IL POSTO

Scusi, avrei questo posto.

Che posto?

Il suo posto.

Qui ci sono io.

Sì, mi scusi tanto, sarebbe mio.

Suo?

Sì.

Questa è proprio bella.

È la carrozza tre, giusto?

Sì, carrozza tre.

Benissimo. Posto ottantasei, carrozza tre. Ho la prenotazione, guardi.

E con questo?

È il mio posto.

Non vede che l’ho occupato?

Ma è mio.

No, è mio. È stato assegnato a me da molto tempo, ben prima che lei lo prenotasse.

Sul serio?

Da prima che lei nascesse.

Posso vedere la prenotazione?

Cosa sta insinuando?

Magari ha letto male.

Questo posto mi è stato promesso.

Promesso?

È il posto che il Signore ha promesso a me e al mio popolo migliaia di anni fa, durante la schiavitù in seconda classe. Forse lei non ne è al corrente, ma io sono l’eletto del Signore.

Ma lo ha prenotato o no?

Perché dovrei prenotare un posto che è mio?

Perfetto. Allora sentiamo cosa dice il controllore.

Quello che il controllore dice o non dice non ha nessuna importanza.

Cosa sta facendo?

Non vede? Costruisco un muro.



LA VITA A FASI

C’è l’età anagrafica, l’età biologica, l’età psichica e così via. Ci sono un sacco di età, molte più di quelle che uno s’immagina, e siccome perlopiù non coincidono, c’è sempre la possibilità di scegliere quella dove si è più giovani. Per esempio, se uno ha settantacinque anni, è fisicamente indistinguibile da Jabba the Hut e ha salutato buona parte dei suoi neuroni, può sempre ripiegare sull’età sessuale immaginata (da non confondere con l’età sessuale e basta) e tentare di sedurre le amiche di sua nipote. Normalmente questo funziona solo se si ha un’età economica molto avanzata.
L’età di una persona non è una cosa univoca, ma altre cose lo sono, e sono le stesse per tutti, da Socrate al doppiatore del Gabibbo. Sono le fasi della vita.
La vita di ogni essere umano è suddivisa in dieci fasi che vanno percorse tutte, una dopo l’altra, fino in fondo.
La prima fase è quella dell’animalità senza freni, quando si bramano ammucchiate epiche con gente di tutti i sessi e di tutte le dimensioni. Questa fase è dominata da due soli pensieri: sesso e sesso a volontà. Sfortunatamente finisce prima che l’individuo sia in grado di mettere in pratica i suoi propositi.
Il secondo momento è segnato dallo sbocciare della razionalità, cioè ci si rende conto che la sola volontà cieca e ostinata di fare sesso non è sufficiente per farlo veramente, così si decide di dare un’occhiata al cosiddetto mondo esterno, magari può tornare utile:
a. esiste non-io;
b. non-io non risponde ai comandi;
c. approfondire il concetto di “no”;
d. importanza delle mutande nella società contemporanea;
f. il mondo ha un fondamento.
Dopo di che si perde il filo. È qui che inizia il terzo e fondamentale momento della vita: l’apprendistato. In questa fase si assorbe qualsiasi informazione provenga da insegnanti, preti e altre persone in costume, la si incamera e buonanotte. L’individuo impara a fare le divisioni e a staccarsi l’ostia dal palato, tifa Juventus, diventa dipendente da gel con effetto bagnato e si masturba nel cesso sulle foto del Postalmarket. Poi un giorno, inaspettatamente, scopre di essere infelice.
Sia chiaro, non c’è niente di male a essere infelici, è una cosa normale, il problema è che dopo un po’ l’infelicità stufa e uno si chiede quale strana concatenazione di eventi lo abbia portato a succhiare Speedy Pizza congelate davanti a vecchie puntate di Magnum PI.
Seguono alcuni tentativi di suicidio (fase quattro) e una settimana in campeggio nel Polesine con gli zii (fase cinque), dopodiché (fase sei) si decide di cambiare radicalmente vita e si stabilisce in modo definitivo e irrevocabile che la gente è stupida e io sono un genio. In pratica si inizia a fumare.
Fase sette: giro dell’Europa in moto, passione per il cinema muto, scoperta delle birre economiche, Monster of Rock, esperimenti culinari passivi, aerofagia, immersione nel Gange, amicizia con lo psicologo, masturbazione sul Postalmarket.
Fase otto: forse la gente non era poi così stupida, intanto che ci penso mi trovo un lavoro e faccio un paio di figli.
Nove: no, no, è proprio stupida.
Dieci: rottura del femore.

BERNARDO CANTARUTTI

Venerdì scorso sono andato a mangiare la pizza con Matteo Renzi. Siamo stati in un posto in Campo di Marte, una pizzeria senza pretese gestita da una coppia di anziani, uno di quei posti che non avendo la scenografia curata da Dante Ferretti sono sempre vuoti. A Matteo questo posto piace perché ha un ottimo rapporto qualità della pizza / quantità di gente, e non certo grazie alla pizza. Il proprietario gli tiene sempre da parte i porcini, gli asparagi o i carciofi, ma i porcini in particolare sono la cosa di cui va più fiero.


Matteo! T’ho messo da parte certi porcini...

E tu hai fatto bene!

Ormai sono gli ultimi, eh!

Oh, che bellezza! Fammi una pizza radicchio, olive nere e salciccia.

E porcini.

E porcini, sicuro.


In realtà a Matteo i porcini fanno venire lo scagotto, ma non se la sente di dirlo al proprietario, ci rimarrebbe troppo male. Così, col sorriso sulle labbra, ordina sempre la sua pizza coi funghi, pur sapendo che poi dovrà passare tutta la notte a bombardare Dresda, come dice lui.
Quella sera, intanto che parliamo del più e del meno (quant’è bello fare il sindaco, quant’è divertente fare il sindaco, quant’è appagante fare il sindaco, eccetera), mi accorgo che a un certo punto dice “sindaco”, pronunciato proprio così come si scrive.


Sindaco?

Sì. Sindaho.

No, no. Tu hai detto sindaco.

Davvero?

SindaCo.

Mi sarò sbagliato.

Cos’hai, Matteo? Sei strano.

Posso confidarti una cosa?

Hai voglia!

A me fanno schifo i porcini.

Questo lo so.

Non ne posso più di fare quello alla mano, quello che parla con tutti, che conosce tutti, che ha una parola per tutti, ma chi sono questi? Chi li conosce? A me dà noia stare in mezzo alla gente.

Matteo...

Io sono una persona introversa.

Tu?

Guarda, ce l’ho pure scritto sulla carta d’identità, vedi? Segni particolari: introverso. E se lo vuoi sapere non sono nemmeno toscano. Sono di Cinisello Balsamo.


Mi spiega che ha dovuto studiare anni e anni per imparare l’accento fiorentino. Il trucco sta tutto nella posizione della lingua, che va tenuta come se da un momento all’altro la si volesse sputare. È questo che dà alla parlata toscana quel tono un po’ allappato che piace tanto agli intenditori di cabaret. Lui, per aiutarsi, tiene sempre sotto la lingua un fagiolo.


Davvero?

Te lo giuro. Io volevo studiare il sanscrito, ma i miei mi hanno decimato le palle con questa storia di La Pira. La Pira di qua, La Pira di là...

Volevo dire, hai davvero il fagiolo in bocca?


Matteo mi guarda e fa un’espressione inquietante, una smorfia simile a quella di certe starlette quando arricciano il naso pensando di essere sensuali: era un sorriso. Il suo vero sorriso. Quindi si mette due dita in bocca e tira fuori un fagiolo, un cannellino secco. Mentre col tovagliolo lo asciuga dalla saliva, si mette a parlare in brianzolo. Io rimango esterrefatto, come quando si scopre che i regali non li porta Gesù Bambino, ma i genitori. Anzi di più, come quando si scopre che i regali li porta proprio Gesù Bambino. Mi dice che è stufo di fare il giovane, che fin da piccolo ha sempre sognato di essere vecchio e che non vede l’ora di fare il nonno, di avere i capelli bianchi, la sedia a rotelle, la Settimana Enigmistica e due nipotini di nome Ludwig e Van, perché a lui piace Beethoven, non gli U2. Se i nipotini saranno tre si chiameranno Lud, Wig e Van, e così via. Al massimo possono essere nove. Ma soprattutto il suo vero nome non è Matteo Renzi, ma Bernardo Cantarutti.

BRONZINO NON FA RIDERE

Quando si dice che una certa cosa è un’opera d’arte, non si sta dicendo niente sul suo valore estetico, si sta solo dicendo che è (rullo di tamburi) un’opera d’arte.


Ho visto il quadro di quel tizio, come si chiama? Quello che dipingeva con lo sfumino.

La Gioconda?

È un’opera d’arte.

Cosa pensavi che fosse? Un pannello isolante?

No, dico, è un’opera d’arte.

Spiegati meglio.

O-pe-ra-dar-te.


Molta gente usa l’espressione “opera d’arte” col significato di “bellissimo”. Io dico che questa gente deve smetterla. Se tutti usano le parole a casaccio, poi quelle parole finiscono nei dizionari, la lingua s’incasina e tutti diventiamo più stupidi.
Un’opera d’arte è un’opera principalmente espressiva. 
Ovviamente un po’ di espressività c’è in tutto, anche nel design di un water. Ma un water ha il suo senso principalmente in ciò a cui serve, mentre l’opera d’arte ce l’ha principalmente in ciò che esprime. Il fatto poi che il senso di un’opera d’arte possa coincidere con quello di un water è un altro discorso.
Cosa esprime un’opera d’arte?


Il ritratto di questa signora dice molte cose, per esempio che è ricca, aristocratica, pudica e intelligente. Tutte cose che la mettono in ottima luce. Anche a me piacerebbe essere ritratto così, magari con un vestito diverso. Ma queste cose non sono dette attraverso concetti, come potrebbe fare un saggio biografico, ma attraverso l’impressione che fanno il vestito, l’incarnato marmoreo, le dita affusolate, lo sguardo distaccato, eccetera. Chi guarda il quadro non viene didascalicamente informato sul carattere di questa persona, ma sente l’impressione che questo carattere fa. È un ritratto che mette in soggezione.
Le opere d’arte non esprimono concetti, altrimenti si chiamerebbero opere didattiche, ma impressioni, e questo non perché io voglia “porre limitui alla sconfinatua creativituà umana”, ma perché l’arte e la didattica sono due cose diverse, ed è molto comodo che le cose diverse abbiano nomi diversi.
Un quadro, un romanzo, una scultura sono belli se riescono a esprimere un’impressione, sono brutti se non esprimono niente, ma dire che sono opere d’arte è una cosa ovvia.
Anche questa è un’opera d’arte


Un’opera d’arte che fa schifo. L’abbiamo fatta io e mia moglie, e vorrebbe esprimere lo stupore dell’uomo primitivo (io) di fronte a un paio di mutande appena stirate.
Invece questa non è un’opera d’arte


Il che non significa che sia malriuscita, ma solo che non è (squilli di trombe) un’opera d’arte.


Ti piace il mio motorino nuovo?

Motorino?

Bello, eh? Cinque ruote piroettanti, sedile e schienale imbottiti, regolabile in altezza con pistone a gas.

È una sedia girevole.

Ah, non ti piace.

No, anzi. È una bellissima sedia.

Devo ancora capire come si accende.


Il Papa colpito dall’asteroide non è un’opera d’arte, perché è un’opera principalmente concettuale. Però non è nemmeno un’opera didattica. È un’opera che prende cose molto lontane fra loro (Papa, asteroide) e le riunisce in un’unica situazione paradossale, che stride con i concetti che di solito abbiamo di queste cose. Le opere di questo tipo hanno un nome, si chiamano battute (c’è proprio una parola per tutto).
Una battuta può essere divertente, quando l’accostamento è sorprendente e naturale allo stesso tempo, oppure non divertente, in tutti gli altri casi: naturale non sorprendente (asteroide-dinosauro), sorprendente non naturale (asteroide-parrucchiere), né sorprendente né naturale (asteroide-asteroide). Io, personalmente, trovo che le opere di Cattelan siano divertentissime.
Maurizio Cattelan fa ridere.

IL PARADOSSO DI FERMI

Una sera di primavera del 1935, Enrico Fermi era a cena con gli amici all’Osteria Panisperna, dove, nonostante il nome, si mangiavano anche cose commestibili. C’erano Majorana, Einstein, Bohr, Hubble e alla quinta bottiglia di vino si unì a loro anche Newton.
Era una serata piacevole. L’inverno era appena finito e in giro per Roma non c’era neanche un fascista (in TV davano il festival di Sanremo).
Come al solito si parlava di particelle subatomiche, antimateria e trasformazioni di Lorentz.


A proposito, dov’è Lorentz?

Dice che è arrivato qui nel 2016, ma non ci ha visti.

Sempre in ritardo quel ragazzo.


Arrivati al limoncello l’argomento finì come al solito sugli extraterrestri. Era uno dei pallini di Einstein, non riusciva a rassegnarsi all’idea che la sua fama potesse limitarsi solo a questo pianeta. Ma Fermi era scettico, molto scettico, soprattutto quando era ubriaco.


Ascolta, Albert, so di darti un dispiacere, ma siamo soli nell’universo. Più soli di un protone in una stella di neutroni, di un raggio cosmico fuori dal cosmo, di un vino buono al supermercato.

Esagerato.

È così.

Nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle, lo so perché le ho contate, vuoi che siano tutte disabitate?

Ragiona, se l’universo è pieno di extraterrestri, allora dove sono?


Ecco, è questo il cosiddetto paradosso di Fermi: “se l’universo è pieno di extraterrestri, allora dove sono?”. Se la stessa cosa l’avesse detta un signor Rossi qualsiasi, sarebbe stata battezzata come la cazzata di Rossi, invece l’ha detta Fermi e, a quanto pare, le cazzate dei geni si chiamano paradossi.
A un certo punto nella Storia dell’umanità, grosso modo quando la Chiesa esaurì le scorte di legna da ardere, gli scienziati iniziarono a dare per scontata l’esistenza di vita extraterrestre. Non solo la vita elementare (eucarioti, procarioti, tifosi, eccetera) ma anche la vita complessa, quella intelligente.
Il ragionamento è questo: se osservo un fenomeno, qualsiasi fenomeno sia, per quanto insolito e improbabile possa essere, sicuramente nell’universo ce n’è a bizzeffe. L’idea si basa sul fatto che l’universo è obiettivamente molto grande e sull’ipotesi che sia più o meno tutto come qui da noi. È un’ipotesi plausibile, soprattutto quando non se ne sa niente. William Herschel, per esempio, era convinto che tutto l’universo avesse il parquet.
All’inizio gli scienziati pensavano che ci fosse vita un po’ dappertutto: sulla Luna, su Marte, persino sul Sole. Ogni volta che si scopriva un nuovo oggetto astronomico (un asteroide, una cometa, qualsiasi cosa), subito si congetturava sulle strane forme di vita che potevano abitarlo.


Non c’è atmosfera.

Vivranno sottoterra.

Ci sono -265 gradi.

Il riscaldamento costerà meno che da noi.

È poco più grande di un campo da calcio.

E a quanto stanno?


Purtroppo le prime missioni spaziali hanno subito raffreddato gli entusiasmi. Sulla Luna non c’era niente, idem su Marte e, guarda un po’, neanche sul Sole. Oggi il sistema solare è stato perlustrato in lungo e in largo, si è guardato dappertutto, anche sotto il tappeto del bagno, ma non si è trovato niente. A qualcuno è venuta anche l’idea di spedire nello spazio delle sonde con a bordo tutte le indicazioni necessarie per raggiungere il pianeta Terra e alcuni gadget promozionali: un uomo e una donna stilizzati, qualche numero primo e alcuni dischi dei Beatles. Nessuno ha mai contraccambiato. Immagino cosa possano aver detto quelli che li hanno trovati.


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Dopo più di quarant’anni di missioni spaziali in cui la cosa più simile alla vita che si è trovata è il Mars Pathfinder, la comunità scientifica ha ridimensionato le proprie aspettative: all’inizio cercava vita intelligente, poi vita e basta, poi qualche batterio, poi acqua, tracce di acqua, indizi di acqua nel passato, compatibilità con la presenza di acqua nel passato, qualsiasi cosa inizi per “a”.
Il colpo di grazia è arrivato con l’imbarazzante fallimento del progetto SETI, con cui si cercava di captare i segnali radio di lontane civiltà aliene. Probabilmente il piano consisteva nel sorprenderle mentre ascoltavano i dischi dei Beatles, ma purtroppo nessuno ha mai captato niente.
Ora alcuni stanno pensando di spedire un’altra sonda con a bordo un giradischi, ma si tratta di una minoranza. Perlopiù tutti iniziano a pensare che la vita sia una rarità e, in particolare, che la vita intelligente esista solo qui, sul pianeta Terra, o al massimo su un pianeta identico alla Terra, nella stessa posizione della Terra, ora.
Ma in realtà non è così. In realtà l’universo è pieno di extraterrestri, solo che ci evitano.

LA SPOLA

Io non capisco quelli a cui tutto sembra normale. Ma come? prima di nascere passi milioni di anni così:


milioni e milioni...


poi un giorno, paf


ti trovi dentro questa cosa, così, senza saperne niente, senza averlo scelto e senza esserti preparato, e tutto ti sembra normale? La prima domanda che uno dovrebbe farsi è: “dove sono?”, la seconda: “chi sono?”, la terza: “sono?”.
Invece tutto sembra normale.
La gente dà per scontata questa cosa strana e dedica tutto il tempo a mangiare, dormire, espellere, eccetera. In pratica fa la spola fra la tavola e il bagno. Non dico che sia sbagliato, dico solo che la spola è una cosa necessaria, ma ovvia.
Bisognerebbe dare per scontata la spola e vivere per la cosa strana, invece no, si dà per scontata la cosa strana e si vive per la spola; invece di dedicare alla cosa strana le energie rimaste dopo la spola, le si dedica ad altra spola; invece di eccellere nel pensare alla cosa strana, si cerca di eccellere nella spola. Tutto il resto sembra ovvio. Vivo su un sassolino sospeso nel vuoto a centocinquanta milioni di chilometri da una gigantesca esplosione atomica che in realtà non esplode? Ovvio. Qui è tutto un via vai di persone, animali, alghe e nel resto dell’universo sembra che non voli neanche un batterio? Ovvio. Sono rinchiuso in un coso peloso con quattro propaggini articolate che trasforma il cibo in concime? Ovvio.
E invece non è ovvio. Forse è insensato, inspiegabile, casuale, brutto, triste, fastidioso e tutto, ma di certo non è ovvio. Bisognerebbe chiedere subito informazioni al primo che passa, non si sa mai.


Mi scusi, avrei bisogno di un’informazione.

Prego.

Dove sono?

Via Irnerio.

Intendo più in generale.

Bologna.

Quello che voglio sapere è com’è possibile tutto questo. Come funziona? Perché io sono io e non un altro? Cosa significa “io”? E perché ora? L’ora è ora ma poteva anche essere prima o dopo, no? Sono io che scorro nel tempo o è il tempo che scorre in me? Ha senso parlare di qualcosa come il tempo? E lo scorrere? Che senso ha parlare di senso?

Dunque, al primo semaforo svolti a destra, prenda la seconda a sinistra, poi sempre dritto. Non può sbagliare.


Non posso sbagliare? Sì che posso sbagliare! Lo faccio continuamente. Io non capisco quelli che si sentono a casa propria. Come fai a sentirti a casa tua qui dentro?


La gente dovrebbe essere come minimo sbalordita, dovrebbe avere perennemente stampata in faccia l’espressione di chi ha appena visto Godzilla in motorino, dovrebbe sgranare gli occhi così tanto da non riuscire più a chiuderli.
Invece li chiude benissimo.

SPUNTI PER UN FILM MOLTO PIÙ INTROSPETTIVO

1.

Un uomo in pigiama (Paolo) suona rapito il pianoforte a muro di casa sua. È un’esplosione di passione e accessi di lirismo, le dita (delle mani) scorrazzano sulla tastiera in vortici di inaudito virtuosismo e tutto il corpo partecipa sfrenatamente a quel mirabile momento d’estasi. Davvero si può dire che l’artista sia tutt’uno col cosmo.
Vibrato l’ultimo accordo, Paolo si accascia a terra fra estatici applausi registrati. Stordito, si rialza faticosamente e raccoglie l’ultimo rimasuglio di forza per uno sguardo di gratitudine verso il proprio pubblico: cinque gattini di ceramica e Sara, la sua inseparabile scopa elettrica.

2.

Un piccolo bar all’ora di chiusura (sedie sui tavoli, cameriere che passa lo straccio, saracinesca a mezz’asta e un cartello con scritto “il bar sta per chiudere”). Paolo sorseggia svogliatamente un bicchiere di Bianco Sarti e parla fra sé.

Perché sono così solo? Un pianista come me! Io che suono Bach, suono tutto! Non è giusto.

Mi scusi, il bar sta per chiudere.

Paolo paga il conto in natura ed esce.

3.

Cammina in un giardinetto di begonie sommamente concentrato nella lettura di Jacques Prévert.

Ah, quant’è commovente passeggiare solitari e malinconici con il proprio libro di poesie! Soavi, dolci, sporadiche poesie dell’immortale maestro...

Legge.

Jacques Prévert!

Si avvicina saltellando a una begonia.

Dolce fiore della sera, odi questa manierata poesia dell’immortale maestro...

Legge.

Jacques Prévert!

Declama.

O dolce fremito della sera! Colmo di spigoli che inebetiscono! Solitudine è il tuo nome e inasprisci il mio cuore di perle colorate.

S’incazza.

Inasprisci il mio cordoglio verecondo!? Osi auscultarmi con occhi sornioni!? Serpe del demonio! Torci la fecazzuola dello sberleffo! Assapora la sensata esalazione! Della! Morte!

Tornato in sé, resta qualche istante in silenzio, in attesa che il destino faccia la sua prossima mossa (il destino sarà impersonato da un cavallo di colore).
Una voce femminile lo fa sobbalzare.

Nobile lo spirito che ha snocciolato versi tanto commoventi!

Sono stato io!

Sì, certo...

Giuro.

Tu menti.

Cascasse il mondo se non sono stato io! Guarda!

Paolo mostra il libro di poesie ai fiori, ai ruscelli, al vento.

Sei veramente tu?

So anche suonare il pianoforte.

Io adoro il pianoforte.

Hai il ragazzo?

Il ragazzo?

Il fidanzato, qualcuno...

Mi fai arrossire.

Ce l’hai o non ce l’hai?

Silenzio. La voce è scomparsa nel nulla: uno scherzo giocato dal destino? (Nitriti). Un rapimento alieno? O più semplicemente l’improvvisa lesione del nervo acustico?

Dove sei rosellina? Uccellino di bosco! Minuscola cricetina! Ho sempre qui con me il mio libro di...

Legge.

Jacques Prévert!

Paolo si accorge che invece del libro ha in mano un bicchiere di Sambuca.

No!

È sconvolto.

Questa non è Sambuca!

Annusa.

È Deltarinolo!

Crolla a terra stordito e depistato.

4.

Paolo russa a letto. Improvvisamente uno squillo elettrico acutissimo e fastidiosamente periodico (probabilmente una sveglia, oppure un apparecchio che riproduce esattamente il suono di una sveglia) gli fa spalancare gli occhi. Con smodato stupore scopre di non essere in un giardino di begonie, ma nel letto di casa sua: si è trattato forse di un sogno? E se sì, dove finisce il sogno e dove comincia la realtà? Fabio cerca di suicidarsi (d’ora in avanti, per comodità, Paolo si chiamerà Fabio): inghiotte un flacone di Smarties, si incide i polsi con un ghiacciolo, si getta dal battiscopa. Più volte.

5.

Telefona a sua madre.

Ciao madre, sono Fabio. Come Fabio chi? Tuo figlio. Mi dici che non hai figli? Ma certo che li hai. Chissà perché ti sei messa in testa quest’idea dopo il trapianto di cervello. Mi chiedi che cosa telefono a fare? Così, per sentire come va. Sai, ieri ho conosciuto una donna meravigliosa che forse si è innamorata di me, però poi è scomparsa e c’è anche il caso che fosse tutto un sogno. Come? Mi chiedi come farò a rivedere quella donna che, non dimentichiamolo, probabilmente non ho mai conosciuto e che non sono nemmeno sicuro di avere visto? Proprio questo volevo chiederti. Pronto, mamma? Hai riattaccato o stai cercando di comunicare in codice morse?

6.

Fabio sta giocando a tennis col presidente degli Stati Uniti.

Bel colpo, presidente! Un altro punto per lei.

Oggi sono in forma.

In formissima. Ora posso riavere la mia racchetta?

Prima finiamo la partita.

Sì, naturalmente. Volevo chiederle, non ha per caso visto una donna invisibile?

Non mi pare, perché?

È la mia fidanzata.

Come si chiama?

Non lo so.

Ace!

Bravissimo.

Vale anche se rimbalza prima da me, vero?

Soprattutto.

Sa cosa potrebbe fare?

Cosa?

Potrebbe mettere un annuncio sul giornale.

Geniale!

È la cosa più semplice da fare.

E, mi scusi, per cosa?

Per la sua fidanzata.

Geniale!

7.

Fabio compra il Corriere della Sera e ci scrive sopra: “pianista di fama condominiale, serissimo, non ancora sessantenne, con pochissimi problemi intestinali, cerca compagna di aspetto gradevole, grande adulatrice, che ami le pulizie domestiche e il sesso orale. Ci vediamo a casa mia sul divano-letto”.

8.

Fabio è seduto senza mutande sul divano-letto. Vicino a sé un orologio digitale, un calendario per adulti e una scatola di fazzoletti di carta. Fabio passa freneticamente da un oggetto all’altro, senza sapersi decidere.
Un ritratto di Bach lo scruta severamente dalla parete.

FAAABIOOO, FAAABIOOO!

Maestro!

FAAABIOOO!

Sono io!

Fabio!

Sì, l’ascolto maestro!

Fabio, Fabio, Fabio.

Sì?

FABIO!!!

Maestro, deve dirmi qualcosa?

Fabio.

9.

Fabio è rannicchiato sul pavimento della cucina e ascolta in silenzio il riposante ronzio del frigorifero. In ogni angolo della casa sbocciano coloratissime begonie e inizia a spirare una fresca aria di campagna.

Leggimi una poesia, ti prego.

Amore, sei tu!!!

È tanto tempo che non mi leggi una poesia.

Dove sei, amore!? Cerbiattina, coniglietta, leprottina, scoiattolina, adorata marsupialina, mostrati a me, ti prego! Possibilmente nuda.

Devo confidarti una cosa.

Sono qui, amore!

È una cosa importante.

Ti ascolto. Dimmi.

Sei pronto?

Sì.

FAAABIOOO!

Titoli di coda.

PICCOLA INVASIONE ALIENA

Sono sbarcato su questo pianeta molti anni fa, per motivi di studio. No, non è vero. Sono finito qui per caso, di notte, solo e senza viveri. Già dal nome del pianeta dovevo capire che buttava male. Che razza di gente può chiamare “Terra” un pianeta di terra? È come se Giove si chiamasse “Gas” o Saturno “Anello”. Tanto valeva chiamarlo “Pianeta”: il pianeta Pianeta e il suo satellite Satellite che ruotano attorno alla stella Stella in un periodo di un periodo di rivoluzione attorno alla stella di nome Stella. In questo modo non ci si può sbagliare.
I terrestri odiano sbagliare. L’unica cosa che odiano più di sbagliare è ammettere di aver sbagliato. Per sicurezza fanno esattamente la stessa vita da duecentomila anni, cambiano solo l’abbigliamento. Sono esseri molto inclini all’egoismo, all’egotismo, all’egocentrismo e all’egolatria, ma a volte trovano anche un po’ di tempo da dedicare a se stessi. Inoltre puzzano. Devono continuamente sciacquarsi e cospargersi il corpo di essenze profumate per scacciare il loro naturale cattivo odore, che però non se ne va mai completamente, anche se loro non sembrano rendersene conto. I terrestri hanno un pessimo olfatto. Hanno un buon udito, una discreta vista (anche se limitata al solo spettro visibile), ma il loro olfatto è veramente scadente. È l’olfatto più scadente in tutto l’Orizzonte delle Particelle. Tanto per fare un esempio, studiano l’universo guardando la luce che arriva dallo spazio, quando tutti sanno che l’universo va annusato.
Quando sono arrivato mi hanno accolto molto bene: grandi feste, cerimonie, molta attenzione e curiosità. Erano felici di vedermi, soprattutto le donne.
Le donne terrestri sono meglio degli uomini, e non mi riferisco al loro aspetto fisico, che, se proprio devo essere sincero, non è il massimo. Per esempio hanno due grosse sacche molli appese al torace che fanno veramente impressione. I maschi, almeno, ce le hanno un po’ più piccole e dislocate discretamente fra le zampe inferiori. Ma a parte l’aspetto fisico, le donne terrestri sono migliori degli uomini. A loro non importava da dove venissi, appena ne avevano l’occasione mi abbracciavano, mi baciavano e qualcuna si è persino spogliata. Tutte queste effusioni mi facevano senso, ma io le lasciavo fare. In fondo le intenzioni erano buone.
Col tempo mi sono lasciato andare, sono diventato più malleabile, poi, non so perché, la gente ha iniziato a perdere interesse. Evidentemente non ero più una novità. Potevo persino uscire in strada e camminare per ore senza che nessuno si avvicinasse a pizzicarmi una guancia. Nessuno si accorgeva più che ero speciale.
Anche le donne mi hanno deluso. Proprio quando le loro effusioni iniziavano a interessarmi, non dico a piacermi, sono diventate schive, tanto che a un certo punto ero io a cercarle. E loro hanno per caso ricambiato tutti quegli anni in cui mi sono lasciato trastullare senza dire una parola? No. Io non posso sbaciucchiarle quando mi pare, non posso prenderle e spogliarle, non posso nemmeno affondare la faccia nelle loro sacche ghiandolari. Eppure prima erano contente.
L’indifferenza della gente è diventata piano piano diffidenza, poi aperta ostilità. Un tempo il cibo mi veniva offerto da persone sorridenti, ora devo procurarmelo da solo. Prima le persone mi erano spontaneamente amiche e poi, magari, potevano diventare nemiche, ora mi sono spontaneamente nemiche e solo dopo, molto dopo e comunque molto raramente, possono diventare amiche. Prima tutti volevano prendersi cura di me, anche se in realtà io non avevo bisogno di nessuno, ora che avrei tanto bisogno di attenzione, nessuno mi considera più.
Vorrei tanto tornare a casa.