Fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno dove fosse la Polinesia. Per me Polinesia, Maldive, Caraibi e tutti questi posti rinomati per la loro paradisiacità tropicale costituivano un unico blocco indistinto ed erano tutti archiviati nella stessa cartella cerebrale, una cartella essenzialmente vuota. Non so nemmeno quanto fossi consapevole che si trattasse di posti diversi, in oceani diversi, a svariate centinaia di euro di volo gli uni dagli altri. Non si può sapere tutto, no? Quando un argomento non ti interessa è normale non saperne niente; come quando è morto David Bowie e quel giorno, con mia grande sorpresa, ho scoperto che non era Sting (Sting, giusto?).
Della mia passione per le isole tropicali deserte ho già detto (vedi L'isola deserta), quello che non ho detto è che le prime isole che ho sorvolato standomene comodamente seduto nel mio bagno erano, a mia insaputa, isole della Polinesia, in particolare Bora Bora, isola dove oggi non andrei mai per diverse ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare e che possono grosso modo essere riassunte così: è un lunadimielificio pieno di buzzurri (isola tropicale: ✅ deserta: ❌).
Dopo qualche ricerca, la prima cosa che ho scoperto della Polinesia è che la parola "Polinesia" vuol dire tutto e niente, un po' come "Sud America": c'è Tonga, Samoa, le isole Cook, ma per esempio non ci sono le Figi; le Figi sono Melanesia. Per questo motivo ho ristretto il mio campo di interesse alla Polinesia francese. "Ristretto" per modo di dire, visto che la Polinesia francese, pur avendo la superficie del Molise, è sparpagliata su un'area più grande dell'Europa; un paio di isole non sono nemmeno ai tropici: Raivavae e Rapa Iti, quest'ultima da non confondere con Rapa Nui, che è del Cile (come si sarà notato, ora conosco tutta la geografia del Pacifico da Lord Howe alle Galapagos).
Appurato questo, sono passato a verificare se questa famosa Polinesia francese, oltre a essere un paradiso dal punto di vista paesaggistico e climatico, lo è anche dal punto di vista dell'incolumità personale: lo è. Niente ragni, niente serpenti, niente squali eccetera; o meglio: ragni, serpenti, squali eccetera ci sono, ma sono innocui. Per esempio i caratteristici squali di barriera che popolano le lagune (stavo per dire "infestano"), superano a fatica il metro e mezzo e scappano a pinne levate appena ti vedono. Quattordici attacchi non provocati negli ultimi settant’anni, possiamo dire che significa "squali innocui", vero? E nessuno di questi è stato mortale; al massimo ti mangiano un dito, che vuoi che sia? Abbiamo tantissime dita.
La Polinesia francese non è come l'Australia dove mancano solo i velociraptor, e poi ha quel "francese" nel nome che è tanto rassicurante: a colazione hai il tuo pain au chocolat col café au lait e tutti vanno in canoa con la baguette sotto braccio. Sarei stato molto più preoccupato se si fosse chiamata, che so, "Polinesia messicana".
A proposito di Messico, il tasso di criminalità della Polinesia francese è tra i più bassi del mondo, più basso che in Italia. Non è bellissimo? A Taha'a, una delle cosiddette Isole della Società, non mettevamo nemmeno il lucchetto alle bici. A Bologna la bici te la rubano anche se la incateni a una trave d'acciaio dentro a un caveau sorvegliato dall'FBI, e se proprio non riescono a rubartela, te la distruggono (a Bologna distruggono tutto, non ho mai capito perché); invece in Polinesia francese nessuno ti importuna, tutti sono rilassati e la gente non solo si ferma per farti attraversare sulle strisce come in tutti i paesi civili, ma mette pure le quattro frecce per farti capire che ti ha visto e che se ti senti più tranquillo può anche parcheggiare lì e fingere di dormire.
Non c'è nemmeno la malaria, flagello di tanti paesi tropicali, e le zecche non trasmettono il morbo di Lyme, come invece può succedere qui in Italia. C'è un po' di dengue, ok, ma al giorno d'oggi dov'è che non c'è la dengue?
L'unica cosa davvero pericolosa sono gli tsunami se per caso ti trovi su un atollo. Se sei su un'isola montagnosa come Tahiti non c'è problema, basta spostarsi un po' verso l'interno e sei a posto, ma se sei su un atollo, dove l'altezza massima sul livello del mare è circa un umano e mezzo, allora potresti essere discretamente nella merda. Ma per fortuna gli tsunami sono molto rari; preoccuparsi degli tsunami mentre si è in Polinesia francese è come preoccuparsi dei fulmini quando si esce di casa. Chi è che si preoccupa dei fulmini? A parte me, dico.
Ad ogni modo, non è per stare in un posto sicuro che sono andato in Polinesia, se volevo un posto sicuro potevo chiudermi in casa mia, che è il posto più sicuro del mondo, in particolare sotto il tavolo della cucina (Bologna è zona sismica); in Polinesia ci sono andato per tanti altri motivi, ma principalmente per avvicinarmi un po' di più al mio ideale di "essere abbandonato su un'isola deserta" senza essere davvero abbandonato su un'isola deserta (quest'ultimo aspetto è fondamentale).
L'isola deserta, per essere definita tale, deve avere queste due caratteristiche fondamentali: (1) deve essere disabitata e (2) non deve essere visibile nessun segno della presenza umana, né diretto né indiretto, fin dove lo sguardo può arrivare (togliersi gli occhiali non vale); quindi in primo luogo non devono esserci turisti nei paraggi, le persone peggiori da incontrare quando si è in viaggio perché ti ricordano immediatamente che anche tu sei un turista, ma non devono nemmeno esserci autoctoni. Certo, è sempre interessante vedere come vive la gente in un posto totalmente diverso dal tuo, per esempio un posto dove le isole vengono chiamate "terra" (fenua) e i piccoli banchi di sabbia che le circondano "isole" (motu), ma non è questa l'esperienza che più di tutte mi interessa fare; se voglio incontrare gente completamente diversa da me, mi basta andare in pizzeria il sabato sera.
Allo stesso tempo, però, l'isola deve avere alcune altre caratteristiche senza le quali non potrei godere appieno dell'esperienza, vale a dire deve esserci un letto, un bagno con lo sciacquone corredato di carta igienica e circondato da quattro pareti che arrivano fino al soffitto, un soffitto, del cibo e ovviamente internet, per contattare qualcuno nel caso ci fosse un'emergenza, per esempio se finisse la birra. Tutte queste condizioni sono necessarie affinché la sensazione "ah che bello sono su un'isola deserta!" non sia sopraffatta dalla sensazione "oh mio dio sono su un'isola deserta!".
Bene, dopo varie ricerche ho scoperto che queste caratteristiche sono tutte soddisfatte nelle Tuamotu.
Le Tuamotu sono l'arcipelago di atolli più grandi e più remoti del mondo, così remoti che fino agli anni Novanta i francesi ci facevano gli esperimenti nucleari.
Questo per esempio è Tikehau.
In tutto sono un'ottantina di atolli, la maggior parte disabitati, e anche quelli abitati hanno pochissimi abitanti, quasi tutti radunati in un piccolo villaggio; le strutture turistiche sono pochissime. Non so se si capisce dove voglio arrivare.
Un atollo è un sottile anello di isolette di sabbia (motu, appunto) che costituiscono la parte emersa di una barriera corallina più o meno continua; ognuno di questi motu è separato da quelli vicini da stretti bracci di mare (hoa) che in molti casi sono facilmente attraversabili in canoa, a nuoto o addirittura a piedi. Con la bassa marea certi hoa sono talmente poco profondi che l'acqua ti arriva alle caviglie, ma quell'acqua è pur sempre oceano, no? E dunque questi motu, per quanto piccoli e per quanto vicini l'uno all'altro siano, sono pur sempre isole: isole tropicali deserte a poche decine di minuti di barca da un villaggio dove, se necessario, c'è qualcuno da contattare in caso di bisogno (isola tropicale: ✅ deserta: ✅ non morire: ✅).
A questo punto è stato sufficiente trovare un motu con una casa in affitto e andare lì con un'adeguata scorta di cibo insieme a Maria Paola e due nostre amiche (quando vuoi stare da solo su un'isola deserta, è sempre meglio essere in compagnia).
Pazienza se la casa non aveva l'acqua calda e ospitava un certo numero di insetti (non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi...), l'importante è che l'isola fosse esattamente come la volevo. Ok, c'era anche una casa abitata sul motu vicino, ma che importa? Bastava guardare sempre nella direzione opposta.
I giorni passati lì mi hanno fatto capire cos'è che mi piace tanto degli atolli: non è solo l'isolamento, i grandi spazi, la natura eccetera, è che il paesaggio è talmente strano che mi fa ricordare che mi trovo su un pianeta di un sistema solare nella periferia di una galassia a disco all'interno di un oggetto che chiamiamo confidenzialmente "universo". Certo, esistono paesaggi anche più strani, tipo l'Antartide o la Fossa delle Marianne, ma sono leggermente meno ospitali. Negli atolli c'è il giusto mix di minaccia cosmica e accoglienza terrestre: sul lato oceano hai le onde che sbattono costantemente contro la barriera con la chiara intenzione di ucciderti; un posto fatto di coralli pietrificati e detriti taglienti, dove non c'è mai silenzio;
Ora, non vorrei scadere nel filosofico spicciolo (forse è già troppo tardi), ma il mondo in cui normalmente viviamo, cioè quel mondo fatto di appuntamenti, notizie, scocciatori, parcheggi, telefonate e in generale parole familiari che ricoprono cose che non riusciamo a concepire ("felicità", "morte", "universo" tanto per dirne tre a caso), è un mondo molto comodo perché ci permette di funzionare, ma è finto; è come l'illuminazione artificiale delle città: utile, ma ti impedisce di vedere cos'hai davvero sopra la testa.
Gli atolli ti aiutano a vedere il mondo com’è veramente: alieno.
Va detto che in questo senso anche lo studio della cosmologia aiuterebbe, ma maneggiare tensori quadridimensionali è molto più impegnativo che spaparanzarsi sulla spiaggia a guardare il mare.
Altra cosa da dire, ancora più importante, è che purtroppo, sia che tu ricorra agli atolli o alla cosmologia, è impossibile riuscire a estraniarsi completamente da se stessi e vedere il mondo in modo autentico fino in fondo. È ovvio: per vedere il mondo nel suo modo di essere completamente non umano, dovremmo riuscire a non essere umani. Anche il solo fatto di trovare un paesaggio bello o un'ipotesi scientifica interessante, significa che stiamo umanizzando il mondo; "bello" e "interessante" sono due cose che stanno nella testa di chi guarda, non nella cosa guardata. Se stessimo davvero percependo il mondo in modo autentico, l'unica cosa che dovremmo provare è disorientamento: non sapere dove siamo, non sapere chi siamo; tutto questo da sobri, eh.
Ed è qui che arriva lo tsunami.
Mentre ero alle Tuamotu, il sito dell'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese pubblica il seguente comunicato:
"Un fortissimo terremoto di magnitudo 8,7 ha avuto luogo nella Kamčatka, nella Russia orientale, il 29 luglio 2025 alle ore 13:25 (ora di Tahiti). Le isole Marchesi [...], a partire dalle 00:57 di mercoledì 30 luglio 2025, sono interessate da un impatto con un’onda oceanica alta da 1,10 m fino a 4 m a Nuku Hiva [...]. Gli altri arcipelaghi della Polinesia francese dovrebbero essere interessati da un innalzamento del livello del mare inferiore a 30 cm, che non richiede evacuazione né messa in sicurezza, ma si raccomanda comunque prudenza: è necessario allontanarsi dalle coste e dai fiumi".
Fine del comunicato.
A prima vista sembra rassicurante: "30 cm", "non richiede evacuazione"... e infatti Maria Paola e le altre vanno a dormire senza problemi, anzi mi trattano pure in modo un po' spazientito quando propongo di chiamare un elicottero e farci trasportare immediatamente in un altro oceano; ma se si legge più attentamente quel comunicato e si considera in modo meno sbrigativo la nostra situazione, si noterà che c'erano vari motivi per non essere del tutto tranquilli.
Prima di tutto c'è quel "dovrebbero"; il comunicato dice "gli altri arcipelaghi dovrebbero essere interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", non "gli altri arcipelaghi saranno interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", fa una bella differenza. Che cazzo vuol dire "dovrebbero"? Vuol per caso dire che l'innalzamento potrebbe essere più grande? Quanto più grande? Siamo qui su un atollo in mezzo al Pacifico, non è che io mi senta tanto tranquillo se mi dici che sta arrivando uno tsunami che non dovrebbe uccidermi.
«Mi scusi, sa per caso dirmi se i funghi dei vostri tramezzini sono velenosi?»
«No, stia tranquillo, dovrebbero essere commestibili».
Poi c'è quella questione dei 30 cm: sono davvero così pochi? Voglio dire, abitando a Bologna non ho molta esperienza di tsunami, ci sono state un paio di alluvioni negli ultimi anni e si sono allagate alcune strade del mio quartiere, ma non credo che questo conti. Cosa succede se arriva un'onda tsunamica di 30 cm mentre sono su un banco di sabbia al livello del mare? Di sicuro si allaga tutto, e va beh, ma non è che per caso quest'onda, benché bassa, ha la forza di trascinarmi in mare? Io non è che sappia nuotare tanto bene; quando sono in mare, appena c'è una minima corrente io mi metto subito a pancia in su e aspetto i soccorsi.
Una delle due nostre amiche cerca di rassicurarmi:
«Tranquillo, con 30 cm ti bagni solo i piedi».
«Tranquillo? Come faccio a stare tranquillo se alle Marchesi, che sono qua dietro, sono previste onde di 4 m?» ("qua dietro" vuol dire 1000 km).
«Dai, 4 m sono pochi! Gli tsunami di cui preoccuparsi sono alti 10 m».
Ho evitato di farle notare che noi quattro abbiamo una statura inferiore ai 4 m e che sfortunatamente non abbiamo ancora sviluppato le branchie.
Infine nel comunicato c'è quell'ultima raccomandazione che mi ha davvero gettato nel panico: "è necessario allontanarsi dalle coste". Ma perché? Se con 30 cm non c'è pericolo, perché mi chiedi di allontanarmi dalle coste? Ma soprattutto come faccio ad allontanarmi dalle coste se sto su un'isola con un diametro di 50 m? L'ho misurato su Google Maps: 50 m. Se mi allontano da una costa, finisco sulla costa opposta. L'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese non sa che le Tuamotu fanno parte della Polinesia francese? E che, fra le loro numerose e notevoli caratteristiche, c’è anche il fatto che non è fisicamente possibile allontanarsi dalle coste? Ma ormai tutti questi pensieri li stavo rimuginando fra me e ChatGPT, perché le altre tre erano già nelle loro rispettive stanze a dormire. Dormire! Vorrei tanto avere la serenità (stavo per scrivere "incoscienza") di dormire durante un'allerta tsunami...
A quel punto, il mio piano era questo: mi siedo sul pontile per controllare che il livello del mare non cambi in modo anomalo e intanto aspetto le 00:57, cioè l'ora in cui lo tsunami dovrebbe arrivare alle isole Marchesi; dopo di che cerco in rete informazioni sui danni provocati e l'effettiva altezza delle onde, e in base a questo decido il da farsi: se a Nuku Hiva non è arrivata la famosa onda di 4 m, allora posso stare tranquillo e andare a dormire, se invece è arrivata allora noi saremo i prossimi; calcolando che la velocità tipica di uno tsunami in mare aperto è circa 500-800 km/h, avrei avuto un margine di 1:30-2 ore per mettermi in salvo, quindi avrei preparato lo zaino con acqua, cracker e madeleine, e poi sarei andato a svegliare Maria Paola e l'avrei convinta a salire con me su una canoa per andare in mare aperto, dove l'onda dello tsunami sarebbe stata più bassa; pazienza per le nostre due amiche, non sarei mai riuscito a convincerle del pericolo.
Era un piano perfetto, peccato che, quando arrivano le 00:57, di Nuku Hiva non c'è nessuna notizia in rete; passa l'una e ancora niente; l'una e mezza, niente; il comunicato, che ormai avevo letto 516 volte, dice infatti che lo tsunami sarebbe arrivato "a partire dalle 00:57" non "alle 00:57" (ma chi è il sadico che scrive questi comunicati?); le due e ancora niente; il tempo passa e dalle Marchesi non arriva nessuna notizia. Vado avanti così ancora per un po' finché, senza nessun preavviso, il mio corpo decide di addormentarsi: lui ha capito che non sarebbe arrivato nessuno tsunami.
Non so quanto avrò dormito. A un certo punto mi sveglio di colpo in mezzo alla notte e provo quella tipica sensazione che penso tutti abbiamo provato qualche volta quando ci svegliamo in un posto diverso dal solito: per qualche secondo non so più dove sono né chi sono, era come se fossi apparso per la prima volta dal nulla.
Ecco, penso che siano questi i momenti in cui riusciamo a vedere il mondo com'è veramente, solo che non serve andare fino in Polinesia, basta addormentarsi sul divano.