COSA REGALARE A SAN VALENTINO

Mancano solo cinque mesi a San Valentino e io non so ancora cosa regalarle. È difficile fare regali a chi conosci da tanto tempo: il libro gliel’ho già regalato, idem il dvd, il pensiero ben due volte e non è stato molto gradito, checché se ne dica. Una volta le ho regalato dei giochi di parole e la reazione è stata più o meno la seguente: fine della reazione. A volte penso che potrei regalarle dei fiori, ma sinceramente non ho mai capito a cosa servono. Che senso ha regalare un mazzo di fiori? Boh. E poi non vorrei ritrovarmeli per cena. C'è anche chi dice che la cosa più bella sia regalare dei soldi, così poi uno si compra quello che vuole, e secondo me è vero. Regalare degli oggetti precisi è rischioso, magari pensi di fare un piacere e invece stai solo dando un fastidio, come quelli che ti regalano un “bellissimo” portacandele artigianale e poi, quando vengono a trovarti, devi sempre ricordarti di andarlo a prendere in garage e metterlo sulla credenza. È molto fastidioso. Con i soldi invece non puoi sbagliare, così mi ero quasi convinto a farle trovare una busta con dentro un biglietto da 50 euro, magari accompagnato da una bella frase romantica tipo “50 euro per te, amore!”, ma poi ho notato che anche di questi biglietti ne ha già tanti, per cui niente, cosa le regalo? Perché deve sempre essere tutto così difficile? Ma San Valentino non aveva nient’altro da fare che fare regali alle fidanzate? Non poteva farglieli in silenzio?
Esco a fare un giro, forse un po’ di particolato ultrafine può aiutarmi a riflettere. Mentre cammino per strada, noto tutte queste persone immerse nelle loro faccende quotidiane e completamente ignare dell’imminenza di San Valentino. Pazzi.
Vado in palestra. Ho letto da qualche parte che fare ginnastica aumenta la circolazione dei neuroni nel sangue e questo è proprio quello di cui ho bisogno. Così entro in questo “covo di narcisisti senza dignità” (così si chiama la mia palestra) e subito mi metto agli attrezzi. Mentre sto facendo i tricipiti, noto che alla pectoral machine c’è Gino Strada.
“Ciao Luigi”, gli dico “ti spiace se ci alterniamo?”. Lui non sembra molto felice dell’idea, ma acconsente. È proprio vero che è una brava persona.
“Senti, Luigi”, gli dico “cosa potrei regalare a mia moglie per San Valentino?”.
“Sei sposato?”, mi dice lui.
“No”, gli dico io.
“Ah”, mi dice lui senza riuscire a nascondere un fremito di impalpabile perplessità che gli corse giù per la schiena come tante piccole briciole di ghiaccio pungente sotto il plumbeo cielo d’ottobre. Punto. Fine paragrafo. A capo.
Inizialmente mi parve perplesso, ma poi prese a cuore il mio dilemma e mi propose di danzare a casa sua. Timidamente, feci cenno di sì. “Feci”! Cazzo, lo sapevo! Cazzo! Ecco perché non uso mai il passato remoto. Ma come fanno gli scrittori a sentirsi a loro agio con tutti questi passati remoti? “Passati remoti”, giusto? O “passati remoto”? “Punti chiave”, “parole d’ordine”, “passati remoto”. Comunque, dico a Gino Strada di sì.
“Sì”, e aggiungo “danzerò per te”.
Lui alza i baffi in segno di pace e mi accompagna a casa sua a Borgo Panigale, dove ha un piccolo appartamento con vista sullo stabilimento della Ducati. Spettacolo. Mi fa salire in casa sua e in tinello trovo sua moglie Anna, una donna un po’ avanti con gli anni, diciamo 2065, molto gentile e ospitale, la quale mi spiega che loro bevono solo acqua del rubinetto perché è batteriologicamente più controllata dell’acqua in bottiglia. L’acqua in bottiglia, loro la usano solo per lavarsi le mani. In casa c’è anche la figlia Manila e un gatto di razza ariana di nome Osvaldo, molto cordiale e generoso. Subito mi offre un caffè (la moglie, non il gatto). Io le chiedo se per caso non ha una birra e lei mi accontenta senza problemi, peccato che me la porti calda, nera e dentro una tazzina da caffè.
“Zucchero?”, mi chiede.
Io guardo Gino Strada, perplesso, poi guardo di nuovo lei, poi guardo Gianfranco, poi Manila, poi fisso con attenzione Osvaldo che da quando sono entrato non mi ha mai tolto gli occhi di dosso. Lo sguardo di tutti sembra volermi dire una cosa sola: “chi cazzo è Gianfranco?”.
“Non metto lo zucchero” rispondo io, “ce l’avete un po’ di aspartame?”. Apriti cielo! Non l’avessi mai detto!
“Lo sai che l’aspartame è veleno?”, mi dice Anna (Anna, giusto?).
“No, signora”, dico io.
“Pensi di essere migliore di noi solo perché non metti lo zucchero nella birra?”, mi dice Gino Strada mentre addenta una prugna secca biologica del Commercio Equo e Solidale “lo sai quante vite ho salvato io, mercoledì?”.
“Non lo so” dico io.
“Spara”, dice lui.
“Boh? Mille?” dico io.
“Esagerato!” mi disse lui con la voce segnata da anni ed anni di avversità ed intemperie nei luoghi più infausti di questo sventurato eppur bellissimo pianeta che siamo soliti chiamare Terra sotto un cielo plumbeo di ottobre. Punto. Fine paragrafo. Musica malinconica nella testa del lettore. A capo.
E fu in quel momento che feci CAZZO NO! Basta! Feci qui, feci là… non se ne può più! Le regalo dei fiori. Ho deciso! In fondo è verdura.