PROGETTI FUTURI

Mi piace molto pensare ai progetti futuri. È forse l’unica cosa che sarei veramente felice di fare come lavoro, con doveroso corredo di sveglia alle sette, capoufficio rompipalle e colleghi lagnosi. Non mi dispiacerebbe ricevere uno stipendio per andare tutti i giorni nel mio ufficio, sedermi alla scrivania e dedicarmi finalmente all’unica cosa che mi piace veramente fare: pensare a quello che farò il giorno dopo. Il futuro mi piace molto di più del presente o del passato, perché rispetto a questi due ha l’innegabile vantaggio di non esistere e le cose che non esistono, non so, hanno quel qualcosa in più che le rende speciali.
L’unico problema è che sono molto scaramantico e quindi, per quanto mi piaccia pensare ai progetti futuri, non mi piace per niente parlarne. Per questo non menzionerò nessun progetto futuro, ma un progetto passato che metterò online in futuro, un cortometraggio scritto da me e disegnato da Emanuelesi. Il suo titolo è “Homo homini bisonte”, parla di uomini e bisonti, e “bisonte” non è l’ablativo di “bison, bisontis”, che sarebbe un errore, ma è la parola italiana “bisonte”, che è sempre un errore, ma almeno un errore simpatico.


Voci: Guglielmo Favilla (narratore), Fabrizio Odetto (uomini), Simona De Vitis (donne).

STORIA CON FILTRO

Si dice che quest’epoca sia veloce, complessa e così via, poi scopri che gli antichi greci dicevano esattamente le stesse cose della loro antica Grecia (che loro chiamavano Grecia postmoderna) e scommetto che anche i trogloditi erano sbalorditi dalle sconvolgenti innovazioni del paleolitico, come il sasso appuntito o le mani a conchetta. Naturalmente è solo una questione di prospettiva: quando in un’epoca ci vivi sai che c’è il neoprogressive, l’acid rock, il garage rock, l’epic metal, il death, doom, black, glam, punk, folk, funk metal, mentre la musica di duecento anni fa si chiama musica classica e basta, e non importa se ci sono più differenze fra due sonate di Beethoven che fra Celentano e i Daft Punk. Da vicino le differenze si vedono meglio e si vedono tutte, poi arriva il grande filtro della Storia (per comodità GFS) e spazza via tutta l’immondizia. Il passato si semplifica.
Qual è la musica di oggi che verrà ricordata fra cento anni? Per esempio, i vicini di Beethoven si rendevano conto che quel tizio strambo coi capelli unti sarebbe diventato quello che è diventato? Intendo un grandissimo musicista, non sordo. C’è solo una cosa peggiore dell’oblio a cui tutti siamo destinati (sì, anche tu), essere ricordati come quelli che non hanno riconosciuto il genio del proprio vicino di casa. Io per sicurezza chiamo tutti “maestro”.
Chi riempirà la casella dopo Stravinskij o Shostakovich nelle inevitabili raccolte “i grandi della musica classica”, “i grandi classici della musica”, “la classica musica dei grandi” e così via? Cosa si eseguirà nelle sale da concerto del 2365? John Cage o i Pet Shop Boys? Elliott Carter o Michael Jackson? Fa un certo effetto pensare a un Riccardo Muti del futuro che in smoking e bacchetta laser dirige Thriller, magari davanti a una platea di vecchi parrucconi che si lamentano quando uno applaude fra Beat It e Billie Jean.


Sublime.

Davvero struggente, non mi sono mai strutto tanto.

Si sente chiaramente l’influenza dei Metallica.

Peccato che l’interpretazione dei sintetizzatori sia stata decisamente troppo... come dire?

Funky?

È esattamente la parola che cercavo.


Ai tempi di Beethoven c’erano Dussek, Méhul, Hoffmann, Humboldt, Spohr (sono musicisti, non malattie), ma ora chi se li ricorda? Eppure erano più famosi di Beethoven, più ricchi di Beethoven e con più donne di Beethoven, anche se avere più donne di zero non è molto difficile. Tutta questa gente non è sopravvissuta al GFS e oggi, per ascoltare la loro musica, bisogna incappare nella giornata storta di un conduttore di Radio 3. Perché?
La mia opinione è che per passare il GFS non sia sufficiente avere un pubblico, ma sia anche necessario che questo pubblico abbia un peso nella società del tempo. Se vuoi lasciare il segno nella Storia, il tuo pubblico deve essere fatto dalla gente che fa la Storia. Che sia un pubblico numeroso conta fino a un certo punto, potrebbe anche essere fatto da una sola persona se questa persona fosse l’imperatore Marco Aurelio e ti trovassi nell’antica Roma invece che in un istituto psichiatrico.
Per esempio l’eclettico Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, musicista, pittore, scrittore e ragioniere di corte, era apprezzatissimo dal popolo, ma, purtroppo per lui, nell’Ottocento il popolo contava più o meno come i gatti. Per non parlare di Louis Spohr che riempiva le sale da concerto di gatti. Beethoven, invece, era apprezzato dall’alta borghesia e bisogna ammettere che essere apprezzati dalla borghesia nel secolo dell’ascesa della borghesia non è niente male, un po’ come essere apprezzati dall’aristocrazia nel Settecento o dai dinosauri nella preistoria.
Oggi è finalmente venuto il tempo del popolo, e quindi si può facilmente prevedere che la musica classica del futuro non sarà Elliott Carter, ma Michael Jackson.

IL PREDESTINATO

UNO NON VALE UNO

Come molti avranno notato, oggi va di moda la democrazia, e va di moda nel particolare significato che questa parola ha qui e ora, dove “ora” è il 208 dopo John Stuart Mill e “qui” è internet. Questo significato, in modo molto approssimativo, può essere così riassunto: uno vale uno, dove col primo “uno” si intende uno e col secondo “uno” si intende 1. Verifichiamo subito se è vero.

Il macellaio sotto casa vale uno.

Einstein vale uno.

Einstein vale il macellaio sotto casa.

No. Se si parla di gravità Einstein vale più del macellaio, se si parla di bistecche il macellaio vale più di Einstein. Per far sì che Einstein e il macellaio valgano allo stesso modo bisogna restringere il campo a quei pochi argomenti che entrambi più o meno conoscono e sui quali entrambi sono in grado di esprimere un’opinione, come per esempio la pulizia delle strade. In tutti i casi dove è invece richiesta una competenza specifica bisogna ammettere, per quanto possa sembrare scortese, che uno non vale uno. È il motivo per cui non si fanno le elezioni per i piloti d’aereo, i chirurghi o le teorie scientifiche. Non ancora, almeno.
Si dice anche che internet favorisca il diffondersi della conoscenza, perché se uno (che vale uno) dice in rete una cosa falsa viene subito sbugiardato da tanti altri (che valgono più di uno). Ma è vero? Se uno dice che il Sole ruota attorno alla Terra tutti capiscono che sta dicendo una stupidaggine (quasi tutti, va’), ma se arriva un signore che parla di cellule staminali mesenchimali che si trasformano in neuroni, come si fa a sapere se quello che dice è vero o falso? Io non so assolutamente niente di queste cose, per me potrebbe anche dire che le cellule germinali ribosomiche si trasformano in cotolette. Certo, se uno guardasse la foto di quest’uomo noterebbe subito che è pettinato come adesso si usa fra i ciarlatani


ma purtroppo non tutti prendono con la dovuta serietà quello che la pettinatura di una persona dice, e così succede che, se uno vale uno e la competenza vale zero, le chiacchiere di un ciarlatano qualsiasi valgono tanto quanto un editoriale di Nature.
Se c’è una cosa che internet contribuisce a diffondere non è la conoscenza ma sono le dicerie, le bufale, le teorie del complotto e in generale tutte le chiacchiere senza fondamento, e questo non perché ci sia qualcosa che non va nel mezzo, ma perché la conoscenza costa fatica mentre le stupidaggini scivolano nella testa che è un piacere.
Purtroppo il sapere non è democratico.

IL DONO DELLA PAROLA

SCHUMAMBULANZA

Dopo sei anni di processo (ben centodieci se si considera il sistema binario) si è finalmente chiusa la causa sulla sonata per violino e pianoforte in Re minore op. 121 di Robert Schumann, che ha visto contrapposti il signor Giangiacomo Bixio e la Croce Rossa. Quest’ultima, in base alla sentenza della corte suprema della seconda sezione penale di Forum, è stata ritenuta colpevole di aver diffuso in pubblico la suddetta sonata senza autorizzazione, senza citare la fonte e senza abito da sera, per un numero di volte così grande che le stime più prudenti quantificano in “a bizzeffe”. Pertanto la Croce Rossa dovrà pagare un risarcimento di un milione e centodieci mila euro (nel sistema decimale) al signor Bixio, quale detentore dei diritti d’autore di tutte le opere di Schumann, essendone il parente più prossimo secondo il seguente albero genealogico


La Croce Rossa, in barba a tutte le leggi sul diritto d’autore, ha diffuso per anni la musica di Schumann in tutte le strade del mondo e per di più a un volume assurdamente alto. Le prove? Basta ascoltare la famosa sirena delle ambulanze



La somiglianza con la prima battuta dell'ultimo movimento della sonata op. 121 è impressionante.


Se poi viene messa in loop non ci sono più dubbi.



Si tratta di un plagio grossolano, reso appena meno evidente dalla deformazione acustica dovuta all’effetto Doppler. Tra parentesi, anche i discendenti di Christian Andreas Doppler stanno pensando di fare causa alla Croce Rossa.
I legali di quest’ultima hanno più volte sottolineato che si è sempre trattato di riproduzioni senza fini di lucro. Ah ah ah, è stata la risposta degli avvocati del signor Bixio, i quali hanno dalla loro prove pesanti come banconote. Nessuno nega l’importanza della Croce Rossa nel dare soccorso ai malati, ma il fatto che uno sia malato non lo autorizza certo ad ascoltare musica gratis. Per non parlare dell’enorme danno d’immagine: quando a un concerto si esegue Schumann, la gente si butta di lato con le quattro frecce.
Siccome l’esistenza di una legge non è sufficiente di per sé a tutelare le prerogative dei cittadini, Giangiacomo Bixio ha saggiamente depositato a suo tempo i diritti delle opere di Schumann presso la SIAE (Stupid Interposers, Accustomed to Excrement). Se non l’avesse fatto, forse non sarebbe stato possibile dimostrare la sua lontana parentela con la famiglia Schumann (in fondo discendiamo tutti da un’unica cellula primordiale, no?) e ottenere il giusto risarcimento, così se adesso qualcuno volesse ascoltare Schumann a sbafo, magari comodamente sdraiato su una barella, non dovrebbe far altro che gettarsi in un fiume.
A proposito, il signor Bixio detiene anche i diritti sul gettarsi in un fiume, visto che era l’hobby preferito di Schumann. Chiunque voglia tentare regolarmente il suicidio deve prima versare una quota di 15 € per la liberatoria.

IL GENTILUOMO