(a2+1)
i = 0.5 √(a2+1)

cioè bisogna risolvere le equazioni

2 - √(aO2+1) = 0
2 - √(aC2+1) = 0.5 √(aC2+1)

da cui si trova

aO = √3
aC = √7/3

Cioè aO non è altro che il limite di Alessandro Magno (parte 15) e aC è l’amor proprio di Giuliano l’Apostata (parte 4). Questo significa che tutti quelli che si amano più di Alessandro Magno non solo sono poco saggi, frustrati e infelici, ma sono anche oscuramente frustrati, cioè sono i più infelici fra gli infelici, mentre quelli che si amano meno di Giuliano l’Apostata possono essere frustrati o non frustrati, tutto dipende da quanto sono intelligenti, ma se sono frustrati lo sono in modo comune. Le persone che invece provano per sé un amore intermedio, cioè compreso fra aC e aO, hanno a disposizione tutto lo spettro di possibilità della frustrazione, e, nel caso in cui siano poco sagge, hanno più probabilità di essere frustrate in modo oscuro quanto più sono intelligenti. Questo può sembrare strano: come può una persona più intelligente di un’altra, e dunque anche più orgogliosa di sé e meno insoddisfatta, essere più frustrata? In realtà è semplice: persone che si amano allo stesso modo concepiscono lo stesso tipo di obiettivi, vivono (o vorrebbero vivere) gli stessi momenti e condividono lo stesso obiettivo concepibile più lontano. A questo obiettivo si avvicina di più chi fra loro è più intelligente. Questo potrebbe sembrare un vantaggio, invece è uno svantaggio, perché, quando non si è saggi, proprio il sentirsi più vicini alla meta è ciò che rende così difficile accettare la propria insoddisfazione e rende ancora più fastidioso quell’oscuro prurito all’ego. Più una persona frustrata è intelligente meno è insoddisfatta, ma molto più le pesa la sua insoddisfazione.
Il fatto che una persona sia frustrata in modo oscuro non significa però che se ne stia tranquilla in disparte a disperarsi silenziosamente per i fatti suoi. Anzi, chi si sente frustrato nonostante tutti i suoi più o meno riconosciuti successi personali tende a ricercare le cause della sua frustrazione fuori da sé: c’è chi incolpa gli altri, chi incolpa il cosiddetto sistema, chi incolpa la sfortuna e chi, la maggior parte, incolpa tutte e tre le cose insieme. Lo spiacevole risultato di tutto questo è che queste persone, purtroppo, si lamentano. Mentre chi è frustrato perché si rende conto dei propri limiti tende a non farne parola con nessuno, per lo stesso motivo per cui nessuno parla volentieri dei propri insuccessi, chi si sente frustrato senza vederne il motivo si lamenta in continuazione, si lamenta di tutto e con tutti, è un professionista del lamentarsi. Per cui si ha l’apparente paradosso che mentre i frustrati comuni soffrono oscuramente, i frustrati oscuri soffrono apertamente, ripetutamente e per tutto il santo giorno. Non c’è sorriso di circostanza che possa fermarli.

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IL SORPASSO