LA MIA STORIA CON PETER DEL MONTE

Premessa.
Per apprezzare pienamente la drammaticità di questa storia, bisogna tenere presente che una delle cose che più mi terrorizzano è parlare in pubblico, e non sto usando il verbo "terrorizzare" tanto per dire. Per me parlare in pubblico è sullo stesso livello terroristico di trovarmi su una bagnarola in mezzo all'oceano indiano e scoprire che nella cabina dove dormo c'è almeno un topo, cosa che mi è successa veramente e che posso documentare per mezzo di questa foto del sapone rosicchiato.


Avrei anche altre foto molto più impressionanti da esibire, ma preferisco conservarle per quando scriverò il post "La mia storia con Betsy" (Betsy è il nome dell'almeno un topo).
Se so che un certo giorno devo parlare in pubblico (cosa che per fortuna succede molto raramente), io inizio a preoccuparmi giorni prima, a volte settimane prima, e man mano che il giorno si avvicina la mia stessa preoccupazione inizia a preoccuparmi, togliendomi ogni serenità e impedendomi di fare qualsiasi altra cosa che non sia prefigurarmi scenari catastrofici di pubblica umiliazione quando finalmente arriverà il momento di dovermi rivolgere formalmente alla folla (dove con "formalmente" e "folla" intendo, rispettivamente: "fingendo di essere una persona seria" e "più di tre persone"). Non so esattamente di cosa io abbia paura, ad ogni modo, qualsiasi cosa sia, mi terrorizza.
Fine della premessa.
La mia storia con Peter Del Monte è durata solo una sera, ma è stata molto emozionante, almeno per me. Per chi non lo sapesse, Peter Del Monte è un regista italiano. Non so se attualmente stia ancora proseguendo questa sua attività, a dir la verità non so nemmeno se è ancora vivo, visto che l'episodio che sto per raccontare risale a circa 25 anni fa, quando io ero ancora un ragazzo e lui un attempato signore (Wikipedia mi ha appena informato che è ancora vivo e ha 78 anni. Ottimo).
Una sera io e una mia amica andiamo al cinema a vedere "Compagna di viaggio" di, appunto, Peter Del Monte. Forse è più preciso dire che questa mia amica (la chiameremo Natalya) mi ha trascinato a vedere questo film. Io non avrei mai scelto di mia iniziativa e nel pieno delle mie facoltà mentali di fare lo sforzo di uscire di casa per andare a vederlo, e non tanto perché all'epoca avessi dei pregiudizi negativi sul regista in questione (neanche sapevo chi fosse), ma perché avevo dei pregiudizi negativi sul cinema italiano in generale, pregiudizi che col tempo si sono trasformati in giudizi.
Per qualche motivo i film italiani non mi sembrano neanche film. Salvo rare eccezioni (Visconti, Bertolucci, Leone e qualcun altro), i film italiani mi sembrano perlopiù dei montaggi di riprese di persone che fanno finta di fare un film, e questo al di là del giudizio positivo (quasi mai) o negativo (quasi sempre) che io posso avere sul film in questione. Per esempio, prendiamo un film italiano pressoché unanimamente lodato sia in Italia che all'estero: "Profondo rosso". L'ho visto per la prima volta l'anno scorso e devo dire che mi è sembrato un film intelligente e con tante trovate simpatiche, ma è davvero un film? Mentre lo guardavo non mi è mai successo quello che mi succede di solito con i film veri (belli o brutti che siano), e cioè che mi dimentichi di stare guardando un film e mi immerga completamente nella storia. Con "Profondo Rosso" mi sono ritrovato per tutto il tempo chiuso fuori dal film e intanto pensavo "ah, che bravi questi ragazzi che fanno finta di fare un film!", e questo è quello che di solito penso mentre guardo un film italiano che mi piace, quando invece guardo un film italiano che non mi piace, penso "ah, che incapaci questi ragazzi che fanno finta di fare un film!". Questo è più o meno il motivo per cui ogni volta che posso evito di guardare film italiani, drammatici o comici, vecchi o nuovi, di cosiddetto autore o di cosiddetto genere, tutti quanti, perché so già a che tipo di esperienza vado incontro ed è un'esperienza che non mi interessa, ma quella sera evidentemente mi andava di uscire, fare due chiacchiere, bere una birretta in compagnia e pazienza se prima dovevo sorbirmi un film italiano. Che sarà mai? Mi sono detto, male che vada mi annoierò per un'ora e mezza.
Del film non ricordo praticamente niente. Ricordo che c'era Asia Argento molto giovane e un famoso attore francese molto anziano, forse c'era anche un treno, o un pullman, ma magari mi sto facendo influenzare dal fatto che nel titolo c'è la parola "viaggio". Ricordo del sentimentalismo, qualche musichetta fastidiosa, una realizzazione vagamente amatoriale e poi basta, non ricordo nient'altro. Ricordo che c'erano anche uno o due flashback col tipico effetto flashback, ma questo è un dettaglio che mi ricordo non per il film, ma per quello che dirò dopo.
Finito il film e finiti i titoli di coda, che guardo diligentemente seduto in silenzo come richiesto dall'etichetta (era un cinema di cosiddetto essai e non volevo fare brutte figure), si accendono finalmente le luci e io mi predispongo mentalmente a pregustare le mia meritata birretta, ma sorprendentemente nessuno si alza, nemmeno Natalya. Come mai? Che ci sia una scena dopo i titoli di coda come nei film Marvel?
Guardo Natalya cercando di comunicarle con lo sguardo il concetto "che ne diresti se ci mettessimo alle spalle questo brutto film e ci precipitassimo dal più vicino rivenditore di birrette?", ma lei si limita a sorridere e mi dice "film carino, vero?". Per Natalya i film si dividono in "bellissimi", "belli" e "carini", è una persona troppo buona per ferire i sentimenti di un film. Per me invece i film si dividono in "belli", "insignificanti" e "brutti", ma alla fine intendiamo la stessa cosa e quindi le rispondo "sì, carino". Ormai però ho capito che c'è qualcosa che mi sfugge e proprio mentre sto per chiederle se per caso stiamo aspettando qualcosa o qualcuno di cui non sono al corrente, vedo entrare in sala il gestore del cinema che accompagna cerimoniosamente un signore attempato. A quanto pare, dopo il film, era previsto il famoso dibattito col regista in sala. Gesù Cristo, penso.
Ora, per capire meglio la situazione: la sala era una piccola sala di un piccolo cinema di un piccolo paese di campagna, in inverno, con la nebbia che quasi vedevi entrare sotto le porte delle uscite di sicurezza e un vago odore di letame, e a vedere il film saremo stati in sette o otto, io e Natalya compresi, cioè, in sintesi, una situazione per cui la lingua italiana mette a disposizione una parola ben precisa: "squallida". Ah, c'era anche un altoparlante che, appena finito il film, si era messo a fare un rumore intermittente che potremmo onomatopeicamente descrivere così: bzzz... bzzz... ecco, in questa situazione viene presentato il regista e sceneggiatore Peter Del Monte, autore di questo e quest'altro film mai sentiti, vincitore di non so più quale oggetto d'oro e/o d'argento, dopo di che gli viene passato il microfono ed ecco finalmente le prime parole pronunciate da Peter Del Monte nella mia vita: "non ditemi che avete guardato il film con questo rumore".
Proprio così, non "buona sera e grazie per essere qui" o "spero che il mio film sia stato di vostro gradimento", no, "non ditemi che avete guardato il film con questo rumore".
Silenzio.
Magari ha il terrore di parlare in pubblico, penso. Noi persone terrorizzate dal parlare in pubblico siamo spesso laconiche e sbrigative e possiamo dare l'impressione di essere degli stronzi altezzosi. Nessuno dice niente, neanche il gestore del cinema, che si limita a chiedere "Ci sono domande?".
Silenzio.
"Nessuna?".
Silenzio.
"Domande, commenti... qualsiasi cosa?"
Silenzio.
Bzzz... bzzz...
Silenzio.
Il gestore è chiaramente in imbarazzo, non sa più che dire, mentre Peter Del Monte se ne rimane lì immobile, pietrificato col suo microfono in mano e, com'era prevedibile, inizia a farmi pena. Proprio così, perché non importa se una persona mi è antipatica o simpatica, se la vedo in difficoltà non riesco a impedirmi di provare pena. Penso a questo povero regista misconosciuto e un po' avanti con gli anni che è venuto fin qui da chissà dove, forse addirittura da Roma, con la sua giacca buona, i capelli lavati, pieno di speranze e aspettative, e invece di trovarsi in una bella sala con un pubblico entusiasta, si ritrova in uno piccolo cinema di cosiddetto essai, in un oscuro paesino in mezzo alla nebbia e al letame, davanti a sette o otto persone che non vedono l'ora di avere il via libera per andare a bere una birretta con Natalya.
Il gestore guarda l'orologio.
Silenzio.
Decido di immolarmi. Non importa se parlare in pubblico è come avere un topo in camera da letto, io non ce la faccio a vedere Peter in quello stato di imbarazzo, così decido di chiedere il microfono e fare una domanda. Una domanda a caso, la prima che mi viene in mente, giusto per rompere il ghiaccio e fargli capire che non tutti siamo qui per andare a bere una birretta con Natalya, c'è qualcuno che è venuto qui per te, Peter, per te e il tuo bellissimo film.
"Come mai questa questa scelta dei flashback?".
Ok, è una domanda del cazzo, ma segnala un interesse, no? Un interesse finto, certo, ma lui che ne sa? E poi in ogni caso gli dà modo di dire qualcosa, magari diffondersi in teorie cinematografiche, che ne so, svelare dei particolari sulla realizzazione del film eccetera, sai quante cose si possono dire partendo da un piccolo particolare insignificante?
"In che senso?", mi risponde lui.
Silenzio (e questo silenzio mi sembra durare molto di più di quelli precedenti).
"Eh, beh... cioè...", e adesso cosa cazzo dico?, "non so, magari per introdurre quei ricordi potevano esserci altre soluzioni? Cioè, chiedo...".
"No".
Così, secco: "no",  senza aggiungere nient'altro. Un "no" che riechegga nella sala: no... no... no... bzzz... no... 
Natalya non mi guarda, ma noto che ha lo stesso colore delle poltrone del cinema. Non c'è modo di girarci intorno, ho fatto una figura di merda e questa non è l'unica cosa che capisco, capisco anche che il precedente silenzio di Peter Del Monte non era timidezza, ma fastidio, era infastidito per la situazione evidentemente non all'altezza della sua autostima in cui si trovava e stava sfidando il pubblico, era una cosa tipo "se voi non parlate, non parlo nemmeno io, brutti bifolchi che avete osato deturpare la mia opera col vostro sguardo di campagna".
Un obiettivo però la mia domanda lo raggiunge: rompere il ghiaccio. Infatti dopo di me c'è un altro tizio che chiede la parola, anche se in realtà, quando gli portano il microfono, non fa nessuna domanda vera e propria, ma inizia un lungo panegirico sul regista e sceneggiatore Peter Del Monte, prodigandosi in lodi e elogi per almeno cinque minuti (e così alla fine qualcuno era davvero venuto apposta per Peter Del Monte). "Se io sono stato trattato così malamente per una domanda insignificante" penso, "come verrà trattato questo qua che gli sta leccando il culo senza vergogna in modo così spudorato?". All'epoca ero molto ingenuo. Quando il tizio finisce, Peter Del Monte gli risponde (testuali parole, non mi invento niente): "lei è il mio spettatore ideale".
Spettatore ideale? Un leccaculo prolisso che ha parlato per cinque minuti, forse di più, senza dire niente e senza dare nessuno spunto per una qualsiasi risposta più articolata di un semplice "grazie"? 
Eppure dice proprio così "lei è il mio spettatore ideale", dopo di che Peter Del Monte si mette a parlare del suo film per un'ora e mezza filata, con naturalezza, tutto contento, senza più bisogno di altre domande o imbeccate. Addio birretta.
"Come ti è sembrata la mia performance con Peter Del Monte?", chiedo a Natalya mentre la riaccompagno a casa.
"Carina".