IL CURIOSO CASO DEL CANE DELL’AVVOCATO GIORGIO DIVERTICOLI

Ci sono tanti motivi per prendere un cane: fare felici i bambini, spaventare i ladri, cucinare qualcosa di diverso. All’avvocato Giorgio Diverticoli non interessava niente di tutto questo, lui voleva solo qualcosa di peloso da portare a spasso, qualcosa da redarguire e a cui far fare i bisogni in strada. In teoria non doveva essere per forza un cane, qualsiasi altra cosa pelosa sarebbe andata benissimo, un cane però avrebbe sicuramente dato meno nell’occhio, primo perché i cani sono facilmente trasportabili sulle loro pratiche quattro zampe e poi perché non sono triangolari. In poche parole un cane era esattamente quello che l’avvocato Giorgio Diverticoli aveva sempre sognato.


Ha sognato di nuovo un cane?

Sì, dottore.

Cosa faceva stavolta?

Niente di speciale: abbaiava, scodinzolava, giocava a backgammon.

Con chi?

Con un altro cane.

Capisco. Senta, ora le mostrerò un’immagine e lei mi dovrà dire la prima cosa che le viene in mente.


Una macchia di Rorschach.


Purtroppo l’avvocato Giorgio Diverticoli non si poteva permettere un cane. Non dico un cane di razza come sarebbe stato consono col suo lignaggio (i suoi nonni da parte di madre erano tutti setter inglesi), ma nemmeno un cane usato, uno di quelli con più di centomila chilometri e i rivestimenti con le bruciature di sigaretta. L’avvocato Giorgio Diverticoli non si poteva permettere proprio un bel niente. L’ultimo suo cliente risaliva ai tempi del praticantato, un pilota di Formula 1 accusato di eccesso di velocità.


Pertanto, vostro onore, il mio assistito non poteva essere a Monza quel giorno, essendo impegnato in un omicidio plurimo aggravato da futili motivi.

Un omicidio?

In Texas, vostro onore.


Non che l’avvocato Giorgio Diverticoli fosse un amante dei cani, anzi li odiava, solo che abitava a Bologna, e se a Bologna non hai almeno un cane non sei nessuno.
A Bologna tutti hanno un cane, è una specie di status symbol. Nel resto del mondo la gente sfoggia macchine, neonati e interventi di chirurgia estetica, invece a Bologna sfoggia i cani: viaggia a bordo di cani, partorisce cani e si fa le orecchie da cocker o le guance da bull dog. È una città a misura di cane, piena di odori, palline colorate e irresistibili zufoli, dove non c’è mai il problema di non sapere dove farla. Ci sono locali per cani, concerti per cani, ristoranti con dell’ottimo cibo per cani e università per cani. La gente sfila per strada col proprio cane lustrato e pettinato, pavoneggiandosi col sacchettino in mano, smaniosa di mostrare a tutti come si maneggi la merda. Nessuno esce di casa senza un cane. Le coppie di innamorati vagano assenti per chilometri trascinate dal guinzaglio finché non trovano un posticino tranquillo dove limonare tutti e tre in pace, le signore impellicciate vanno a teatro col cane e poi lo aspettano fuori, l’aperitivo si prende col cane in braccio o direttamente nel bicchiere, e la sera i punkabbestia e i poliziotti passano tutto il tempo ammassati in piazza Verdi a guardarsi in cagnesco mentre i loro cani conversano amichevolmente del più e del meno. A Bologna tutti, ma proprio tutti, hanno un cane, tutti tranne l’avvocato Giorgio Diverticoli.
Esasperato da questa condizione umiliante, un giorno l’avvocato Giorgio Diverticoli prende il ferro da stiro, lo ricopre con una vecchia parrucca e sotto ci mette le rotelle del carrello dei bolliti.


Amore, dove vai col ferro da stiro travestito da cane?

Si chiama Jambo.

Dove vai con Jambo?

È venuto nel mio studio col guinzaglio in bocca, non vorrai che gliela lasci fare sul tappeto?

Quello che chiami guinzaglio è la sciarpa che mi ha regalato mia madre?

Sul serio?

Sì.

Non pensavo fosse tua madre.

Avvocato Giorgio Diverticoli!

Dimmi, amore.

Non credo proprio che a Jambo scappi.

Come no? L’ho riempito con le mie mani.


Che sensazione meravigliosa! Camminare per via Indipendenza a testa alta, senza incrociare sguardi sprezzanti, occhi maligni, indici puntati, risa di scherno, pubblico ludibrio, schiaffi morali, battute pungenti e roast beef (l’avvocato Giorgio Diverticoli odiava il roast beef). È meraviglioso stare fra la gente sentendosi accettati, riconosciuti in un ruolo sociale preciso e apprezzato da tutti: badante di un cane. L’avvocato Giorgio Diverticoli aveva ormai dimenticato tutto questo, così prende il suo taccuino e annota questa sensazione meravigliosa:

“Sensazione meravigliosa.”

D’ora in poi annoterà tutto. In fondo aveva sempre avuto il pallino della scrittura, fin da quando scriveva le parolacce sui banchi di scuola o “ti amo Lorenza” davanti alla porta di una sua vecchia fiamma, una certa Tiziana.


Scusi, che sta facendo?

Oh, buongiorno, sto facendo fare pipì a Jambo, il mio cane. Jambo è il nome del mio cane. Sa, i cani ogni tanto vanno portati in strada a fare i bisogni e Jambo non è certamente da meno. Jambo è il mio cane, così l’ho portato fuori a fare pipì, oggi, Jambo, questo qui, il mio cane.

Mi stai spruzzando tutta l’acqua sullo zerbino!

Non è acqua! È pipì di cane!

Piantala!

Da bravo, Jambo, spostiamoci che il signore è un po’ sulle sue.

Ti avverto, fatti rivedere con quel coso e te lo spacco in testa!


A che serve avere un cane se quando pigi il tasto della pipì tutti si accorgono che è solo un ferro da stiro? A questo punto l’avvocato Giorgio Diverticoli aveva solo due possibilità: aspettare che a Bologna passasse la moda dei cani e arrivasse quella dei ferri da stiro, oppure annotare sul suo taccuino la terribile sensazione di quel momento.

“Terribile sensazione.”