VITA DA BERLUSCONI

Cito testualmente da un manuale di storia del 2145.

Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi, detto Silvio, nacque il 12 aprile 1945, giorno dello storico armistizio di Lubiana con cui Hitler e Ben Gurion posero fine alla Seconda Guerra Civile Mondiale. Un segno del destino? Sì.
Vide la luce ad Alessandria d’Egitto, a bordo della leggendaria Biblioteca galleggiante di Babylonia. La madre era una grande studiosa di testi antichi (per esempio fu lei a scoprire che “Corano” si scrive tutto attaccato), e un giorno, mentre era immersa nella lettura di un antichissimo numero di Gente, partorì senza accorgersene sul pavimento, sotto gli occhi faraonici del padre Vittorio Emanuele di Savonarola e delle tre Grazie: Cloto, Lachesi e Atropo.
Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi venne al mondo a cavallo, ma senza procurare dolore, già dotato di parola e di una foltissima chioma bionda, che conserverà intatta fino alla fine dei suoi giorni, giovedì scorso. Appena sgusciato dall’ovulo guardò solennemente i genitori e disse “due sei undici venti trentotto cinquantasei!”. Era la combinazione vincente del Superenalotto. Ecco perché ancora oggi il 12 aprile si celebra la festa della Cornucopia, l’animale preistorico che simboleggia l’abbondanza.
A soli due mesi aveva già la patente, a sei sapeva leggere e cantare, a un anno era laureato in Lettere Antiche, Moderne e Future con il massimo dei voti: un miliardo.
Fin da ragazzo era tenuto in altissima considerazione da tutti per la sua sapienza e le non comuni capacità di giudizio (nonché per la folta chioma bionda). Tutta la popolazione si recava da lui per avere consiglio, persino i più dotti fra i conduttori televisivi. Per questa ragione era anche detto “il Presidente del Consiglio”.
Un giorno si presentò al suo cospetto una donna. Era di nobile stirpe, come testimoniava il notevole intervento di mastoplastica additiva, ma era caduta in disgrazia a causa del fisco, oggi come allora più corrosivo dell’acido citrico. Aveva otto figli da sfamare e due soli capezzoli (più di tanto la mastoplastica non riusciva ancora a fare), perciò chiese consiglio a Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi: quale bocca sfamare? Egli ascoltò la terribile questua passandosi le mani fra gli innumerevoli capelli dorati e disse: “donna, io rimetterò la decisione al voto del popolo. Questo farò”. E così fece, e il popolo votò Berlusconi.
Fu così che nacque la democrazia.
Erano tempi ostici, non c’era l’acqua potabile né il digitale terrestre, e l’odio e l’invidia imperversavano per tutto il mondo, isole comprese. Era giusto tenere tutta quella sapienza solo per sé? No.
Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi chiamò a sé gli uomini più coraggiosi e sapienti del tempo (“venite!”, disse) e con loro salpò verso l’ignoto, come già un tempo fecero i mitici Argonauti alla ricerca del Vitello d’Oro. Ma la sua missione era se possibile ancora più ripida, in una parola: libertà. In due parole: libertà, libertà. E così via. Gli egizi salutarono il glorioso vascello piangendo sul latte versato (vecchia usanza egizia) e il giorno seguente innalzarono in onore del Presidente del Consiglio e dei suoi Libertanauti le famose piramidi di Ghisa, monumenti che ancora oggi sventolano contro il cielo stellato (di notte) sfidando ogni logica.
Fu un viaggio lungo e disidratante, più e più volte il nobile e capelluto condottiero fu lì lì per perdersi d’animo, ma come Ulisse aveva il suo Actarus, così Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi poteva sempre contare sul suo fido cane Sandro. Insieme affrontarono e sconfissero i ciclopi, i lupi mannari e i temibili comunisti, i barbari adoratori del salario che vivevano al di là delle mura di Berlino, beffati con il leggendario stratagemma del cavallo di Berlino.
Appena sbarcati alle froge del fiume Po, Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi e i suoi videro venire loro incontro due uomini su un cocchio trainato da maiali. Erano Raus e Raptus, emissari del vecchio sovrano del luogo: il potente Ictus, metà uomo e metà niente. Chiesero a Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi chi fosse e da dove venisse. Egli rispose semplicemente “Silvio”, per modestia, e aggiunse “sono venuto a liberarvi dall’ignoranza”. La sua chioma luminosa ondeggiava mossa dal vento. Raus e Raptus lo guardarono incomprensibili, allora Silvio ridisse “so gni fin chi a libràv da l’ignuransa” (oltre che un gentleman era anche un fine poliglottide). Queste parole piacquero molto a Ictus, il quale offrì a Silvio la mano di sua figlia Cenerentola.
Silvio prese la mano di Cenerentola e distribuì il resto ai suoi uomini (era molto generoso), quindi rese grazie a Dio (“grazie!”, disse) e diede finalmente il via (“via!”) alle Grandi Riforme Liberali che tutti conosciamo, per esempio: libertà, libertà e libertà. Ciò lo rese l’essere umano (e non) più amato in tutto il mondo civile (ma anche in quello incivile non è che fosse poi così disprezzato), e ancora oggi, qualsiasi giorno sia, nel punto esatto del campo in cui è sceso sorge un gigantesco monumento celebrativo della sua sbalorditiva vita: una sbalorditiva faccia di bronzo.
Riuscirà mai qualcuno a eguagliare i suoi memorabili gesti? No.

SBALLARÒ

Più soldi alla ricerca.

Più soldi alla sicurezza.

Più soldi alla ricerca della sicurezza.

Un italiano su tre viene stuprato almeno una volta su cinque, soprattutto donne, vecchi e bambini.

Non è quello che dicono i dati.

Non interrompermi, io non ti ho interrotto.

Ho qui i dati ufficiali e dicono l’esatto contrario.

Io ho i dati dell’istituto nazionale di dati nazionali e dicono che i tuoi dati non sono ufficiali.

In Europa siamo il fanalino di coda negli stupri agli stupratori ufficiali, solo la Grecia fa peggio di noi.

Più soldi alla Grecia.

È discriminazione razziale.

Tutte le democrazie avanzate fanno discriminazione razziale.

Una settimana fa hai dichiarato “tutte le democrazie avanzate non fanno discriminazione razziale”.

Non è vero.

È vero.

Non è vero.

È vero.

Non è vero.

Forse vuoi dire che è una frase estrapolata dal contesto.

È una frase estrapolata dal contesto, avevo detto “non tutte le democrazie avanzate non fanno discriminazione razziale”.

Capisco che sei in difficoltà, ma dici cose false.

È questo che dite a chi non arriva alla fine del mese?

Abbiamo presentato un disegno di legge che riduce la durata dei mesi.

Così torneranno liberi di delinquere.

Questa è demagogia.

Non è quello che dicono i sondaggi.

I maggiori istituti demoscopici dicono che è demagogia.

Non i maggiori istituti demagogici.

Via la demoscopia dalle strade.

I veri criminali non sono i sondaggisti ma i loro clienti.

Dov’eravate quando abbiamo votato l’emendamento che non avete votato?

Lo abbiamo votato.

Tutti ricordano che siete scesi in piazza contro l’emendamento che non avete votato.

Quello era l’emendamento che abbiamo votato in piazza, l’emendamento che non abbiamo votato lo abbiamo votato eccome.

Non è vero.

È vero.

Non è vero.

La gente a casa ricorda benissimo.

I miei dati dicono che la gente a casa non ricorda un bel niente.

Ho qui i ricordi della gente a casa, se vuoi te li leggo.

Ce li ho anch’io e dicono l’esatto contrario.

Forse non hai i ricordi ufficiali.

Ho i ricordi della gente a casa diffusi dal ministero della gente a casa.

Questo non è il contrario di quello che ho detto.

Questa è demagogia.

Già detto.

Non è quello che dicono i dati.

Quali dati?

Gli stupratori a casa hanno capito benissimo.

Più soldi agli stupratori.

Più stupratori a soldi.

Più soldi a più soldi.

...

...

...

Non interrompermi, io non ti ho interrotto.

ESPERIMENTI SULL’ISTINTO MATERNO

Si dice che le donne abbiano una cosa chiamata istinto materno. Stando alle testimonianze dirette questo istinto consisterebbe nella voglia insopprimibile di espellere una creatura da accudire, allattare e esibire a bordo di un passeggino. Al momento la sua esistenza non è stata ancora dimostrata, ma pare che sia proprio a causa dell’istinto materno se persone nel pieno possesso delle loro facoltà mentali decidono di far uscire da un loro orifizio una cosa molto più grande dell’orifizio stesso. Il semplice amore per i bambini non è una motivazione sufficiente, dal momento che esistono persone che amano molto il vino, ma non per questo sono disposte a farsi uscire una bottiglia dal sedere.
Un’altra prova dell’esistenza dell’istinto materno sarebbe il fatto che le donne nascano dotate di mammelle (per allattare), di lunghe dita affusolate (per maneggiare i pannolini) e di una grande abilità nell’addormentarsi dopo cena (per prepararsi alle notti in bianco). Inoltre, e questa sarebbe la prova decisiva, fin da bambine amano accudire, allattare e esibire a bordo di passeggini piccole riproduzioni di esseri umani.
Ma sarà vero?
Per verificarlo ho pensato a un esperimento semplice e divertente. Si prendano centomila bambine di età inferiore ai due anni e le si divida in due gruppi. A un gruppo si consegnino giocattoli tradizionali, come piccole riproduzioni di esseri umani, piccole riproduzioni di cucine, piccole riproduzioni di aspirapolveri, eccetera, mentre all’altro gruppo si diano dei piccioni morti, quindi si prendano uno o più sacchetti di patatine e si osservi la scena comodamente sdraiati sul divano. Si noterà che le bambine coi piccioni morti si divertono tanto quanto le altre.
Risultato: un bambino piccolo gioca con quello che gli dai. Dai suoi giocattoli non è possibile desumere un istinto materno, paterno o nonnesco, ma al massimo l’istinto conformista dei genitori.
Ha senso parlare di istinto nel caso degli esseri umani?
Quando un cane seppellisce un osso e fa pipì dappertutto, non ha idea di quello che sta facendo, segue un istinto, come un computer segue le istruzioni di un programma, ma non succede mai che un uomo si sorprenda a fare cose di cui non conosce il significato.


Che fai?

Eh?

Perché stai seppellendo lo scooter in giardino?

Non lo so. Sento che devo farlo.

Mettilo in garage, no?

E ora che succede?

Credo tu stia marcando il territorio.


A questo proposito ho pensato a un altro esperimento.
Si prenda un neonato e lo si abbandoni nella giungla alle cure di due scimmie: Giulia e Francesco. I nomi non sono essenziali, servono solo per illudersi che sia in buone mani. Dopo cinque anni si torni nella giungla e gli si regali un peluche: cercherà di mangiarlo. Questa bambino sarà in tutto e per tutto uguale a una scimmia: salterà da un albero all’altro, mangerà le formiche infilando un rametto nei formicai e dirà cose come “uh-uh”, non “io Tarzan, tu Jane”. Se invece si educa una scimmia con tutte le cure e la si manda nelle migliori scuole, si comporterà sempre in tutto e per tutto come una scimmia: salterà da un albero all’altro, mangerà le formiche e voterà Lega Nord.
Risultato: gli animali fanno quello che dice l’istinto, gli esseri umani quello che imparano. Anzi quello che imitano. Il cervello dei bambini è come il DAS: prende subito la forma che vuoi e poi si secca.
Questo può essere dimostrato col seguente esperimento.
Si produca un bambino e lo si faccia crescere in laboratorio, in modo che tutte le persone con cui entra in contatto (genitori, insegnanti, preti, eccetera) camminino rigorosamente a testa in giù. Gli si raccontino solo fiabe con gente che cammina a testa in giù e si capovolgano tutti i televisori del laboratorio. Questo bambino imparerà a camminare un po’ più tardi del solito, ma imparerà, e quando imparerà camminerà a testa in giù, farà pipì nel lavandino e si laverà i denti nel water. Al suo trentesimo compleanno, quando sarà sposato con una moglie a testa in giù e avrà i suoi figli a testa in giù, lo si faccia uscire per la prima volta dal laboratorio e lo si porti in corso Buenos Aires a Milano. Si osservi attentamente la sua faccia: sarà molto simile a quella che deve aver fatto Cristoforo Colombo quando ha visto tutta quella gente nuda con le penne in testa. Quindi gli si chieda cosa pensa di quelle persone che camminano sulle proprie gambe: risponderà che camminare in quel modo è una cosa bizzarra e innaturale, forse comoda, chissà, ma di certo il buon Dio non ci ha fatto le gambe per usarle in quel modo.
Risultato: istinto materno mia nonna.

PROCREAZIONE ASSISTITA

BIGINO DI BIOETICA

I seguenti concetti non hanno nessuna pretesa di esaustività, sono solo un rapido prontuario bioetico per chiunque debba andare a Porta a Porta a parlare di genetica con Alba Parietti.

Vita.
La definizione di vita non è importante, tanto non la chiedono mai. Quello che è importante è che è appunto una definizione: un giorno delle persone in camice hanno deciso che tutti i fenomeni fisici che soddisfano le condizioni “a”, “b” e “c” si chiamano vita. Avessero aggiunto anche la condizione “d”, probabilmente ora certa gente sarebbe classificata come minerale.
“Vita” è un concetto utile a scopi scientifici, come le classificazioni tassonomiche, ma completamente inutile per capire se sia giusto o ingiusto surgelare un embrione.

Vita umana.
Ogni fenomeno fisico che soddisfi le condizioni “a”, “b”, “c” e “d”.
Ma che importa? Se per caso si scoprisse che gli abitanti dell’Isola d’Elba sono vita non umana, allora sarebbe giusto surgelarli? Supponiamo che un’approfondita indagine genetica dimostrasse che gli abitanti dell’Isola d’Elba non sono umani, ma appartengono a una specie completamente diversa: gli Equus Sapiens, allora possiamo macellarli? O forse bisogna modificare la definizione di vita umana? “Fenomeno fisico che soddisfi le precedenti condizioni e sia dotato di zoccoli”. È proprio questo tipo di ragionamenti che porta ai genocidi: squalifichi uno dalla razza umana e poi te lo mangi. In realtà eliminare Nome Ecognome non è un crimine perché è vita umana, è un crimine perché è Nome Ecognome.

Persona.
Come tutte le parole con più significati, è l’epicentro di ogni accapigliamento. La gente pensa di litigare sul senso dell’esistenza, la dignità della vita, la giustizia divina, e invece sta litigando sul significato di una parola. Che cos’è una persona? C’è la persona fisica, la persona giuridica, la persona grammaticale eccetera, ma in una discussione sul giusto e l’ingiusto, l’unica persona di cui ha senso parlare è “l’essere umano in quanto tale”. Sembra una definizione di Aristotele, invece è il dizionario.
Che cosa significa essere umani? Essere vivi? Certamente è possibile essere umani grazie all’essere vivi, ma le due cose non coincidono. Anche un telefilm è possibile grazie al televisore, ma un telefilm e il televisore non sono la stessa cosa, nessuno si siederebbe davanti a un televisore spento, così come nessuno chiacchiererebbe con uno che dorme, eppure è vita umana. Essere umani non significa essere vivi, significa lamentarsi del brutto tempo, andare in pizzeria con gli amici, non vedere l’ora di andare in vacanza eccetera, è questa la differenza fondamentale fra una persona e una ruota di scorta, non che una persona è vita umana e la ruota di scorta no. Se una ruota di scorta si lamentasse del brutto tempo, andasse in pizzeria con gli amici e non vedesse l’ora di andare in vacanza, sarebbe in tutto e per tutto una persona, pur non essendo vita umana e nemmeno vita.

Embrione.
È vita umana? Sì. È una persona? No. Questo vuol dire che è giusto farsi una spadellata di embrioni al curry? No, vuol solo dire che un embrione non è una persona, tutto qui. Domani sarà una persona, forse, oggi è un embrione. Sarebbe un errore trattarlo come se fosse un bambino, semplicemente perché non lo è, così come sarebbe un errore trattare un bambino come se fosse un vecchio, o un vecchio come se fosse un cadavere. Domani sarà un cadavere, forse, oggi è un vecchio. Questo vuol dire che è ingiusto seppellire i vecchi quando respirano? Sì.

Giusto / Ingiusto.
Vedi il dizionario.

Valore.
Il valore di una cosa (la sacralità della vita, l’importanza del cacciavite, la bontà del maiale) non è dentro la cosa né in un metafisico mondo dei valori, ma nella testa delle persone. Questo non significa che le cose non abbiano nessun valore, ma che quei valori non stanno nel posto che dice la tv. Se scomparissero dall’universo tutte le persone, la vita non sarebbe più sacra, il cacciavite non sarebbe più importante, il maiale non sarebbe più buono. Per capire se una cosa è giusta o ingiusta, non serve a niente studiarla al microscopio o consultare un testo sacro, bisogna parlare con le persone.

RISOLVERE LA MORTE

1.
La vita può essere divisa in due parti, una parte in cui non ci si preoccupa della morte perché tanto arriva nella seconda parte e una seconda parte. Si potrebbero chiamare due tempi, come al cinema: il film è la vita, i titoli di coda sono la morte e quelli che parlano al telefono sono i religiosi, convinti che esista una vita ultracinematografica. Per il resto la differenza è che mentre al cinema vai spontaneamente, nella vita vieni sbattuto a forza, senza nemmeno un trailer o qualcosa del genere, e quello che trovi trovi, può essere Scorsese o Kubrick, ma il più delle volte è Muccino. Lo chiamano il dono della vita, anche se non sembra che i neonati lo gradiscano molto a giudicare da quanto strillano. Sarebbe bello che ci fosse un traduttore di neonati, magari si scoprirebbe che “uè” significa “vaffanculo”.
Per un certo numero di anni, diciamo N anni, uno non si preoccupa di niente, tanto la morte arriva a M anni e M è un numero straordinariamente grande, forse addirittura di due cifre. Il piccolo e il grande sono relativi, e quando si è piccoli tutto sembra enorme, poi un giorno scopri che la reggia dove hai passato l’infanzia era un bilocale in equo canone, il fuoristrada dei tuoi una Panda 4x4 e M un numero ridicolmente piccolo, forse nemmeno di tre cifre. Quel giorno capisci che ti restano solo M - N anni di vita, che possono essere tanti o pochi, ma sicuramente meno di quelli che immaginavi quando non sapevi fare le sottrazioni. A questo punto il problema della morte va risolto. Certo non è obbligatorio, gli appassionati di angoscia e disperazione possono continuare a tenerlo in sospeso, ma tutti gli altri è meglio che lo risolvano. Serve per godersi il secondo tempo in pace, senza inquinarsi ogni cosa col pensiero che tanto bisogna morire. Che senso ha cucinare se i cibi funzionano anche crudi? Che senso ha leggere se il cervello diventerà concime? Che senso ha salire sul treno quando posso sdraiarmi direttamente sui binari? Persino i thriller e i film d’azione perdono tutta la loro attrattiva, tanto non è che se il protagonista riesce a salvarsi poi vive in eterno, morirà di cancro come tutti.
Le persone che hanno risolto il problema della morte si riconoscono subito: attraversano la strada senza guardare, non leggono gli ingredienti dei würstel e quando escono illesi da un disastro aereo si limitano a chiedere informazioni sul volo successivo. È un comportamento saggio. Se uno è costretto a giocare a tennis col primo del ranking, non ha senso che si affanni cercando di vincere, è meglio che si sieda all’ombra col suo Gatorade e aspetti serenamente di perdere 6-0 6-0 6-0. Ora il problema è: come si fa a vivere senza preoccuparsi della morte? Perché la morte, bisogna ammetterlo, è la cosa peggiore che possa capitare a uno vivo. 

2.
I metodi finora escogitati per risolvere la morte si possono suddividere in quattro categorie: i metodi che ti danno l’immortalità, quelli che ti danno un succedaneo dell’immortalità, quelli che ti consolano e quelli razionalistici. Ovviamente a me interessano solo i primi. Che senso ha vivere se non si è immortali? Tanto vale uccidersi subito. Non mi va di strisciare su questo pianeta per qualche anno, arrabattarmi per rimediare qualche ridicola gratificazione e poi sparire come se niente fosse. O immortale o niente. I metodi che al posto dell’immortalità ti rifilano qualcosa di sostitutivo, come la prole o un’opera da tramandare ai posteri, mi lasciano indifferente. Che m’importa se pezzi del mio DNA mi sopravvivranno? Primo, io non sono il mio DNA; secondo, ci voglio essere io fra tremila anni a godermi le nuove conquiste dell’ingegneria sessuale, non i miei pronipoti. Si fottano i pronipoti, non muoverò nemmeno un pene per farli esistere. Io morirò? Perfetto, e loro non nasceranno. Uno a uno.
Anche la storia di immortalarsi con una grande opera non mi fa un grande effetto. Non che io non sia in grado di produrmi in qualcosa di memorabile:

Freschi aliburni mattutini che
Si schiudono e sbadigliando si richiudono e
Ridestano in me sibilanti minute e
Vaghe memorie di spossanti tazze di tè

eccetera eccetera, che ci vuole? Il punto è che finché qualcuno non inventa poesie o sinfonie o qualsiasi altra cosa in grado di andare al ristorante o in vacanza al posto mio, la cosa non m’interessa. Perché il nulla è sempre il nulla, anche se lo abbellisci, e quando stai per morire daresti tutta la tua collezione di Nobel per fumarti un’altra sigaretta.
I metodi consolatori sono anche peggio, una vera presa in giro. È incredibile quanti filosofi, dopo aver speso pagine e pagine per dire che la morte è la fine di tutto, che l’esistenza umana è avvolta dal nulla, che la vita è una passione inutile, invece di concludere il proprio pensiero in modo conseguente, cioè appendendosi al lampione più vicino, ti dicono che dopotutto la vita è pur sempre una gran cosa. Sembrano quei film hollywoodiani col lieto fine imposto dalla produzione, solo che in questo caso non c’è nessuna produzione, ma solo la morte che si avvicina. È abbastanza triste vederli fare i bulli finché sono giovani e poi, al primo sintomo di prostatite, rimangiarsi tutto.


Professore, che fa? Prega?

Diciamo che sono in ascolto dell’essere.

Ma non aveva detto che è tipico dell’esistenza banale aver paura della morte?

Chi? Io?

Sì, guardi, l’ha scritto proprio qui, pagina 305.

È la mia parola contro la tua.


Anche i metodi razionalistici non servono a niente. Per esempio ce n’è uno che dice più o meno così “non bisogna avere paura della morte, perché se la morte è il nulla non c’è nulla da temere”. Molto carino, verrebbe quasi voglia di farselo scrivere sulla tomba, peccato che la cosa fastidiosa della morte non è tanto che faccia paura, ma che rovini il piacere di vivere, come la musica in pizzeria o le mutande fra le chiappe quando stai guidando, e lo rovina proprio perché è il nulla, non per altro.
Da bambino ero un bravissimo lupetto. A dieci anni ero già capo sestiglia e sull’uniforme non c’era praticamente più posto per tutte le mie specialità: osservatore, meteorologo, esploratore, ostetrico e molte altre. Ci tenevo moltissimo alla mia uniforme, sempre in ordine e profumata, al mio foulard bianco e rosso e ai miei scarponcini della Lumberjack. Ero l’unico ad avere gli scarponcini di marca, regolarmente spazzolati e lucidati tutte le sere prima di coricarmi. Tutti mi tenevano in alta considerazione per la mia eleganza e per la non comune pulizia delle unghie, poi un giorno sono caduto nella latrina. Non so come sia successo, mi sono piegato sulle assi e sono caduto. Quando il mio Akela mi ha visto mi ha detto, lo ricordo perfettamente, “non piangere, è solo merda”.
Ecco, i metodi razionalistici sono così: non piangere, è solo il nulla. 

3.
Di teorie dell’immortalità ne esistono tantissime, ce n’è veramente per tutti i gusti: reincarnazioni per i testardi, giardini dell’Eden per i nostalgici, settantadue vergini per i morigerati e purgatori per gli stitici. Ci sono persino religioni che ti promettono il nulla, probabilmente pensate per chi non ha afferrato il punto. Siccome l’immortalità è proprio quello che mi manca per essere di buon umore, per un certo periodo ho pensato di aderire a qualcuna di queste religioni. Lo dico senza vergognarmi, dopotutto mi sembra una cosa logica: se uno ha voglia di mangiare una bistecca va in un ristorante, non in una ludoteca o in un autolavaggio. Purtroppo il problema delle religioni è che vendono bistecche invisibili, e io la roba invisibile non riesco molto a digerirla.
Non che sia materialista, non sono un feticista della scienza, uno di quelli che hanno bisogno della verifica sperimentale anche per capire una barzelletta, però obiettivamente con le religioni come si fa? Se ci fosse un indizio, un piccolo riscontro, qualsiasi cosa, sarebbe diverso. Non dico tanto, basterebbe una foto di Gesù che resuscita una scatoletta di tonno o la bolletta dell’illuminazione di Buddha, invece niente, non c’è niente di niente. Così alla fine devi solo fidarti del sentito dire.
È incredibile la facilità con cui la gente crede alle dicerie metafisiche, quando invece sulle questioni terra-terra è molto più sospettosa.


È un’auto eccezionale, mi creda, da 0 a 100 in cinque secondi, e consuma meno di uno scooter.

Fantastico, e chi me lo garantisce?

Lo dice quel tizio laggiù, vede? Quello vestito in modo bizzarro.

E lui come fa a saperlo?

Lo ha letto in un libro scritto duemila anni fa.

Duemila anni fa, eh?

Sì, scritto da gente con le visioni.

Ok, la compro.


E poi c’è anche un altro problema, molto più serio. Le religioni, quando va bene, ti promettono l’immortalità dell’anima, e io dell’immortalità dell’anima non so proprio che farmene. A cosa serve essere immortali se non si può bere lo Champagne, giocare a tennis o rotolarsi fra le coperte? No, grazie, io voglio l’immortalità del corpo, non voglio starmene per l’eternità sospeso nell’etere a contemplare la gloria di Dio, stiamo scherzando? E hanno pure il coraggio di chiamarlo paradiso.


Hai sentito l’ultima?

Dio ha denunciato il Papa per calunnia?

No, pare che il paradiso consista nella contemplazione eterna della gloria di Dio.

Cioè un triangolo con l’occhio?

Sì.

Presto, andiamo a gettare qualche sasso dal cavalcavia. 

4. 
Per questo ho deciso di rivolgermi a Zurek.
 

Wojciech H. Zurek, per gli amici H punto, lavora al Los Alamos National Laboratory nel New Mexico e si occupa di meccanica quantistica, astrofisica, programmi del caos e immortalità.
Arrivo a casa sua intorno alle tre di pomeriggio.


La stavo aspettando.

Lo so, le ho mandato una mail.

Io non leggo la posta elettronica, perlopiù sono solo ragazzine che impazziscono per le mie teorie sulla decoerenza e la nozione di einselection.

Capisco.

Prego, si accomodi.


Mi fa sedere in una specie di cabina del telefono, stretta, scomoda e soprattutto con un odore schifoso, come di gatto morto. Non faccio in tempo a chiedere spiegazioni che mi ha già chiuso dentro.


Non abbia paura, non le succederà niente.


È terribile quando ti dicono così. Te ne stai sdraiato sulla poltrona del dentista crogiolandoti nel torpore dell’anestesia, pensando ai fatti tuoi senza dover nemmeno fare lo sforzo di deglutire, e a un certo punto ti dicono:


Non abbia paura, non le succederà niente.

Perché? Cosa dovrebbe succedermi?

Potrebbe morire.

Morire!?

Ma non succederà.

La prego, signor Zurek, mi faccia uscire di qui, ho cambiato idea. Giuro che le darò il venti percento di quello che guadagnerò denunciandola per sequestro di persona.

Si rilassi.

Rilassarmi? Come faccio a rilassarmi con questo cartello?


Glielo cambio subito. Così va meglio?


Rimetta l’altro, grazie.

Ascolti, è un trattamento molto semplice. Ha mai sentito parlare del gatto di Schrödinger?

Io faccio Schrödinger o il gatto?

Quando premerò questo tasto --

Quello con il teschio e le tibie incrociate?

Esatto, quando lo premerò, un apparato di misura verificherà lo stato di mille atomi di Zurekio-118, un isotopo radioattivo di mia personale invenzione. Se uno solo di questi atomi è decaduto verrà sprigionato un potentissimo veleno a base di aria di Pianura Padana e lei morirà, se invece nessun atomo è decaduto lei vivrà e subito i mille atomi saranno rimpiazzati con atomi nuovi di zecca. Tenuto conto del tempo di dimezzamento di questo isotopo, circa sedici minuti, e supponendo una frequenza di un tentativo al secondo, ho calcolato che ogni volta che premerò il tasto lei avrà il cinquanta percento di probabilità di morire. È tutto chiaro?

Sì, ora posso uscire?


Abbiamo passato così tutto il pomeriggio: io nella cabina a implorarlo e lui fuori a premere il tasto, ma non sono mai morto, neanche una volta. A un certo punto mi propone di scambiarci di posto: lui entra nel coso e io premo il tasto. Molto gentile da parte sua, solo che al primo tentativo muore. Lì per lì non sapevo bene se essere sconcertato o rattristato. È vero che aveva cercato di ammazzarmi, ma l’aveva sempre fatto molto educatamente, e ora che era morto mi faceva un po’ pena. Mentre gli frugo nelle tasche alla ricerca di qualche euro che possa consolare la mia tristezza, trovo questo biglietto:

Non si rattristi, sono al sicuro in un altro universo. Per capire meglio quello che è successo potrebbe esserle utile qualche lezione di fisica teorica. C’è n’è una che inizia proprio ora in aula B, se si sbriga fa ancora in tempo. Naturalmente può usare la mia macchina, i soldi per la benzina ce li ha in mano.
W. H. Zurek

Aula B.
La meccanica quantistica dice che le particelle si comportano come onde di probabilità. Anche molte persone si comportano così, ma questo non c’entra con la meccanica quantistica.
Prendiamo per esempio un elettrone e supponiamo di misurare il suo spin. Cosa sia esattamente lo spin non è importante, tutto quello che ora bisogna sapere è che può assumere solo due valori: +h/4π e -h/4π, dove h è la costante di Planck
La meccanica quantistica dice che, prima di compiere la misura, l’elettrone non ha uno spin definito, cioè non è come Guido Meda che esiste anche se togli l’audio. Prima della misura l’elettrone si trova in uno stato in cui entrambe le possibilità +h/4π e -h/4π si sovrappongono. Non c’è modo di prevedere il risultato, tutto quello che si può dire è che c’è una probabilità del cinquanta percento di trovare +h/4π e una probabilità del cinquanta percento di trovare -h/4π. È un po’ come lanciare una moneta, solo che non si vede niente.


Ciao, ti va di giocare a “+h/4π o -h/4π”?

Okay, ce l’hai tu l’elettrone?

Credo di sì.

+h/4π.

Okay.

Vai!

...

L’hai lanciato?

Non lo so.


Ci sono altre due grosse differenze fra la misura dello spin e il lancio di una moneta. La prima è che il testa o croce non è veramente un fenomeno casuale, nel senso che se uno conoscesse esattamente la forma della moneta, la traiettoria del lancio e tutto il resto, potrebbe prevedere con certezza il risultato, invece con lo spin non si può. La probabilità dello spin non dipende dall’ignoranza della fisica, molte cose a questo mondo dipendono dall’ignoranza della fisica ma non questa. Il risultato della misura dello spin di un elettrone è autenticamente casuale, come se la particella decidesse lì per lì che fare.
Questa cosa a molta gente non è mai andata giù. Einstein, per esempio, era scandalizzato e sbeffeggiava tutti quelli che la sostenevano, non importava quanti Nobel avessero sul comodino. Diceva che Dio non può giocare a dadi, il che mi sembra perfettamente condivisibile visto che per giocare a dadi bisogna come minimo esistere, ma non credo la intendesse in questo modo.
L’altra grossa differenza fra la moneta e l’elettrone è questa: fatta la prima misura e trovato +h/4π (o -h/4π), poi lo spin non cambia più, tutte le misure successive daranno sempre +h/4π (o -h/4π). Nell’interpretazione standard, la cosiddetta interpretazione di Copenaghen, questo fenomeno è chiamato “collasso nell’autostato”, perché è come se l’elettrone precipitasse definitivamente in uno dei due stati fondamentali.
Ora, tutto questo modo di intendere le cose ha almeno due problemi: il primo è che questo fatto della probabilità trasformerebbe l’universo in una specie di enorme casinò, il secondo è che nessuno ha mai veramente osservato un “collasso nell’autostato”. Ciò non significa che la meccanica quantistica non funzioni. La meccanica quantistica funziona benissimo e oggigiorno la si usa anche per progettare computer e asciugacapelli, l’unica cosa che lascia perplessi è la sua interpretazione ortodossa. In un certo senso si potrebbe dire che funziona nella pratica ma non in teoria, cioè l’esatto contrario del marxismo.
In realtà  esiste un modo molto più semplice e intuitivo per interpretare questi fenomeni: infiniti universi. 

6. 
Nel 1957 un fisico di nome Hugh Everett III concepì una nuova e rivoluzionaria interpretazione della meccanica quantistica, la cosiddetta interpretazione a molti mondi. La espose per la prima volta nella sua tesi di dottorato, dopodiché gli si spalancarono le porte del mercato ortofrutticolo di Princeton.
Le riflessioni di Everett si spingono fino al confine fra scienza e ontologia, e gli scienziati di tutto il mondo hanno meditato a lungo sui suoi scritti prima di appallottolarli e buttarli nel cestino. Sono idee straordinarie e allo stesso tempo semplici, come sempre accade per le idee veramente grandi. Per esempio Everett fu il primo a introdurre la nozione di emoticon nel calcolo tensoriale.
Secondo l’interpretazione standard della meccanica quantistica, la misura dello spin di un elettrone può essere rappresentata in questo modo
 

o in questo


a seconda che il risultato sia +h/4π o -h/4π (le emoticon rappresentano l’osservatore, le palline colorate l’elettrone e le frecce la misura, i + e i - rappresentano dei + e dei -, rispettivamente). Prima della misura entrambi gli stati + e - sono presenti, sovrapposti quantisticamente, mentre dopo la misura l’elettrone è collassato in uno dei due, probabilmente inorridito dall’incontro ravvicinato con un essere umano. Cosa determina il risultato? Il caso. Che fine ha fatto l’altro stato? Boh. Questa in sintesi l’interpretazione standard.
Ecco invece come la stessa misura viene illustrata nella tesi di Everett.


In questa nuova interpretazione tutti i problemi scompaiono: l’elettrone non sceglie a caso in quale stato andare, li sceglie entrambi. Caso e collasso non ci sono più e tutto fila liscio come in una teoria fisica che funzioni. Everett era molto soddisfatto di questa figura, sia perché risolveva elegantemente un’annosa questione, sia per la scelta dei colori. Poi un giorno, quando ormai la tesi era pronta per la stampa e mancava pochissimo alla discussione finale, notò una cosa strana: nella figura, dopo la misura, c’erano due osservatori. Com’era possibile? Cosa significava? Alla fine Everett dovette arrendersi alla sbalorditività (stavo per scrivere sbalordaggine) della sua stessa teoria e accettare l’idea che la misura dello spin facesse sdoppiare l’universo: prima della misura c’è un solo universo, con dentro un Everett che vuole misurare lo spin di un elettrone, dopo la misura ci sono due universi, ognuno col suo elettrone e il suo Everett, due universi identici, perfettamente uguali, a parte un piccolo e trascurabile elettroncino rosso in uno e blu nell’altro. Anche i due Everett sono identici, ignari l’uno dell’altro ed entrambi convinti di essere Everett.
Qualcuno potrebbe trovare questa interpretazione a molti mondi un po’ deprimente, già è difficile reggerne uno di mondo, figuriamoci molti, in realtà si tratta di mondi non comunicanti e completamente impermeabili l’uno all’altro, per cui ogni persona può continuare a lamentarsi del proprio come se niente fosse.
Immaginiamo ora che per qualche motivo l’elettrone rosso sia letale.
 

L’osservatore che s’infila nell’universo rosso muore, mentre l’altro, quello che sopravvive, ha solo la sensazione di essere stato molto fortunato. In realtà la fortuna non c’entra, uno muore e l’altro vive, ma siccome a essere morti non si prova niente, l’Io continua la sua corsa esistenziale solo nell’universo con l’elettrone blu. In questo modo, anche se uno avesse a che fare con un milione di elettroni


alla fine si salverebbe comunque.


Questi sdoppiamenti e moltiplicazioni di universi accadono continuamente, ogni volta che un sistema fisico (osservatore, gatto, buccia di patata) interagisce con un sistema quantistico. In altre parole l’universo si ramifica di continuo in infiniti universi, e ognuno di noi non può far altro che infilarsi negli universi in cui sopravvive, per quanto improbabili e astrusi possano essere. Ogni essere umano è immortale, solo che lo è nel suo improbabilissimo universo privato, un universo dove tutti gli altri muoiono e dove, fra le altre cose, gli è impossibile suicidarsi. Chi non ci crede può provare.
Grazie a Hugh Everett III e alla sua teoria a molti mondi, ora attraverso la strada senza guardare, non leggo più gli ingredienti del cacciatorino e ogni volta che esco illeso da un disastro aereo mi limito a chiedere informazioni sul volo successivo.

LA BOLOGNA CHE HO IN MENTE

Ho deciso di candidarmi a sindaco di Bologna.
Di tutte le città che conosco, Bologna è di sicuro quella col rapporto cose-belle/cura-delle-cose-belle più alto, e non tanto per le cose belle (che sono il giusto), ma per la cura (che è nulla). In pratica è come Napoli, solo che il clima fa schifo. Ovviamente per il clima non posso fare niente, ma per tutto il resto avrei delle idee.
Primo punto: il traffico.
Sarà che in pianura Padana l’aria non circola, sarà che la gente prende la macchina anche per girarsi nel letto, sarà che la ZTL di Bologna sembra la carta geografica della Palestina, ma l’aria è davvero irrespirabile. In confronto l’atmosfera di Titano è aria di montagna, e il bello è che la gente non sembra rendersene conto. Perché? Bisogna proprio mettere l’etichetta “nuoce gravemente alla salute” su ogni particella di PM10? Non ce l’hai il naso per sentire che l’aria sa di petrolchimico?
Una sera, mentre torno dalla spesa, vedo una donna con passeggino seduta a un tavolo all’aperto in via Irnerio, che è come prendere l’aperitivo sullo spartitraffico dell’A1. Lei beve il suo drink al gasolio come se niente fosse, e intanto uno scooter fermo a due passi dal passeggino sgasa tutto lo sgasabile nelle narici ancora vergini di suo figlio. Mentre penso se sia il caso di avvertirla oppure no (dopo tutto è pur sempre selezione naturale), lei mi guarda e mi fa “scusi, potrebbe spegnere la sigaretta?”.
Quindi: ZTL all’interno di tutto il perimetro della tangenziale e zona pedonale all’interno dei viali. Fine. Se hai la macchina, mi spiace, o ti trasferisci tu o si trasferisce lei. In centro è vietato bruciare idrocarburi.
Secondo punto: il piscio.
Certe strade del centro sono come dei water, grossi water senza sciacquone. Ci sono le piazze del divertimento dove la gente si riempie e ci sono le vie-water annesse dove la gente si svuota. È un continuo riempirsi e svuotarsi, migliaia di persone che si riempiono e si svuotano per tutta la notte, come tanti palloncini umani, finché a un certo punto, grosso modo verso l’una e un quarto, per le strade di Bologna iniziano a scorrere fiumi di urina, un flusso caldo e spumeggiante che trascina con sé tutto quello che trova: immondizia, biciclette, barboni. La mattina dopo le vie sembrano i greti melmosi di certi torrenti in estate, pieni di pozze maleodoranti e mosche.
Che fare? Dopo avere studiato a fondo il problema con il mio staff di esperti (mia moglie e Anacleto, il nostro estroverso appendiabiti) sono arrivato alla seguente soluzione: siccome le vie-water si diramano tutte  dalla corrispondente piazza-divertimento, come tanti piccoli vasi comunicanti con un unico serbatoio centrale, ho pensato che basta abbassare il livello del terreno della piazza rispetto a quello delle vie, che saranno così tutte in discesa verso la piazza, e sigillare tutti i tombini di quest’ultima. In questo modo l’urina rifluirà verso i suoi legittimi proprietari, sommergendoli.
Terzo, quarto e quinto punto: i punkabbestia.
Perché tutti i punkabbestia vengono a Bologna? Si dice che vengano dal Salento, bene, che cos’ha Bologna che il Salento non ha? Io ci sono stato nel Salento e posso dire che è una zona bellissima, dove ci sono tutte le cose che ci sono a Bologna: le canne, i cani, il Tavernello e dei morbidissimi marciapiedi su cui passare la notte, che bisogno c’è di venire fino a Bologna? Evidentemente queste persone non sono ben informate. Propongo quindi di noleggiare un bimotore e cospargere tutto il Salento di volantini che informino i suoi abitanti che Bologna non è niente di speciale. Per precauzione, sarà anche bene orientare tutte le indicazioni stradali Salento-Bologna verso Norilsk, non si sa mai.
Sesto: le cacche di cane.
I famosi portici di Bologna sono una gran comodità, soprattutto quando piove, peccato che siano tutti spalmati di merda, il che è un problema, soprattutto quando piove. La mia idea è che appositi addetti comunali in borghese (per esempio i vigili liberatisi della direzione del traffico) tengano discretamente d’occhio la gente munita di cane. Questi addetti dovranno aggirarsi per la città facendo finta di niente, fischiettando vecchie canzoni romagnole e mangiando tigelle con lo squacquerone, e quando vedranno qualcuno abbandonare in strada gli escrementi del cane, loro, senza farsi notare, li raccoglieranno e li surgeleranno, e quando quel qualcuno andrà al ristorante glieli serviranno sotto forma di ragù. Questo dovrebbe far passar la voglia alla gente di cacare in strada, anche se, va detto, a giudicare dalla qualità dei ristoranti bolognesi, forse questa cosa viene già fatta.
Settimo: i biglietti del teatro.
Costano troppo. Com’è possibile che lo stesso concerto, con gli stessi esecutori, nello stesso tipo di posti, costi 25 euro alla Pergola di Firenze e 75 euro al Manzoni di Bologna? A cos’è dovuto il surplus di 50 euro? Al fatto che una volta tanto si sforzino di non suonare Verdi? Quindi: tutti i teatri di Bologna devono dimezzare i loro biglietti, e se non ce la fanno a rientrare nei costi, pazienza, ci sono sempre i cd. Inoltre sarà vietata l’esecuzione di Verdi, Puccini e Bellini per più di una volta all’anno (intendo tutti e tre insieme). I trasgressori saranno puniti con l’opera omnia di Ludovico Einaudi.
Ottavo: chi mi fa ancora uno spritz col Fernet, lo ammazzo.
È tutto.
Siccome è possibile che il mio simbolo non sia presente sulla scheda elettorale, invito cortesemente l’elettore ad aggiungerlo a mano.


UNA RIFORMA ELETTORALE PICCOLA PICCOLA

La democrazia è un’idea antichissima, una delle prime cose che sono venute in mente insieme al fuoco, l’acqua calda e l’aria fritta. Un giorno, grosso modo milioni di anni fa, a un gruppo di australopitechi viene un’idea.


Sentite, ragazzi, perché invece di fare sempre tutto a casaccio non ci organizziamo?

Ottima idea. Cosa significa organizzarsi?

Per esempio, invece di andare a caccia di polli selvatici tutti insieme, potremmo delegare qualcuno, così gli altri se ne possono stare a casa a costruire utensili, fare graffiti preistorici e riprodursi.

Approfondisci la parte sul riprodursi.


A quel punto bisognava decidere il modo di scegliere i delegati. C’erano varie possibilità: discutere tutti insieme e decidere all’unanimità, estrarre a sorte, votare a maggioranza.
Alcuni australopitechi hanno scelto la discussione di gruppo: sono andati in cerca di un luogo adatto, si sono seduti tutti insieme a discutere e si sono estinti. L’estrazione a sorte è stata invece scartata per evitare che la scelta cadesse su australopitechi scemi (all’epoca era molto difficile riconoscere gli scemi, visto che non esistevano ancora i social network). La votazione a maggioranza sembrava allora la cosa più ragionevole e rapida, e così è nata la democrazia rappresentativa.
Le cose hanno funzionato per alcune ere geologiche: i delegati cacciavano e tutti gli altri costruivano, dipingevano e si riproducevano con tutto quello che capitava a tiro, donne comprese, e dopo ogni glaciazione si facevano nuove elezioni. Piano piano, però, la gente ha iniziato a disinteressarsi dei propri eletti e a perdere ogni nozione di caccia, polli selvatici e tutto il resto.


Scusi onorevole, ma che roba è?

È un pollo. Guarda, ancora si dibatte.

Non ricordavo che i polli fossero così piccoli e pelosi.

E magari nemmeno che avessero otto zampe.

Zampe?


Il mondo di oggi è un mondo frenetico, bisogna fare tutto di fretta: lavorare di fretta, mangiare di fretta, stare bloccati in tangenziale di fretta, e non sempre c’è il tempo per rendersi conto che il programma elettorale del proprio partito preferito sembra l’ennesimo remake dell’invasione degli ultracorpi. Sarebbe eccezionale se uno avesse la lucidità di dire “anche a questo giro non so proprio un cazzo, sai che faccio? Non voto”, invece no, con questa storia che il voto è un diritto-dovere e che sono dovuti morire mucchi di trisavoli per poterlo garantire, la gente va a votare comunque, entra nella cabina elettorale e fa la X sul primo simbolo che riconosce. Se sulla scheda elettorale ci fosse il logo della Nike, a quest’ora ci sarebbe una scarpa a Palazzo Chigi.
Questo è obiettivamente un problema. Come risolverlo?
La mia idea è molto semplice: basta far precedere la scheda elettorale da un piccolo test di accesso, niente di che, giusto due o tre domande per scremare gli ascoltatori di Studio Aperto.

Quante sono le Camere del Parlamento Italiano?
1. Due.
2. Quattro.
3. Cinque, più il bagno e una piccola cabina armadio.

Chi elegge il Presidente della Repubblica?
1. Il Parlamento.
2. Il Consiglio dei Ministri.
3. I telespettatori.

Quante zampe ha un pollo?
1. Due.
2. Otto.
3. Zampe?

IL TEATRINO DELL’ASSURDO

Ci sono certi comportamenti umani che mi fanno inceppare il cervello, non tanto perché fastidiosi, ma perché assurdi, e il mio cervello di fronte al palesarsi dell’assurdo s’inceppa. Qualsiasi cosa io stia facendo (sbucciando una mela, attraversando la strada, aprendo il paracadute), lui si blocca e sulla retina mi appare la scritta “il cervello si è chiuso inaspettatamente, gli altri organi non sembrano averne risentito”.
Alcuni esempi:

1. Credere alla vita eterna e avere paura di morire.

2. Buttare in mare gli immigrati perché non c’è posto per tutti e fare diciotto figli.

3. Lampeggiare per chiedere strada a chi è in fase di sorpasso a x chilometri orari, dove x è il limite di velocità.

Questi comportamenti sono assurdi non in sé, ma in quanto compiuti da un homo cosiddetto sapiens, cioè da un essere vivente che ha tutto il set neurologico necessario per rendersi conto dell’assurdità di quello che sta facendo e ciononostante lo fa. Perché? Se la macchina che mi lampeggia fosse guidata da uno scimpanzé, lo troverei normale, è uno scimpanzé, invece è guidata da un uomo, è questo che è assurdo.
Ma il comportamento in assoluto più assurdo di tutti è votare coso. Com’è fisicamente possibile che una persona voti coso? Intendo una persona che non sia coso stesso o un parente di coso o un amico di coso o un animale domestico di coso (coso ha un sacco di animali domestici, alcuni anche dotati di parola).
Quando m’imbatto in un elettore di coso (in tv, dal panettiere, ovunque), non perdo mai neanche una parola di quello che dice: mi avvicino, gli alzo il volume e ascolto attentamente tutto quello che dice, voglio capire dov’è il bug. Coso annuncia che abolirà il timballo di carne? Lui lo vota. Fa un decreto legge per diminuire la concentrazione di sgombri nell’acqua del rubinetto? Lo vota. Dichiara aperta la caccia alle ciabatte di gomma? Lo vota. Perfetto, va benissimo, tutto questo non m’inceppa. Non lo capisco, ma non m’inceppa, dopotutto può essere un elettore fantasioso, originale, lungimirante, scherzoso, scaramantico o semplicemente sciocco, sono tutte cose che non m’inceppano. Quello che mi fa inceppare è un’altra cosa, e cioè il seguente ragionamento.
Io odio i delinquenti. Tutti odiano i delinquenti, persino i delinquenti, quindi non capisco perché io dovrei essere da meno. Abbasso i delinquenti.
Coso non è un delinquente, è una persona per bene, basta guardarlo in faccia. Se qualche volta ha violato la legge (ma non penso), l’avrà sicuramente fatto a fin di bene. Dopotutto anche Gesù era un fuorilegge.
Nonostante questo, coso è perennemente indagato e mandato a processo da pm, gip, gup e molti altri acronimi sovversivi che vogliono solo sputtanarlo. Pensassero ogni tanto a mettere in galera i delinquenti veri!
Coso ha il diritto di difendersi con tutti i mezzi che ha, ci mancherebbe. Se io fossi accusato ingiustamente di divieto di sosta, mi difenderei con tutto quello che ho: giornali, televisioni, soldi, parlamenti, raggi gamma. Anche se io in realtà non ho un bel niente, e le multe, giuste o ingiuste, mi tocca pagarle tutte. Ma questa non è certo colpa di coso.
Io voto coso perché sono d’accordo con tutte le sue idee, qualsiasi esse siano, però bisogna lasciarlo lavorare! Non è possibile che un Presidente del Consiglio debba passare il tempo a difendersi da processi campati per aria, per questo motivo ci vorrebbe un lodo, un’immunità, qualsiasi cosa, al limite vanno bene anche delle leggi che favoriscono i delinquenti.
Quindi, semplificando i passaggi intermedi, si ha: io odio i delinquenti, quindi voto uno che fa leggi pro delinquenti.
Ora mi chiedo