Supponiamo che io sia andato al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi sia piaciuto per niente. Scriverò:
“Sono andato al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi è piaciuto per niente”.
Ma non è questo il modo in cui lo scriverebbe un grande scrittore. Un grande scrittore, prima di tutto, userebbe il passato remoto.
Regola 1. Tutti i grandi scrittori usano il passato remoto:
“Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Regola 2. I grandi scrittori non dicono mai le cose così, spiattellate nude e crude, ma le accompagnano sempre con indicazioni meteorologiche, come “era una gelida sera d’inverno” o “era un torrido pomeriggio d’estate”. Per essere un po’ più originali, dopotutto abbiamo alle spalle secoli di gelide sere d’inverno e torridi pomeriggi d’estate, si potrebbe scrivere “era un gelido pomeriggio d’estate”. Inoltre è molto importante dire com’era il cielo. Il cielo ha sempre qualcosa di speciale nei grandi romanzi: il cielo era terso, il cielo era cupo, il cielo era grigio, il cielo era viola, giallo, rosso, arancione, beige. Mai una volta che il cielo non sia niente di speciale.
“Era un gelido pomeriggio d’estate e il cielo non era niente di speciale. Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Regola 3. Nei grandi romanzi ci sono sempre le descrizioni, è una cosa che salta all’occhio. Un divano non è un divano e basta, è un divano laccato di un nero funereo e rivestito di gramaglie; il viso è calmo dai lineamenti fini e regolari; la stanza è non molto ampia, tappezzata di giallo, con gerani e tendine di mussola alle finestre, in quel momento illuminata dai bagliori del tramonto.
“Era un gelido pomeriggio d’estate e il cielo non era niente di speciale. Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, un regista un po’ tarchiato dalla testa calva e allungata, illuminata dai bagliori del tramonto, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Inizia a migliorare, eh?
Regola 4. Importantissimo: usare sempre parole poco comuni, parole che facciano subito capire la grande cultura di chi scrive. È una cosa che fanno tutti i grandi scrittori, e, a dire la verità, anche tutti i carabinieri. Basta sostituire ogni parola con un sinonimo insolito.
“Era un polare meriggio del solleone e la sfera celeste non aveva nulla di distintivo. Mi recai al cinematografo a scrutare l’estrema pellicola di Un Verde Intenso, un coordinatore cinematografico un poco membruto dalla cucurbitacea glabra ed ellissoidale, rischiarata dai fulgori del vespro, giusto per fare due risate, e non ne godetti affatto”.
Regola 5. È anche importante inserire qua e là delle considerazioni poetico-filosofiche, indispensabili per dare spessore al racconto. Per esempio, si potrebbe proseguire con una riflessione sull’importanza del buon umore.
“Codesto avvenimento m’immalinconì a tal segno che mi sentii dolere nel più profondo centro di me stesso. Una vera débacle spirituale mi scosse i più remoti precordi della mia interiorità, già così impietosamente stordita da una lugubre e seriosa esistenza priva di gioia, quella gioia che nondimeno io ebbi a conoscere tempo addietro, quando ella allietava i miei infantili e lontani giorni di pargoletto nano. Io ti vedo, o gioia, novella derviscia che rotei le tue lucenti vesti caleidoscopiche dinanzi al mio terzo occhio, per così dire, e sorda al mio profondo corruccio, ahimè, non sciogli la catena che mi serra il cuore. Sapessi qual tetro canone inverso è l’anima mia!”
“Sono andato al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi è piaciuto per niente”.
Ma non è questo il modo in cui lo scriverebbe un grande scrittore. Un grande scrittore, prima di tutto, userebbe il passato remoto.
Regola 1. Tutti i grandi scrittori usano il passato remoto:
“Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Regola 2. I grandi scrittori non dicono mai le cose così, spiattellate nude e crude, ma le accompagnano sempre con indicazioni meteorologiche, come “era una gelida sera d’inverno” o “era un torrido pomeriggio d’estate”. Per essere un po’ più originali, dopotutto abbiamo alle spalle secoli di gelide sere d’inverno e torridi pomeriggi d’estate, si potrebbe scrivere “era un gelido pomeriggio d’estate”. Inoltre è molto importante dire com’era il cielo. Il cielo ha sempre qualcosa di speciale nei grandi romanzi: il cielo era terso, il cielo era cupo, il cielo era grigio, il cielo era viola, giallo, rosso, arancione, beige. Mai una volta che il cielo non sia niente di speciale.
“Era un gelido pomeriggio d’estate e il cielo non era niente di speciale. Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Regola 3. Nei grandi romanzi ci sono sempre le descrizioni, è una cosa che salta all’occhio. Un divano non è un divano e basta, è un divano laccato di un nero funereo e rivestito di gramaglie; il viso è calmo dai lineamenti fini e regolari; la stanza è non molto ampia, tappezzata di giallo, con gerani e tendine di mussola alle finestre, in quel momento illuminata dai bagliori del tramonto.
“Era un gelido pomeriggio d’estate e il cielo non era niente di speciale. Andai al cinema a vedere l’ultimo film di Verdone, un regista un po’ tarchiato dalla testa calva e allungata, illuminata dai bagliori del tramonto, giusto per fare due risate, e non mi piacque per niente”.
Inizia a migliorare, eh?
Regola 4. Importantissimo: usare sempre parole poco comuni, parole che facciano subito capire la grande cultura di chi scrive. È una cosa che fanno tutti i grandi scrittori, e, a dire la verità, anche tutti i carabinieri. Basta sostituire ogni parola con un sinonimo insolito.
“Era un polare meriggio del solleone e la sfera celeste non aveva nulla di distintivo. Mi recai al cinematografo a scrutare l’estrema pellicola di Un Verde Intenso, un coordinatore cinematografico un poco membruto dalla cucurbitacea glabra ed ellissoidale, rischiarata dai fulgori del vespro, giusto per fare due risate, e non ne godetti affatto”.
Regola 5. È anche importante inserire qua e là delle considerazioni poetico-filosofiche, indispensabili per dare spessore al racconto. Per esempio, si potrebbe proseguire con una riflessione sull’importanza del buon umore.
“Codesto avvenimento m’immalinconì a tal segno che mi sentii dolere nel più profondo centro di me stesso. Una vera débacle spirituale mi scosse i più remoti precordi della mia interiorità, già così impietosamente stordita da una lugubre e seriosa esistenza priva di gioia, quella gioia che nondimeno io ebbi a conoscere tempo addietro, quando ella allietava i miei infantili e lontani giorni di pargoletto nano. Io ti vedo, o gioia, novella derviscia che rotei le tue lucenti vesti caleidoscopiche dinanzi al mio terzo occhio, per così dire, e sorda al mio profondo corruccio, ahimè, non sciogli la catena che mi serra il cuore. Sapessi qual tetro canone inverso è l’anima mia!”