Mi piacerebbe dire che la mia passione per le isole tropicali è iniziata in un modo nobile, che so, leggendo L'isola del tesoro di Stevenson o guardando i dipinti di Gauguin, invece è iniziata facendo la cacca. Mi spiace, purtroppo sono una persona sincera.
Per qualche motivo, cercare isole tropicali con Google Maps mi aiuta ad andare in bagno tutte le mattine, in qualsiasi posto io mi trovi, persino in hotel. Un tempo fare la cacca in hotel non era una cosa banale: avevo bisogno di ambientarmi, testare l'insonorizzazione del bagno, valutare l'efficienza della ventola di aspirazione e altre cose così: ora invece mi siedo sul water (qualsiasi water!), sorvolo un paio di isole e plof: missione compiuta. Questo trucco funziona talmente bene che, se per caso mi metto a guardare isole tropicali in un momento qualsiasi della giornata, è facile che mi venga da correre in bagno. Si potrebbe dire che le isole tropicali mi fanno cagare, ma nel senso buono. Fare la cacca è un momento di vulnerabilità perché ti esponi all'attacco di un predatore, sei in una situazione precaria e lasci tracce olfattive che possono facilitare la tua localizzazione, credo sia per questo motivo che gli animali tendono a farla sempre nello stesso posto: è collaudato e sicuro. Quindi si può dire che, nel mio caso, un posto che mi fa sentire al sicuro, molto più al sicuro del bagno di casa mia, è la spiaggia di un'isola tropicale.
Com’è ovvio, guarda un’isola tropicale oggi, guarda un’isola tropicale domani, col tempo mi è venuta voglia di andarci davvero in una di queste isole, così ho iniziato a documentarmi sui vari arcipelaghi, gli oceani, le barriere coralline eccetera, proprio io che ho sempre odiato il mare. In realtà, come ora ho capito, io non ho mai davvero odiato il mare, quello che odiavo erano gli stabilimenti balneari, i mozziconi di sigaretta nella sabbia, la musica molesta, le costruzioni abusive sulla spiaggia e così via, cioè odiavo il mare nella sua versione antropizzata che, alla fine, è un modo di amare il mare.
– Ehi, ChatGPT, dimmi un modo di esprimere il concetto "amare il mare" senza scrivere una frasetta così orribile.
– Puoi dire: "il mare mi dà vita", "il mare è il mio rifugio", "trovo pace tra le onde". Ti piacciono queste espressioni?
– Ok, come non detto.
È curioso quanto sia diffusa negli esseri umani l'attrazione verso il mare. Cosa c'è di più lontano da un essere umano del mare? Neanche riusciamo a respirare nel mare. Probabilmente abbiamo qualche antico frammento di DNA che risale a quando i nostri antenati primordiali, circa mezzo miliardo di anni fa, vivevano sui fondali degli oceani. Forse il richiamo che sentiamo verso il mare è il desiderio di questa creatura ancestrale di tornare a casa. Sembra tutto molto poetico, vero? Lo è un po' meno quando vedi com'erano fatti questi nostri famosi antenati.
Se può interessare, non avevano l'ano.
Sia chiaro, razionalmente il mare mi fa paura: ho paura delle correnti, degli squali, delle cubomeduse, dei pesci pietra, delle code delle razze e sicuramente di tante altre cose che ora non mi vengono in mente, però istintivamente il mare mi fa sentire a casa. Anche solo lo sciabordio delle onde mi tranquillizza, motivo per cui ogni volta che posso faccio partire la lavastoviglie.
L'altra mia grande passione è la solitudine. Anche questa è una passione abbastanza comune, lo so, ma con mio grande stupore non così comune come meriterebbe: non solo ci sono tante persone che non hanno nessun problema a stare in mezzo alla folla (le invidio), ma addirittura c'è chi di proposito e attivamente ricerca la compagnia degli sconosciuti, come quelli che, quando sei seduto da solo in una sala d'attesa vuota, vengono a sedersi proprio nel posto vicino al tuo. Perché? Qual è il piacere di sentire i borborigmi di uno sconosciuto?
La mia avversione per la folla non è necessariamente un'avversione per le singole persone che la compongono, che per me potrebbero anche essere ottime persone, rispettose degli altri e tutto quanto (anche se quasi sempre sono dei buzzurri), la mia è un'avversione per la loro quantità; mi darebbe fastidio anche stare in mezzo a una folla di me stessi. Il mio problema è che, se sono nella folla, non riesco a pensare ad altro che alla folla, non riesco ad astrarmi e pensare al posto in cui mi trovo.
Non capisco come facciano quelli che si ammassano attorno alla Gioconda ad apprezzare l'opera che stanno guardando. Io, quando vado in un museo tipo il Louvre, non provo nemmeno ad avvicinarmi alle opere cosiddette iconiche, meglio guardare le teche con i cocci dei vasi attici in tutta tranquillità, piuttosto che la Gioconda stipati come sull'autobus il lunedì mattina. Il piacere di stare in un posto che non si conosce, qualsiasi posto, sta nel poterlo perlustrare con calma, goderselo così com'è senza alterazioni o interferenze; se sei in mezzo a una folla di turisti, è chiaro che non puoi dire di essere veramente nel posto in cui sei, è come bere un bicchiere di Barolo con il chewing-gum. Questo è il paradosso del turismo di massa: i turisti cercano l'autenticità dei luoghi, ma la loro stessa presenza gliela nega, primo perché li affollano, secondo perché li trasformano in parchi a tema e mangiatoie.
Sembra il famoso esperimento quantistico della doppia fenditura in cui gli elettroni si distribuiscono secondo una figura di interferenza: se cerchi di rilevare in quale delle due fenditure passano gli elettroni, distruggi la figura di interferenza (se non conosci l'esperimento della doppia fenditura, cerca cos'è: è una di quelle cose che ti fanno sospettare che questo universo sia uno scherzo).
Un po' di tempo fa ho letto che le persone che fanno turismo sono il 6%. Cioè, non so se mi spiego, su 8 miliardi di persone che attualmente calpestano la superficie di questo pianeta, solo mezzo miliardo può permettersi di viaggiare per piacere o gli è mai venuto in mente di farlo. Questo significa che con l'aumentare del benessere economico e della conoscenza, il numero di turisti è destinato a esplodere, mentre purtroppo i posti da visitare sono sempre quelli: quando i turisti saranno il triplo, non è che ci saranno tre Gioconde.
Per esempio l'anno scorso mi sono detto: andiamo a vedere il Partenone! È una delle mete turistiche più famose del mondo, ma io, credendomi furbo, ho pensato: ci andrò a metà ottobre, di lunedì mattina, appena apre.
Questo il risultato:
Pensa quando i turisti saranno il 18% o il 75%. Di tutte le cose che si suppone Dio abbia detto agli esseri umani, l'unica che hanno recepito perfettamente è "andate e moltiplicatevi"; magari avessero messo in pratica così alla lettera anche "non uccidere".
Dunque l'isola deserta, benissimo, ma quale?
Specifichiamo subito che l'isola deserta non può essere veramente deserta, altrimenti morirei nel giro di due giorni, quindi tutti questi meravigliosi atolli disabitati mi sono inevitabilmente preclusi.
Cosa importante da specificare è che l'isola deve essere un atollo corallino, non un'isola montagnosa che scende a picco nell'oceano. Gli atolli hanno diversi vantaggi: hanno spiagge che degradano lentamente nel mare; hanno una laguna protetta dalla barriera corallina dove le acque sono calme e gli squali sono piccoli; la sabbia, essendo fatta di coralli sbriciolati, non è così fine come la sabbia di granito e questo rende l'acqua trasparente anche su fondali sabbiosi. Tutto questo fa sì che il mare degli atolli tropicali sia una meravigliosa piscina naturale di acqua tiepida e trasparente, dove puoi sguazzare spensieratamente fra i pesci dimenticandoti di esserti evoluto in un mammifero.
Dopo un po' di ricerche, ho trovato degli operatori turistici che fanno proprio il servizio che in teoria piacerebbe a me: ti prelevano da un qualche aeroporto e poi, dopo alcuni giorni di viaggio in barca, ti abbandonano su un'isola deserta dove hanno preparato una casetta tutta per te, con dell'acqua, un po' di cibo in scatola e il necessario per pescare e cucinare; nient'altro: non ci sono persone (ovviamente), non c'è internet, non c'è elettricità, non c'è acqua calda, non c'è niente, ci sei solo tu e la tua casetta attrezzata. Se per caso c'è un'emergenza, hai a disposizione una ricetrasmittente per chiamare aiuto, in modo tale che qualcuno possa arrivare prontamente sull'isola e constatare il tuo decesso.
Bello, magari più avanti. Ora preferirei iniziare con un'isola deserta dove ci sia una doccia e qualcuno che mi prepari la colazione, diciamo un'isola parzialmente deserta.
A questo scopo esistono le isole private: isole di proprietà di un unico hotel dove possono soggiornare solo gli ospiti e il personale. Ecco un esempio tipico:
Che senso ha fare la fatica di un viaggio intercontinentale se poi finisci in un posto che sembra l'acquapark di Riccione?
Probabilmente qualcuno, vedendomi disprezzare questi obbrobri, vorrebbe dirmi “purtroppo questo è quello che la gente comune può permettersi”. Ebbene, colpo di scena, l'ecomostro in foto costa 7238 € a notte ("7238" non è un errore di battitura, ma una serie di cifre che sta proprio a significare “settemiladuecentotrentotto”). Sono le vacanze di cantanti e calciatori, non della gente comune.
Quindi, ricapitolando: l’isola deve avere un hotel, ma non deve sembrare la periferia di Busto Arsizio; le spiagge devono essere pure e incontaminate così come sono emerse dall'oceano primordiale; il mare deve essere il posto in cui stanno i pesci, non le ville di plastica; sulle spiagge non devono esserci segni di vita umana a parte i miei; e infine, ovviamente, deve costare un po' meno di 7238 € a notte.
Dopo anni di meticolosa ricerca sul water, finalmente un giorno, alla fine del 2023, ho trovato la mia isola; non dico come si chiama perché non è ancora stata scoperta da nessun influencer e vorrei poterci tornare. È perfetta: c'è un hotel nascosto in mezzo alla foresta, c'è un piccolo villaggio di autoctoni (posso accettarlo) e per il resto è abbandonata a se stessa.
Chilometri e chilometri di spiaggia primigenia non solo senza esseri umani, ma senza nemmeno i segni della presenza di esseri umani su questo pianeta: niente costruzioni, niente ombrelloni, niente mozziconi, niente musica, niente barche, niente aerei, niente di niente; le uniche impronte sulla sabbia sono quelle dei paguri e delle sterne fuligginose. È come essere in Lost, ma senza essere precipitati con l'aereo.
Nel caso te lo stessi chiedendo, la risposta è no, stare su un’isola tropicale non mi fa venire voglia di andare in bagno. Ho scoperto che, per farmi venire voglia di andare in bagno quando sto su un’isola tropicale, devo guardare isole tropicali diverse da quella su cui mi trovo. La mia pancia è una persona complicata.
Un giorno, non so di preciso che giorno fosse perché avevo smesso di fare le tacche sulla roccia, mentre cammino da ore sotto il sole a picco dell’equatore, inizio a chiedermi: ma come facevano i primi esseri umani senza crema solare protezione 50+? Tutti amiamo la natura, ok, ma chiaramente questo amore non è ricambiato. Come facevano i nostri antenati a non ferirsi i piedi con i frammenti di corallo se non avevano le scarpette da scoglio? A dissetarsi senza le bottiglie d’acqua dell'hotel? A sapere dove si trovavano senza GPS? Come ha fatto il genere umano a sopravvivere per 300 mila anni senza vasca da bagno, spazzolini da denti, croissant alla crema e tutto il resto? Se io fossi nato 300 mila anni fa, sarei sicuramente morto alla prima colazione senza avocado toast.
Questo pianeta ci si presenta con un aspetto meraviglioso, ma dietro i suoi paesaggi paradisiaci, le barriere coralline eccetera c’è sempre il solito universo, quello di Plutone, dei nuclei galattici attivi o, molto più banalmente, del vuoto interstellare: un universo totalmente e integralmente ostile alla vita umana.
Fatte queste riflessioni, io e Maria Paola abbiamo giocato a palla nell'oceano.