VITA DA BERLUSCONI

Cito testualmente da un manuale di storia del 2145.

Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi, detto Silvio, nacque il 12 aprile 1945, giorno dello storico armistizio di Lubiana con cui Hitler e Ben Gurion posero fine alla Seconda Guerra Civile Mondiale. Un segno del destino? Sì.
Vide la luce ad Alessandria d’Egitto, a bordo della leggendaria Biblioteca galleggiante di Babylonia. La madre era una grande studiosa di testi antichi (per esempio fu lei a scoprire che “Corano” si scrive tutto attaccato), e un giorno, mentre era immersa nella lettura di un antichissimo numero di Gente, partorì senza accorgersene sul pavimento, sotto gli occhi faraonici del padre Vittorio Emanuele di Savonarola e delle tre Grazie: Cloto, Lachesi e Atropo.
Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi venne al mondo a cavallo, ma senza procurare dolore, già dotato di parola e di una foltissima chioma bionda, che conserverà intatta fino alla fine dei suoi giorni, giovedì scorso. Appena sgusciato dall’ovulo guardò solennemente i genitori e disse “due sei undici venti trentotto cinquantasei!”. Era la combinazione vincente del Superenalotto. Ecco perché ancora oggi il 12 aprile si celebra la festa della Cornucopia, l’animale preistorico che simboleggia l’abbondanza.
A soli due mesi aveva già la patente, a sei sapeva leggere e cantare, a un anno era laureato in Lettere Antiche, Moderne e Future con il massimo dei voti: un miliardo.
Fin da ragazzo era tenuto in altissima considerazione da tutti per la sua sapienza e le non comuni capacità di giudizio (nonché per la folta chioma bionda). Tutta la popolazione si recava da lui per avere consiglio, persino i più dotti fra i conduttori televisivi. Per questa ragione era anche detto “il Presidente del Consiglio”.
Un giorno si presentò al suo cospetto una donna. Era di nobile stirpe, come testimoniava il notevole intervento di mastoplastica additiva, ma era caduta in disgrazia a causa del fisco, oggi come allora più corrosivo dell’acido citrico. Aveva otto figli da sfamare e due soli capezzoli (più di tanto la mastoplastica non riusciva ancora a fare), perciò chiese consiglio a Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi: quale bocca sfamare? Egli ascoltò la terribile questua passandosi le mani fra gli innumerevoli capelli dorati e disse: “donna, io rimetterò la decisione al voto del popolo. Questo farò”. E così fece, e il popolo votò Berlusconi.
Fu così che nacque la democrazia.
Erano tempi ostici, non c’era l’acqua potabile né il digitale terrestre, e l’odio e l’invidia imperversavano per tutto il mondo, isole comprese. Era giusto tenere tutta quella sapienza solo per sé? No.
Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi chiamò a sé gli uomini più coraggiosi e sapienti del tempo (“venite!”, disse) e con loro salpò verso l’ignoto, come già un tempo fecero i mitici Argonauti alla ricerca del Vitello d’Oro. Ma la sua missione era se possibile ancora più ripida, in una parola: libertà. In due parole: libertà, libertà. E così via. Gli egizi salutarono il glorioso vascello piangendo sul latte versato (vecchia usanza egizia) e il giorno seguente innalzarono in onore del Presidente del Consiglio e dei suoi Libertanauti le famose piramidi di Ghisa, monumenti che ancora oggi sventolano contro il cielo stellato (di notte) sfidando ogni logica.
Fu un viaggio lungo e disidratante, più e più volte il nobile e capelluto condottiero fu lì lì per perdersi d’animo, ma come Ulisse aveva il suo Actarus, così Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi poteva sempre contare sul suo fido cane Sandro. Insieme affrontarono e sconfissero i ciclopi, i lupi mannari e i temibili comunisti, i barbari adoratori del salario che vivevano al di là delle mura di Berlino, beffati con il leggendario stratagemma del cavallo di Berlino.
Appena sbarcati alle froge del fiume Po, Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi e i suoi videro venire loro incontro due uomini su un cocchio trainato da maiali. Erano Raus e Raptus, emissari del vecchio sovrano del luogo: il potente Ictus, metà uomo e metà niente. Chiesero a Duilio Giambattista Carminati di Berlusconi chi fosse e da dove venisse. Egli rispose semplicemente “Silvio”, per modestia, e aggiunse “sono venuto a liberarvi dall’ignoranza”. La sua chioma luminosa ondeggiava mossa dal vento. Raus e Raptus lo guardarono incomprensibili, allora Silvio ridisse “so gni fin chi a libràv da l’ignuransa” (oltre che un gentleman era anche un fine poliglottide). Queste parole piacquero molto a Ictus, il quale offrì a Silvio la mano di sua figlia Cenerentola.
Silvio prese la mano di Cenerentola e distribuì il resto ai suoi uomini (era molto generoso), quindi rese grazie a Dio (“grazie!”, disse) e diede finalmente il via (“via!”) alle Grandi Riforme Liberali che tutti conosciamo, per esempio: libertà, libertà e libertà. Ciò lo rese l’essere umano (e non) più amato in tutto il mondo civile (ma anche in quello incivile non è che fosse poi così disprezzato), e ancora oggi, qualsiasi giorno sia, nel punto esatto del campo in cui è sceso sorge un gigantesco monumento celebrativo della sua sbalorditiva vita: una sbalorditiva faccia di bronzo.
Riuscirà mai qualcuno a eguagliare i suoi memorabili gesti? No.