PEPE VERDE, SPEZIE, MANDORLA AMARA E UN SENTORE DI TAPPO

Una delle regole d’oro per vivere serenamente è disprezzare tutto quello che non si conosce. Serve per non avere il dubbio che ci si stia perdendo qualcosa, in modo da poter continuare a perdersela senza sapere quello che ci si sta perdendo. Non ho detto che serve a vivere bene, serve a vivere serenamente. Vivere male, ma serenamente.
Io, tanto per fare un nome, ho sempre provato pena per i cosiddetti intenditori di vino, per tutta quella marmaglia di parvenu col padellino al collo che invece di stappare e bere, stappa, annusa, esamina, rotea, annusa, inclina, scruta, annusa, sospira, sentenzia, pregusta, annusa, medita, annusa, scaraffa, annusa, esce, sacrifica un capretto a Bacco, torna, beve e sputa tutto in un secchio. Cos’avrà mai di speciale il vino? Pensavo sorseggiando la mia birra Moretti. In fondo lo scopo dell’alcol è stordirsi per sopportare la compagnia degli esseri umani, è da idioti spendere soldi in vino quando puoi ottenere lo stesso risultato con un po’ di alcol Buongusto. Questo pensavo, poi un giorno ho assaggiato un bicchiere di vino e ho cambiato idea. Non avevo mai sentito niente del genere, nel senso che non avevo mai bevuto vino, al massimo solo “vino”, ma vino mai ed è stata una sorpresa incredibile scoprire che non solo non sa di “vino”, ma è addirittura buono. In un attimo mi è passata davanti agli occhi tutta la birra in sconto dell’Esselunga.
Adesso mi piace addirittura andare in quei posti chiamati enoteche, dove a piatti pretestuosi si abbinano vini senza virgolette, vini che in un attimo ti fanno dimenticare lo schifo di gente che ti circonda, quella marmaglia di parvenu col padellino al collo eccetera eccetera, gente che probabilmente penserà la stessa cosa di me, se non fosse che il mio padellino è decisamente più bello. L’unico problema è che non sono posti economici. In generale è difficile cavarsela con meno di cinquanta euro, che nel mio caso significa grosso modo i risparmi di tutta la vita (scrivere su questo blog è meno redditizio di quanto si pensi). Per questo ci vado di rado, ma quando ci vado tutto deve essere perfetto: metto gli occhiali buoni, mi faccio la barba da entrambi i lati e noleggio uno smoking con tanto di bastone, cilindro e coniglio.


Cosa gradisce da bere?

Dunque, vediamo, forse i ciccioli caramellati si abbinerebbero bene con un Barolo Riserva Reale del ‘32, mentre il caviale di cervo chiamerebbe di più un Brunello Superiore Sangue di Cristo del ‘18, quindi nell’indecisione prendo il vino più economico che avete.

Acqua frizzante o naturale?

Quella del bagno andrà benissimo, grazie.


Mi portano un Barbaresco del 2004, 100% nebbiolo, invecchiato tre anni in botti di rovere, rosso granato con riflessi aranciati, 14.5 gradi, quarantaquattro euro. Mentre me lo stappano con tutte le cerimonie del caso, io per sicurezza do una controllata al portafoglio: se rinuncio al dolce e scarto tutti i porcini del risotto posso farcela. Il sommelier annusa il tappo e me lo porge, io, non sapendo che fare, lo mangio. Poi finalmente mi versa il vino.
La prima cosa che ho capito da quando bevo il vino è quando sa di tappo. Non bisogna essere degli esperti o avere una lingua sviluppata come quella di Gene Simmons, semplicemente sembra di bere una spremuta di sughero, tutto qui. Non è questione di fare i difficili o altro, è che se un vino sa di tappo fa schifo, soprattutto se costa quarantaquattro euro e il mio Barbaresco del 2004 costava proprio quarantaquattro euro.


Sa di tappo.

Oh oh oh, tappò! S’è pà posìbl, messió. Quello che lei sante è la botté.

La botté?

Me ui, messió, la botté. Probabilmante lei non è abituató a vini di una scerta strutturà.

Per caso era una botte di sughero?


La prassi vorrebbe che il cliente avesse sempre ragione e tante altre belle cose, ma questo sommelier sembrava non conoscere la prassi. O forse la conosceva molto meglio di me. Inizia a dirmi che se sapesse di tappo lui lo sentirebbe, che tutti lo chiamano Mr. Tappo perché sente un tappo a due chilometri di distanza, che lui fa parte dell’Associazione Sommelier Italiani Nonché Internazionali (ASINI) e via così lodandosi e sbrodolandosi in epiteti lusinghieri rivolti a sé stesso, finché conclude facendomi questa proposta: lui, se proprio insisto, mi porta un’altra bottiglia, ma solo se ammetto che non è il vino che sa di tappo ma sono io che non so apprezzarlo. Quest’ultima frase me la dice con un forte accento di Caserta.
Se fossi stato un vero signore avrei ordinato un altro vino senza fare troppe storie e glieli avrei pagati entrambi, ma poi mi sarebbe toccato restare a lavare i piatti per chissà quanto tempo e questo non so se un vero signore l’avrebbe fatto, così ho pensato che era di gran lunga più semplice bermi in silenzio la mia spremuta di sughero. Dopotutto è sempre meglio di una birra Moretti.