Chi sono io? Ovviamente non “io” nel senso di “io io” ma nel senso di “io tu”, “io lui”, eccetera. Chi sono io eccetera? Io io è quello che sta dicendo queste cose che sto dicendo, situato in un preciso punto del XXI secolo e che nel XX secolo, quando il suo corpo non aveva ancora raggiunto dimensioni penalmente rilevanti, amava torturare dei poveri, indifesi e insopportabilmente teneri gattini. Io io è più o meno questo, più l’io eccetera che tutti più o meno sono. Chi è io eccetera?
L’homo sapiens sapiens. Infatti, anche se a volte non si direbbe, ogni persona è un homo sapiens sapiens, cioè un aggregato di molecole organizzate secondo quanto è prescritto dal codice genetico della specie. Il codice genetico è un po’ come una Costituzione, un insieme di norme che definiscono l’organismo e che prescrivono i confini entro cui ognuno può liberamente stabilire le proprie Leggi di comportamento. Per esempio, le narici: c’è chi le usa come passatempo, chi le circonda di peluria, chi le decora con borchie di metallo e così via, ma tutti hanno due narici. Non qualcuna o un paio, ma due, e lo stesso si può dire per ogni altra parte del corpo, interna o esterna, e per tutto il corpo nel suo insieme e questo è sufficiente per definire in modo completo e senza ambiguità l’homo sapiens sapiens. Bene, però io non sono le mie narici. Né io, né io eccetera. Certo se avessi sei narici, quarantanove pollici e infiniti peli arancioni sarei una persona completamente diversa, avrei gusti diversi, obiettivi diversi e mi amerei in modo diverso, eppure io non coincido esattamente con le mie narici, i miei pollici e i miei peli, come dimostra il fatto che anche chi si depila continua a essere se stesso, o almeno così dice. Allora chi sono?
Il cervello dell’homo sapiens sapiens, cioè il pezzo più pregiato di tutto il corpo e, per la precisione, quello che è valso a questa specie il tanto ambito titolo di “sapiens sapiens”. Chissà quanto pagherebbero i cani, i cavalli o i batteri della tubercolosi per fregiarsi di questo titolo: “Mycobacterium sapiens sapiens”, “homo tubercolosis”, fa tutto un altro effetto, eh? E invece una giuria altamente qualificata e imparziale ha stabilito che solo una specie vivente può andare in giro per l’universo a fregiarsi del titolo di sapiens sapiens e questo essere sono io, cioè io eccetera: il cervello dell’homo sapiens sapiens. Infatti, come chiunque può verificare, se si prende una persona e le si accende un frullatore nel cranio, si vedrà che poi non sarà più la stessa persona, sempre che sia ancora una persona. Quindi si può senz’altro affermare che io sono ciò che sono perché il mio cervello è così com’è, cioè io sono il mio cervello. Naturalmente esistono anche altre cose che fanno di me quello che sono, per esempio il temporale. Se il temporale non esistesse o fosse diverso io sarei una persona diversa, non so se tanto o poco, ma sicuramente diversa. Se per esempio i fulmini fossero profumati e se la pioggia salisse invece di scendere, io non reagirei come reagisco quando sento un tuono, non farei quello che faccio quando si alza il vento e non mi sentirei come mi sento quando inizia a piovere, cioè non sarei io. Quindi io sono ciò che sono perché il temporale è come è, cioè io sono il cervello e il temporale. E lo stesso vale per il sole, le formiche, l’acqua, eccetera, io sono tutte queste cose: sole, formiche, acqua, olmi, pulviscolo, escrementi, no, c’è qualcosa che non va. La proposizione “x è quello che è perché y è così com’è” non implica “x è y”, nemmeno quando x sono io e y è il cervello, il temporale o qualsiasi altro pezzo di materia. Io non sono materia.
Allora sono spirito. Ecco, io non ho mai capito la parola “spirito”. Fin da piccolo mi sono sempre immaginato una specie di sostanza invisibile che pervade l’universo e aleggia fra gli spazi interstellari facendo uuuOuuuOuuuOuuu... una via di mezzo fra l’etere aristotelico e il genio della lampada. Poi però mi hanno spiegato che non è così, che quando si parla di spirito si parla di metafisica. Metafisica... Già è difficile capire la fisica, figuriamoci la metafisica. Verrebbe da dire che un concetto come “spirito metafisico” sia una cosa da premio Nobel, se non fosse che ne parlano tutti: preti e baristi. Per questo tendo a pensare che si tratti solo di una delle tante parole-prezzemolo che la gente usa per insaporire i discorsi: uno ha un’opinione, ci butta dentro un po’ di spirito e poi la serve con aria fritta. Certo ci sono anche persone che usano questa parola con un significato preciso e comprensibile a una ristretta cerchia di dotti, peccato che vivano quasi tutte fra il Seicento e l’Ottocento. Io non vedo una grande e essenziale cosa senza nome per la quale ci sia bisogno di scomodare parole come “spirito”, “anima” o “svadigoz”. “Essere umano” va già benissimo.
Io, nel senso di io eccetera, sono un essere umano. “Essere” non inteso come sostantivo, se no tanto vale dire “spirito”, ma come verbo. Io eccetera non sono un homo sapiens sapiens, ma sono l’essere di un homo sapiens sapiens nel suo avere a che fare con tutto ciò con cui un homo sapiens sapiens ha normalmente a che fare: temporali, soli, formiche e naturalmente altri homo sapiens sapiens. Per esempio, io sono l’essere interessato a chiedermi chi sono. Sono l’interesse, non la bocca che esprime l’interesse, né tanto meno una bocca invisibile che aleggia nel mondo delle idee.
È curioso notare come certe frasi acquistino improvvisamente senso se al posto di “spirito” si mette “essere umano”. Non dico che diventino vere, ma perlomeno comprensibili. Per esempio: “I momenti della totalità dell’essere umano sono la coscienza, l’autocoscienza, la ragione e l’essere umano, cioè l’essere umano in quanto immediatamente essere umano, e non ancora coscienza dell’essere umano”. Tutto chiaro, no?
L’homo sapiens sapiens. Infatti, anche se a volte non si direbbe, ogni persona è un homo sapiens sapiens, cioè un aggregato di molecole organizzate secondo quanto è prescritto dal codice genetico della specie. Il codice genetico è un po’ come una Costituzione, un insieme di norme che definiscono l’organismo e che prescrivono i confini entro cui ognuno può liberamente stabilire le proprie Leggi di comportamento. Per esempio, le narici: c’è chi le usa come passatempo, chi le circonda di peluria, chi le decora con borchie di metallo e così via, ma tutti hanno due narici. Non qualcuna o un paio, ma due, e lo stesso si può dire per ogni altra parte del corpo, interna o esterna, e per tutto il corpo nel suo insieme e questo è sufficiente per definire in modo completo e senza ambiguità l’homo sapiens sapiens. Bene, però io non sono le mie narici. Né io, né io eccetera. Certo se avessi sei narici, quarantanove pollici e infiniti peli arancioni sarei una persona completamente diversa, avrei gusti diversi, obiettivi diversi e mi amerei in modo diverso, eppure io non coincido esattamente con le mie narici, i miei pollici e i miei peli, come dimostra il fatto che anche chi si depila continua a essere se stesso, o almeno così dice. Allora chi sono?
Il cervello dell’homo sapiens sapiens, cioè il pezzo più pregiato di tutto il corpo e, per la precisione, quello che è valso a questa specie il tanto ambito titolo di “sapiens sapiens”. Chissà quanto pagherebbero i cani, i cavalli o i batteri della tubercolosi per fregiarsi di questo titolo: “Mycobacterium sapiens sapiens”, “homo tubercolosis”, fa tutto un altro effetto, eh? E invece una giuria altamente qualificata e imparziale ha stabilito che solo una specie vivente può andare in giro per l’universo a fregiarsi del titolo di sapiens sapiens e questo essere sono io, cioè io eccetera: il cervello dell’homo sapiens sapiens. Infatti, come chiunque può verificare, se si prende una persona e le si accende un frullatore nel cranio, si vedrà che poi non sarà più la stessa persona, sempre che sia ancora una persona. Quindi si può senz’altro affermare che io sono ciò che sono perché il mio cervello è così com’è, cioè io sono il mio cervello. Naturalmente esistono anche altre cose che fanno di me quello che sono, per esempio il temporale. Se il temporale non esistesse o fosse diverso io sarei una persona diversa, non so se tanto o poco, ma sicuramente diversa. Se per esempio i fulmini fossero profumati e se la pioggia salisse invece di scendere, io non reagirei come reagisco quando sento un tuono, non farei quello che faccio quando si alza il vento e non mi sentirei come mi sento quando inizia a piovere, cioè non sarei io. Quindi io sono ciò che sono perché il temporale è come è, cioè io sono il cervello e il temporale. E lo stesso vale per il sole, le formiche, l’acqua, eccetera, io sono tutte queste cose: sole, formiche, acqua, olmi, pulviscolo, escrementi, no, c’è qualcosa che non va. La proposizione “x è quello che è perché y è così com’è” non implica “x è y”, nemmeno quando x sono io e y è il cervello, il temporale o qualsiasi altro pezzo di materia. Io non sono materia.
Allora sono spirito. Ecco, io non ho mai capito la parola “spirito”. Fin da piccolo mi sono sempre immaginato una specie di sostanza invisibile che pervade l’universo e aleggia fra gli spazi interstellari facendo uuuOuuuOuuuOuuu... una via di mezzo fra l’etere aristotelico e il genio della lampada. Poi però mi hanno spiegato che non è così, che quando si parla di spirito si parla di metafisica. Metafisica... Già è difficile capire la fisica, figuriamoci la metafisica. Verrebbe da dire che un concetto come “spirito metafisico” sia una cosa da premio Nobel, se non fosse che ne parlano tutti: preti e baristi. Per questo tendo a pensare che si tratti solo di una delle tante parole-prezzemolo che la gente usa per insaporire i discorsi: uno ha un’opinione, ci butta dentro un po’ di spirito e poi la serve con aria fritta. Certo ci sono anche persone che usano questa parola con un significato preciso e comprensibile a una ristretta cerchia di dotti, peccato che vivano quasi tutte fra il Seicento e l’Ottocento. Io non vedo una grande e essenziale cosa senza nome per la quale ci sia bisogno di scomodare parole come “spirito”, “anima” o “svadigoz”. “Essere umano” va già benissimo.
Io, nel senso di io eccetera, sono un essere umano. “Essere” non inteso come sostantivo, se no tanto vale dire “spirito”, ma come verbo. Io eccetera non sono un homo sapiens sapiens, ma sono l’essere di un homo sapiens sapiens nel suo avere a che fare con tutto ciò con cui un homo sapiens sapiens ha normalmente a che fare: temporali, soli, formiche e naturalmente altri homo sapiens sapiens. Per esempio, io sono l’essere interessato a chiedermi chi sono. Sono l’interesse, non la bocca che esprime l’interesse, né tanto meno una bocca invisibile che aleggia nel mondo delle idee.
È curioso notare come certe frasi acquistino improvvisamente senso se al posto di “spirito” si mette “essere umano”. Non dico che diventino vere, ma perlomeno comprensibili. Per esempio: “I momenti della totalità dell’essere umano sono la coscienza, l’autocoscienza, la ragione e l’essere umano, cioè l’essere umano in quanto immediatamente essere umano, e non ancora coscienza dell’essere umano”. Tutto chiaro, no?