LA BUCA DELL’AMORE (12)

12. EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA PERSONA

Gli obiettivi che uno si pone possono essere più o meno saggi, cioè più o meno distanti da sé. Per esempio lavarsi i denti è meno saggio che suonare il violino, ma questo non significa che chi si lava i denti sia poco saggio, significa solo che quando ci si lava i denti si rimane molto più vicini a se stessi di quando si suona il violino: in un caso si pensa ai propri denti, nell’altro si pensa alla musica. Poi è vero che chi suona il violino lo fa anche per sé e chi si lava i denti lo fa anche per gli altri, ma ciò non toglie che nessuno andrebbe mai a teatro a sentire il meraviglioso alito di Accardo.
Ogni obiettivo è una retta verticale sul piano della saggezza e dell’amor proprio posta a una certa distanza dall’asse dell’ego (parte 4). Una persona raggiunge un obiettivo nel momento in cui la salita della sua buca dell’amor proprio interseca la retta dell’obiettivo, portandosi così a una distanza da sé che è la stessa di tutte le persone che raggiungono quell’obiettivo, anche se ognuno ne ricava una quantità di orgoglio maggiore o minore a seconda di quanto si ama. Suonare il violino al Carnegie Hall è saggio tanto quanto suonarlo chiusi nello sgabuzzino, così come lavarsi i denti in bagno è saggio tanto quanto lavarseli affacciati alla finestra senza mutande, eppure c’è qualcosa in certi modi di raggiungere un obiettivo poco saggio che fa sembrare poco saggio anche chi lo raggiunge. Verrebbe quasi da dire poco intelligente, se non fosse che qui l'intelligenza non c’entra (parte 11). Cos’è allora questo qualcosa?
Augurarsi buona fortuna non è per niente saggio, è più o meno come fare le smorfie allo specchio: non serve a niente e si rischia di rendersi ridicoli, se non agli occhi degli altri certamente ai propri, che è molto peggio. Eppure lo fanno tutti, nessuno escluso. Chi si limita a spronarsi con semplici monosillabi: “dài!”, “vai!”, “su!”, chi sente il bisogno di emettere suoni più articolati come “spero di farcela”, “vedrai che andrà tutto bene”, “ho un buon presentimento”, chi cerca anche l’incitamento di altre persone o, in mancanza di meglio, del proprio cane, chi interpreta i sogni a suo favore, chi cerca consolazione negli oroscopi, chi arriva persino a fare quelle cose demenziali chiamate “gesti scaramantici”. Io, quando ho qualche incombenza a cui tengo molto, prima di uscire di casa mi allaccio e mi slaccio le scarpe quattro volte consecutivamente, sedici volte se per caso sbaglio qualcosa, sessantaquattro se sbaglio di nuovo e così via. In alternativa prendo quindici gocce di Lexotan così faccio prima. Ma c’è chi si spinge ancora più in là. C’è chi prende un libro a caso, lo legge e lo rilegge fino a impararlo a memoria, si compra un vestito adatto per stare in compagnia di questo libro, fa costruire un edificio enorme e appariscente dove andare a vivere col libro, e poi, una volta alla settimana, chiede a uno o più personaggi del libro di proteggerlo, aiutarlo e conservarlo in salute fino alla fine della sua vita e possibilmente anche oltre. Questa persona ha usato tutta la sua intelligenza per augurarsi buona fortuna. Si può definirla poco saggia? Non lo so, ma ci si può provare.
Definiamo saggezza s di una persona dotata di intelligenza i e amor proprio a la saggezza associata al suo obiettivo raggiungibile più lontano (parte 8)

s = i / √(a2+1)

Questa è l’equazione che lega le tre grandezze fondamentali che definiscono una persona: la saggezza, l’intelligenza e l’amor proprio. Da questa equazione si vede che una persona è tanto più saggia quanto più è intelligente e quanto meno si ama. In altre parole più uno si ama, meno lontano va con la sua intelligenza, al punto che chi si ama in modo spropositato sarà necessariamente poco saggio, indipendentemente da quanto è intelligente. Infatti

lima→∞ i/√(a2+1) = 0

da cui si deduce che persino il più grande genio del mondo (i≈1), se troppo innamorato di sé, può non essere nemmeno in grado di mangiare una minestra, tanto gli piace stare a guardare la propria immagine riflessa nel brodo. Al contrario quando l’amor proprio tende a 0 la saggezza è massima

lima→0 i/√(a2+1) = i

In base all’equazione fondamentale della persona si può quindi affermare che, a parità di intelligenza, si è tanto più saggi quanto meno ci si ama. Del resto è possibile dimostrare che chi si ama molto finisce inevitabilmente con l’essere frustrato, e nessuno può dire che la frustrazione sia un segno di grande saggezza. Cioè, qualcuno può anche dirlo, ma avrebbe torto.