Carla aveva un sogno. Non si trattava di un piccolo sogno qualsiasi come i sogni degli uomini qualsiasi, che hanno grandi ambizioni ma sogni così piccoli che possono stare comodamente in un cassetto. No. Carla aveva un grande sogno, un sogno mai concepito da nessun altro essere vivente in nessuna parte dell’universo, o almeno così lei credeva: fare un figlio. E non un figlio qualsiasi, ma un figlio di Carla in persona.
Carla aveva questo sogno e, cosa che la faceva sentire ancora più speciale, ce l’aveva fin da quando era bambina. A differenza di tutte le sue amiche che perdevano tempo a giocare con le bambole, lei faceva pratica con piccoli figli di plastica: minuscole figure umanoidi che Carla accudiva, sbaciucchiava e istruiva con apposite voci buffe. Carla si sentiva una bambina prodigio.
Vanessa.
Sì, signora maestra.
Cosa farai da grande?
La dottoressa.
Brava. E tu, Paola?
L’ingegnere.
Giorgia?
L’astronauta.
E tu, Carla? Tu cosa farai?
Un figlio.
Cosa?
Un figlio di Carla.
Ma come tutte le bambine prodigio, Carla non veniva capita. Tutti la deridevano e la trattavano come se fosse stata pazza, ma era solo perché non comprendevano la grandezza del suo sogno:
fare un figlio
Così tutti i giorni, appena aveva un po’ di tempo libero, Carla si dedicava scrupolosamente alla realizzazione del suo sogno, con la sistematicità e la meticolosità che sono indispensabili ogni volta che si vuole fare qualcosa di veramente grande, ardito e, mi sia consentito dirlo, cuccioloso. Che fosse Natale o un 3 marzo qualsiasi, Carla si chiudeva nel suo laboratorio segreto detto “cameretta” e, per ore e ore, sperimentava su se stessa tutte le tecniche di fecondazione che riusciva a immaginare: rannicchiarsi sotto il letto aspettando in silenzio; accarezzarsi i capezzoli con la spugnetta bagnata; mettersi tante piccole uova di salmone nelle orecchie invocando l’aiuto di Priapo. Purtroppo nessuno di questi esperimenti produceva il risultato sperato, vale a dire una minuscola figura umanoide, possibilmente non di plastica.
Tutto andò avanti così per molto tempo finché un giorno, all’età di circa ventidue anni, Carla non entrò in bagno e, del tutto casualmente, trovò suo cugino Sandro che si stava facendo la doccia. Per Carla fu una rivelazione. Senza apparire esagerati, si può dire che Sandro è stato per Carla quello che per Newton è stata la mela, l’unica differenza è il punto in cui mela e Sandro sono, diciamo, caduti. Così, dopo nove mesi di paziente attesa, qualcosa di rumoroso e dall’aspetto decisamente figliesco uscì finalmente dal corpo di Carla, sotto gli occhi partecipi della comunità scientifica: medici e infermiere tutti lì riuniti ad ammirare il faticoso risultato delle ricerche di Carla. Ora nessuno osava più ridere di lei.
Quando Carla tornò a casa, venne accolta da tutti come colei che aveva strappato alla Natura uno dei suoi più rari segreti: l’origine della vita. Persino zia Irma, che sempre si mostrava fredda e tagliente nei suoi confronti, quel giorno si rivolse a lei con rispetto e, almeno così sembrava a Carla, una punta di invidia.
È meraviglioso. Veramente un amore.
È un figlio.
Brava Carla. Sei stata bravissima.
Non è difficile, zia Irma. Basta entrare in bagno quando Sandro fa la doccia. Il resto viene da sé.
Dopo alcuni giorni passati a riprendersi dallo sforzo, Carla pensò che fosse finalmente venuto il momento di mostrare anche all’opinione pubblica la sua eccezionale scoperta, così prese il figlio di Carla, lo mise in una specie di carrello da passeggio e lo trasportò fuori casa per esibirlo a tutto il mondo. Ma fu a questo punto che Carla ebbe una terribile sorpresa: appena fu in strada, notò che in giro c’erano tantissime altre persone, centinaia di persone, forse addirittura miliardi, che esibivano orgogliosamente un figlio del tutto analogo al suo. Evidentemente qualcuno le aveva rubato l’idea.
(Estratto da qui)