10. LA TRIPLICE RADICE DEL PRINCIPIO DI STUPIDITÀ
Stupido!
Io?
E parecchio.
In che senso, scusa?
Nel senso che sei stupido.
Sei tu lo stupido.
Non mi pare.
Un grossissimo stupido.
Figurati.
Mai visto uno stupido più stupido di te.
Se fossi stupido me ne accorgerei, non ti pare?
Certo, se non fossi così stupido.
Non sai di che parli.
Di uno stupido.
Sei proprio stupido.
Disse lo stupido.
Disse il più stupido degli stupidi.
Disse il più grande stupido di tutti i più grandi stupidi.
Neanche sai cosa vuol dire “stupido”.
Certo che lo so.
Ah, sì?
Sì.
Sentiamo.
Vuol dire che sei stupido.
La gente è stupida, dice la gente, cosa che mi ha sempre fatto l’effetto del paradosso di Epimenide: se la gente è stupida come fa ad aver capito di essere stupida? allora non è stupida. Però è stupido definirsi stupidi quando non lo si è. Allora è stupida, e così via. Anche se in questo caso il paradosso potrebbe essere brillantemente superato supponendo che chi dice “la gente è stupida”, per qualche motivo poco chiaro, sottintenda sempre “tranne me”. Ma è solo un’ipotesi. Sia come sia, il problema principale di questa affermazione è che non c'è mai nessuno che senta il bisogno di spiegare di cosa sta parlando. Quando uno viene apostrofato con la parola “stupido”, invece di imbestialirsi e rispondere con qualcosa di ancora più offensivo come “stupidissimo” o “superstupido”, dovrebbe chiedere all’altro cosa intende esattamente con “stupido”. Chissà, magari scoprirebbe che detto da lui è un complimento.
Ci sono almeno due tipi di situazioni in cui la gente chiama in causa la stupidità altrui:
1. Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce.
2. Quando uno vuole fare qualcosa di stupido e ci riesce benissimo.
A questi due tipi se ne aggiunge poi un terzo:
3. Quando uno vuole fare qualcosa di incomprensibile, sia che ci riesca o meno.
Si noti che, a differenza dei primi due, quest’ultimo tipo di stupidità non appartiene al giudicato ma al giudicante, e ci sono buoni indizi per sospettare che sia quello più diffuso.
11. STUPIDITÀ DEL PRIMO TIPO
“Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce”. In realtà niente è di per sé intelligente, né tanto né poco. Quello che distingue un obiettivo da un altro è solo quanto è lontano dall’asse dell’ego, cioè dal più immediato e diretto dedicarsi all’inimitabile punta del proprio naso, non quanto è intelligente (parte 4). L’intelligenza riguarda le persone, non gli obiettivi, e per come è stata definita (parti 3 e 6) tutto quello che si può dire in base al comportamento delle persone è questo: se uno raggiunge un certo obiettivo vuol dire che è abbastanza intelligente per quell’obiettivo, nient’altro. Questo sempre prescindendo dalla fortuna e dalla sfortuna dei singoli, perché è ovvio che chi ha vinto la lotteria ha molte più probabilità di raggiungere l’obiettivo “dilapidare un patrimonio” di chi non l’ha vinta. Ora, il raggiungimento di un obiettivo particolarmente saggio può essere considerato un segno di intelligenza, ma il suo non raggiungimento non è di per sé segno di poca intelligenza, dal momento che tutti, nessuno escluso, concepiscono almeno un obiettivo che non sono in grado di raggiungere (parte 8): per esempio Michelangelo non riusciva a finire le statue. E nemmeno il non riuscire a raggiungere un obiettivo che più o meno tutti raggiungono implica necessariamente poca intelligenza, dal momento che uno cerca di raggiungere quell’obiettivo nel particolare modo che ritiene adatto ad appagare il suo amor proprio, un modo che in certi casi può richiedere molta intelligenza, anche più di quella umanamente possibile. Questo significa che non è possibile definire poco intelligente qualcuno basandosi esclusivamente sulla lista degli obiettivi raggiunti e non raggiunti, perché può sempre esserci il caso di persone che usano tutta la loro sconfinata intelligenza per fare meravigliosamente bene cose assolutamente futili, come lavare la macchina. L’ideale sarebbe avere libero accesso al cranio di una persona, estrarne il cervello, metterlo su un banco di prova e fare tutte le verifiche necessarie per stabilirne le prestazioni, ma purtroppo questo non si può fare. Pare sia contro le attuali norme sulla privacy. Siccome però nessuno vieta di sognare, possiamo immaginare di avere a disposizione un’apposita equipe medica adeguatamente tedesca in grado di scoperchiare crani senza spargimento di sangue, almeno non troppo, e di misurare con assoluta precisione le prestazioni fisiche oggettive di un cervello umano, cioè la sua intelligenza (i). Dopo di che chiamiamo stupidi del primo tipo, o poco intelligenti, tutti quelli che hanno un’intelligenza inferiore alla media
Stupido!
Io?
E parecchio.
In che senso, scusa?
Nel senso che sei stupido.
Sei tu lo stupido.
Non mi pare.
Un grossissimo stupido.
Figurati.
Mai visto uno stupido più stupido di te.
Se fossi stupido me ne accorgerei, non ti pare?
Certo, se non fossi così stupido.
Non sai di che parli.
Di uno stupido.
Sei proprio stupido.
Disse lo stupido.
Disse il più stupido degli stupidi.
Disse il più grande stupido di tutti i più grandi stupidi.
Neanche sai cosa vuol dire “stupido”.
Certo che lo so.
Ah, sì?
Sì.
Sentiamo.
Vuol dire che sei stupido.
La gente è stupida, dice la gente, cosa che mi ha sempre fatto l’effetto del paradosso di Epimenide: se la gente è stupida come fa ad aver capito di essere stupida? allora non è stupida. Però è stupido definirsi stupidi quando non lo si è. Allora è stupida, e così via. Anche se in questo caso il paradosso potrebbe essere brillantemente superato supponendo che chi dice “la gente è stupida”, per qualche motivo poco chiaro, sottintenda sempre “tranne me”. Ma è solo un’ipotesi. Sia come sia, il problema principale di questa affermazione è che non c'è mai nessuno che senta il bisogno di spiegare di cosa sta parlando. Quando uno viene apostrofato con la parola “stupido”, invece di imbestialirsi e rispondere con qualcosa di ancora più offensivo come “stupidissimo” o “superstupido”, dovrebbe chiedere all’altro cosa intende esattamente con “stupido”. Chissà, magari scoprirebbe che detto da lui è un complimento.
Ci sono almeno due tipi di situazioni in cui la gente chiama in causa la stupidità altrui:
1. Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce.
2. Quando uno vuole fare qualcosa di stupido e ci riesce benissimo.
A questi due tipi se ne aggiunge poi un terzo:
3. Quando uno vuole fare qualcosa di incomprensibile, sia che ci riesca o meno.
Si noti che, a differenza dei primi due, quest’ultimo tipo di stupidità non appartiene al giudicato ma al giudicante, e ci sono buoni indizi per sospettare che sia quello più diffuso.
11. STUPIDITÀ DEL PRIMO TIPO
“Quando uno vuole fare qualcosa di intelligente e non ci riesce”. In realtà niente è di per sé intelligente, né tanto né poco. Quello che distingue un obiettivo da un altro è solo quanto è lontano dall’asse dell’ego, cioè dal più immediato e diretto dedicarsi all’inimitabile punta del proprio naso, non quanto è intelligente (parte 4). L’intelligenza riguarda le persone, non gli obiettivi, e per come è stata definita (parti 3 e 6) tutto quello che si può dire in base al comportamento delle persone è questo: se uno raggiunge un certo obiettivo vuol dire che è abbastanza intelligente per quell’obiettivo, nient’altro. Questo sempre prescindendo dalla fortuna e dalla sfortuna dei singoli, perché è ovvio che chi ha vinto la lotteria ha molte più probabilità di raggiungere l’obiettivo “dilapidare un patrimonio” di chi non l’ha vinta. Ora, il raggiungimento di un obiettivo particolarmente saggio può essere considerato un segno di intelligenza, ma il suo non raggiungimento non è di per sé segno di poca intelligenza, dal momento che tutti, nessuno escluso, concepiscono almeno un obiettivo che non sono in grado di raggiungere (parte 8): per esempio Michelangelo non riusciva a finire le statue. E nemmeno il non riuscire a raggiungere un obiettivo che più o meno tutti raggiungono implica necessariamente poca intelligenza, dal momento che uno cerca di raggiungere quell’obiettivo nel particolare modo che ritiene adatto ad appagare il suo amor proprio, un modo che in certi casi può richiedere molta intelligenza, anche più di quella umanamente possibile. Questo significa che non è possibile definire poco intelligente qualcuno basandosi esclusivamente sulla lista degli obiettivi raggiunti e non raggiunti, perché può sempre esserci il caso di persone che usano tutta la loro sconfinata intelligenza per fare meravigliosamente bene cose assolutamente futili, come lavare la macchina. L’ideale sarebbe avere libero accesso al cranio di una persona, estrarne il cervello, metterlo su un banco di prova e fare tutte le verifiche necessarie per stabilirne le prestazioni, ma purtroppo questo non si può fare. Pare sia contro le attuali norme sulla privacy. Siccome però nessuno vieta di sognare, possiamo immaginare di avere a disposizione un’apposita equipe medica adeguatamente tedesca in grado di scoperchiare crani senza spargimento di sangue, almeno non troppo, e di misurare con assoluta precisione le prestazioni fisiche oggettive di un cervello umano, cioè la sua intelligenza (i). Dopo di che chiamiamo stupidi del primo tipo, o poco intelligenti, tutti quelli che hanno un’intelligenza inferiore alla media
i < 0.5
Questo è più o meno quello che vorrebbero fare i cosiddetti “test d’intelligenza”, se non fosse che, in realtà, questi test non misurano l’intelligenza ma la mancanza di senso del ridicolo, come dimostrano le facce degli iscritti al MENSA.
Mi rendo conto che può essere antipatico parlare di “persone poco intelligenti”, visto che ogni persona a suo modo eccetera, ciò però non toglie che queste persone ci sono. Non sono certo la stragrande maggioranza, probabilmente non sono nemmeno la maggioranza, però ci sono. Ci sono persone con le gambe corte, persone con le orecchie a sventola, persone coi piedi piatti e ci sono persone col cervello che funziona male. È la natura, e nessun pedagogista può farci niente.
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