LO TSUNAMI

Fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno dove fosse la Polinesia. Per me Polinesia, Maldive, Caraibi e tutti questi posti rinomati per la loro paradisiacità tropicale costituivano un unico blocco indistinto ed erano tutti archiviati nella stessa cartella cerebrale, una cartella essenzialmente vuota. Non so nemmeno quanto fossi consapevole che si trattasse di posti diversi, in oceani diversi, a svariate centinaia di euro di volo gli uni dagli altri. Non si può sapere tutto, no? Quando un argomento non ti interessa è normale non saperne niente; come quando è morto David Bowie e quel giorno, con mia grande sorpresa, ho scoperto che non era Sting (Sting, giusto?).

Della mia passione per le isole tropicali deserte ho già detto (vedi L'isola deserta), quello che non ho detto è che le prime isole che ho sorvolato standomene comodamente seduto nel mio bagno erano, a mia insaputa, isole della Polinesia, in particolare Bora Bora, isola dove oggi non andrei mai per diverse ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare e che possono grosso modo essere riassunte così: è un lunadimielificio pieno di buzzurri (isola tropicale: ✅ deserta: ❌).

Dopo qualche ricerca, la prima cosa che ho scoperto della Polinesia è che la parola "Polinesia" vuol dire tutto e niente, un po' come "Sud America": c'è Tonga, Samoa, le isole Cook, ma per esempio non ci sono le Figi; le Figi sono Melanesia. Per questo motivo ho ristretto il mio campo di interesse alla Polinesia francese. "Ristretto" per modo di dire, visto che la Polinesia francese, pur avendo la superficie del Molise, è sparpagliata su un'area più grande dell'Europa; un paio di isole non sono nemmeno ai tropici: Raivavae e Rapa Iti, quest'ultima da non confondere con Rapa Nui, che è del Cile (come si sarà notato, ora conosco tutta la geografia del Pacifico da Lord Howe alle Galapagos).

Appurato questo, sono passato a verificare se questa famosa Polinesia francese, oltre a essere un paradiso dal punto di vista paesaggistico e climatico, lo è anche dal punto di vista dell'incolumità personale: lo è. Niente ragni, niente serpenti, niente squali eccetera; o meglio: ragni, serpenti, squali eccetera ci sono, ma sono innocui. Per esempio i caratteristici squali di barriera che popolano le lagune (stavo per dire "infestano"), superano a fatica il metro e mezzo e scappano a pinne levate appena ti vedono. Quattordici attacchi non provocati negli ultimi settant’anni, possiamo dire che significa "squali innocui", vero? E nessuno di questi è stato mortale; al massimo ti mangiano un dito, che vuoi che sia? Abbiamo tantissime dita.
La Polinesia francese non è come l'Australia dove mancano solo i velociraptor, e poi ha quel "francese" nel nome che è tanto rassicurante: a colazione hai il tuo pain au chocolat col café au lait e tutti vanno in canoa con la baguette sotto braccio. Sarei stato molto più preoccupato se si fosse chiamata, che so, "Polinesia messicana".
A proposito di Messico, il tasso di criminalità della Polinesia francese è tra i più bassi del mondo, più basso che in Italia. Non è bellissimo? A Taha'a, una delle cosiddette Isole della Società, non mettevamo nemmeno il lucchetto alle bici. A Bologna la bici te la rubano anche se la incateni a una trave d'acciaio dentro a un caveau sorvegliato dall'FBI, e se proprio non riescono a rubartela, te la distruggono (a Bologna distruggono tutto, non ho mai capito perché); invece in Polinesia francese nessuno ti importuna, tutti sono rilassati e la gente non solo si ferma per farti attraversare sulle strisce come in tutti i paesi civili, ma mette pure le quattro frecce per farti capire che ti ha visto e che se ti senti più tranquillo può anche parcheggiare lì e fingere di dormire.
Non c'è nemmeno la malaria, flagello di tanti paesi tropicali, e le zecche non trasmettono il morbo di Lyme, come invece può succedere qui in Italia. C'è un po' di dengue, ok, ma al giorno d'oggi dov'è che non c'è la dengue?
L'unica cosa davvero pericolosa sono gli tsunami se per caso ti trovi su un atollo. Se sei su un'isola montagnosa come Tahiti non c'è problema, basta spostarsi un po' verso l'interno e sei a posto, ma se sei su un atollo, dove l'altezza massima sul livello del mare è circa un umano e mezzo, allora potresti essere discretamente nella merda. Ma per fortuna gli tsunami sono molto rari; preoccuparsi degli tsunami mentre si è in Polinesia francese è come preoccuparsi dei fulmini quando si esce di casa. Chi è che si preoccupa dei fulmini? A parte me, dico.

Ad ogni modo, non è per stare in un posto sicuro che sono andato in Polinesia, se volevo un posto sicuro potevo chiudermi in casa mia, che è il posto più sicuro del mondo, in particolare sotto il tavolo della cucina (Bologna è zona sismica); in Polinesia ci sono andato per tanti altri motivi, ma principalmente per avvicinarmi un po' di più al mio ideale di "essere abbandonato su un'isola deserta" senza essere davvero abbandonato su un'isola deserta (quest'ultimo aspetto è fondamentale).

L'isola deserta, per essere definita tale, deve avere queste due caratteristiche fondamentali: (1) deve essere disabitata e (2) non deve essere visibile nessun segno della presenza umana, né diretto né indiretto, fin dove lo sguardo può arrivare (togliersi gli occhiali non vale); quindi in primo luogo non devono esserci turisti nei paraggi, le persone peggiori da incontrare quando si è in viaggio perché ti ricordano immediatamente che anche tu sei un turista, ma non devono nemmeno esserci autoctoni. Certo, è sempre interessante vedere come vive la gente in un posto totalmente diverso dal tuo, per esempio un posto dove le isole vengono chiamate "terra" (fenua) e i piccoli banchi di sabbia che le circondano "isole" (motu), ma non è questa l'esperienza che più di tutte mi interessa fare; se voglio incontrare gente completamente diversa da me, mi basta andare in pizzeria il sabato sera.
Allo stesso tempo, però, l'isola deve avere alcune altre caratteristiche senza le quali non potrei godere appieno dell'esperienza, vale a dire deve esserci un letto, un bagno con lo sciacquone corredato di carta igienica e circondato da quattro pareti che arrivano fino al soffitto, un soffitto, del cibo e ovviamente internet, per contattare qualcuno nel caso ci fosse un'emergenza, per esempio se finisse la birra. Tutte queste condizioni sono necessarie affinché la sensazione "ah che bello sono su un'isola deserta!" non sia sopraffatta dalla sensazione "oh mio dio sono su un'isola deserta!".

Bene, dopo varie ricerche ho scoperto che queste caratteristiche sono tutte soddisfatte nelle Tuamotu.


Le Tuamotu sono l'arcipelago di atolli più grandi e più remoti del mondo, così remoti che fino agli anni Novanta i francesi ci facevano gli esperimenti nucleari.
Questo per esempio è Tikehau.


Sembra un protozoo.
In tutto sono un'ottantina di atolli, la maggior parte disabitati, e anche quelli abitati hanno pochissimi abitanti, quasi tutti radunati in un piccolo villaggio; le strutture turistiche sono pochissime. Non so se si capisce dove voglio arrivare.


Quando ho visto l'immagine qua sopra sono sobbalzato sul water. 

Un atollo è un sottile anello di isolette di sabbia (motu, appunto) che costituiscono la parte emersa di una barriera corallina più o meno continua; ognuno di questi motu è separato da quelli vicini da stretti bracci di mare (hoa) che in molti casi sono facilmente attraversabili in canoa, a nuoto o addirittura a piedi. Con la bassa marea certi hoa sono talmente poco profondi che l'acqua ti arriva alle caviglie, ma quell'acqua è pur sempre oceano, no? E dunque questi motu, per quanto piccoli e per quanto vicini l'uno all'altro, sono pur sempre isole: isole tropicali deserte a poche decine di minuti di barca da un villaggio dove, se necessario, c'è qualcuno da contattare in caso di bisogno (isola tropicale: ✅ deserta: ✅ non morire: ✅).
A questo punto è stato sufficiente trovare un motu con una casa in affitto e andare lì con un'adeguata scorta di cibo insieme a Maria Paola e due nostre amiche (quando vuoi stare da solo su un'isola deserta, è sempre meglio essere in compagnia).


Perfetta, no?
Pazienza se la casa non aveva l'acqua calda e ospitava un certo numero di insetti (non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi...), l'importante è che l'isola fosse esattamente come la volevo. Ok, c'era anche una casa abitata sul motu vicino, ma che importa? Bastava guardare sempre nella direzione opposta.

I giorni passati lì mi hanno fatto capire cos'è che mi piace tanto degli atolli: non è solo l'isolamento, i grandi spazi, la natura eccetera, è che il paesaggio è talmente strano che mi fa ricordare che mi trovo su un pianeta di un sistema solare nella periferia di una galassia a disco all'interno di un oggetto che chiamiamo confidenzialmente "universo". Certo, esistono paesaggi anche più strani, tipo l'Antartide o la Fossa delle Marianne, ma sono leggermente meno ospitali. Negli atolli c'è il giusto mix di minaccia cosmica e accoglienza terrestre: sul lato oceano hai le onde che sbattono costantemente contro la barriera con la chiara intenzione di ucciderti; un posto fatto di coralli pietrificati e detriti taglienti, dove non c'è mai silenzio;


mentre sul lato laguna hai il tipico paesaggio da cartolina.


È difficile impedirsi di fare continuamente avanti e indietro tra lato oceano e lato laguna per verificare che due posti così diversi possano essere davvero così vicini.
Ora, non vorrei scadere nel filosofico spicciolo (forse è già troppo tardi), ma il mondo in cui normalmente viviamo, cioè quel mondo fatto di appuntamenti, notizie, scocciatori, parcheggi, telefonate e in generale parole familiari che ricoprono cose che non riusciamo a concepire ("felicità", "morte", "universo" tanto per dirne tre a caso), è un mondo molto comodo perché ci permette di funzionare, ma è finto; è come l'illuminazione artificiale delle città: utile, ma ti impedisce di vedere cos'hai davvero sopra la testa.


Sembra una foto dallo spazio, vero? Invece l'ho fatta banalmente col telefono.

Gli atolli ti aiutano a vedere il mondo com’è veramente: alieno.
Va detto che in questo senso anche lo studio della cosmologia aiuterebbe, ma maneggiare tensori quadridimensionali è molto più impegnativo che spaparanzarsi sulla spiaggia a guardare il mare.
Altra cosa da dire, ancora più importante, è che purtroppo, sia che tu ricorra agli atolli o alla cosmologia, è impossibile riuscire a estraniarsi completamente da se stessi e vedere il mondo in modo autentico fino in fondo. È ovvio: per vedere il mondo nel suo modo di essere completamente non umano, dovremmo riuscire a non essere umani. Anche il solo fatto di trovare un paesaggio bello o un'ipotesi scientifica interessante, significa che stiamo umanizzando il mondo; "bello" e "interessante" sono due cose che stanno nella testa di chi guarda, non nella cosa guardata. Se stessimo davvero percependo il mondo in modo autentico, l'unica cosa che dovremmo provare è disorientamento: non sapere dove siamo, non sapere chi siamo; tutto questo da sobri, eh.
Ed è qui che arriva lo tsunami.

Mentre ero alle Tuamotu, il sito dell'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese pubblica il seguente comunicato:

"Un fortissimo terremoto di magnitudo 8,7 ha avuto luogo nella Kamčatka, nella Russia orientale, il 29 luglio 2025 alle ore 13:25 (ora di Tahiti). Le isole Marchesi [...], a partire dalle 00:57 di mercoledì 30 luglio 2025, sono interessate da un impatto con un’onda oceanica alta da 1,10 m fino a 4 m a Nuku Hiva [...]. Gli altri arcipelaghi della Polinesia francese dovrebbero essere interessati da un innalzamento del livello del mare inferiore a 30 cm, che non richiede evacuazione né messa in sicurezza, ma si raccomanda comunque prudenza: è necessario allontanarsi dalle coste e dai fiumi".
Fine del comunicato.
A prima vista sembra rassicurante: "30 cm", "non richiede evacuazione"... e infatti Maria Paola e le altre vanno a dormire senza problemi, anzi mi trattano pure in modo un po' spazientito quando propongo di chiamare un elicottero e farci trasportare immediatamente in un altro oceano; ma se si legge più attentamente quel comunicato e si considera in modo meno sbrigativo la nostra situazione, si noterà che c'erano vari motivi per non essere del tutto tranquilli.

Prima di tutto c'è quel "dovrebbero"; il comunicato dice "gli altri arcipelaghi dovrebbero essere interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", non "gli altri arcipelaghi saranno interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", fa una bella differenza. Che cazzo vuol dire "dovrebbero"? Vuol per caso dire che l'innalzamento potrebbe essere più grande? Quanto più grande? Siamo qui su un atollo in mezzo al Pacifico, non è che io mi senta tanto tranquillo se mi dici che sta arrivando uno tsunami che non dovrebbe uccidermi.

«Mi scusi, sa per caso dirmi se i funghi dei vostri tramezzini sono velenosi?»
«No, stia tranquillo, dovrebbero essere commestibili».

Poi c'è quella questione dei 30 cm: sono davvero così pochi? Voglio dire, abitando a Bologna non ho molta esperienza di tsunami, ci sono state un paio di alluvioni negli ultimi anni e si sono allagate alcune strade del mio quartiere, ma non credo che questo conti. Cosa succede se arriva un'onda tsunamica di 30 cm mentre sono su un banco di sabbia al livello del mare? Di sicuro si allaga tutto, e va beh, ma non è che per caso quest'onda, benché bassa, ha la forza di trascinarmi in mare? Io non è che sappia nuotare tanto bene; quando sono in mare, appena c'è una minima corrente io mi metto subito a pancia in su e aspetto i soccorsi.
Una delle due nostre amiche cerca di rassicurarmi:

«Tranquillo, con 30 cm ti bagni solo i piedi».
«Tranquillo? Come faccio a stare tranquillo se alle Marchesi, che sono qua dietro, sono previste onde di 4 m?» ("qua dietro" vuol dire 1000 km).
«Dai, 4 m sono pochi! Gli tsunami di cui preoccuparsi sono alti 10 m».

Ho evitato di farle notare che noi quattro abbiamo una statura inferiore ai 4 m e che sfortunatamente non abbiamo ancora sviluppato le branchie.

Infine nel comunicato c'è quell'ultima raccomandazione che mi ha davvero gettato nel panico: "è necessario allontanarsi dalle coste". Ma perché? Se con 30 cm non c'è pericolo, perché mi chiedi di allontanarmi dalle coste? Ma soprattutto come faccio ad allontanarmi dalle coste se sto su un'isola con un diametro di 50 m? L'ho misurato su Google Maps: 50 m. Se mi allontano da una costa, finisco sulla costa opposta. L'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese non sa che le Tuamotu fanno parte della Polinesia francese? E che, fra le loro numerose e notevoli caratteristiche, c’è anche il fatto che non è fisicamente possibile allontanarsi dalle coste? Ma ormai tutti questi pensieri li stavo rimuginando fra me e ChatGPT, perché le altre tre erano già nelle loro rispettive stanze a dormire. Dormire! Vorrei tanto avere la serenità (stavo per scrivere "incoscienza") di dormire durante un'allerta tsunami...

A quel punto, il mio piano era questo: mi siedo sul pontile per controllare che il livello del mare non cambi in modo anomalo e intanto aspetto le 00:57, cioè l'ora in cui lo tsunami dovrebbe arrivare alle isole Marchesi; dopo di che cerco in rete informazioni sui danni provocati e l'effettiva altezza delle onde, e in base a questo decido il da farsi: se a Nuku Hiva non è arrivata la famosa onda di 4 m, allora posso stare tranquillo e andare a dormire, se invece è arrivata allora noi saremo i prossimi; calcolando che la velocità tipica di uno tsunami in mare aperto è circa 500-800 km/h, avrei avuto un margine di 1:30-2 ore per mettermi in salvo, quindi avrei preparato lo zaino con acqua, cracker e madeleine, e poi sarei andato a svegliare Maria Paola e l'avrei convinta a salire con me su una canoa per andare in mare aperto, dove l'onda dello tsunami sarebbe stata più bassa; pazienza per le nostre due amiche, non sarei mai riuscito a convincerle del pericolo.
Era un piano perfetto, peccato che, quando arrivano le 00:57, di Nuku Hiva non c'è nessuna notizia in rete; passa l'una e ancora niente; l'una e mezza, niente; il comunicato, che ormai avevo letto 516 volte, dice infatti che lo tsunami sarebbe arrivato "a partire dalle 00:57" non "alle 00:57" (ma chi è il sadico che scrive questi comunicati?); le due e ancora niente; il tempo passa e dalle Marchesi non arriva nessuna notizia. Vado avanti così ancora per un po' finché, senza nessun preavviso, il mio corpo decide di addormentarsi: lui ha capito che non sarebbe arrivato nessuno tsunami.

Non so quanto avrò dormito. A un certo punto mi sveglio di colpo in mezzo alla notte e provo quella tipica sensazione che penso tutti abbiamo provato qualche volta quando ci svegliamo in un posto diverso dal solito: per qualche secondo non so più dove sono né chi sono, era come se fossi apparso per la prima volta dal nulla.
Penso che siano questi i momenti in cui riusciamo a vedere il mondo com'è veramente, solo che non serve andare fino in Polinesia, basta addormentarsi sul divano.

COSA DICEVA PLATONE DEI QUALUNQUISTI

C’è un passo nella Repubblica di Platone in cui si parla dei qualunquisti. Ovviamente al tempo non erano chiamati così, ma "isoti", cioè "equiparatori", dal verbo "ἐξισόω" che significa rendere uguale, livellare​. Gli equiparatori erano quelli che dicevano cose del tipo "Cleone e Pericle alla fine sono la stessa cosa".
È incredibile come 2500 anni fa ci fossero già tutti i tipi umani che oggi contribuiscono a rendere il mondo una merda: i populisti che fanno gli amici delle masse (demagoghi), i loro tirapiedi che sperano in qualche tornaconto (sicofanti), i boccaloni che si bevono tutto (euetei) e i qualunquisti che scambiano la propria ignoranza per saggezza (isoti).
Il passo è questo qua.

«Dimmi, Adimanto, chi è peggiore tra il demagogo, i suoi sicofanti, gli euetei che lo sostengono e gli equiparatori, che appiattiscono ogni differenza tra giusto e ingiusto, credendo così di essere più saggi degli altri?»

«Non mi sembra giusto chiamare ignoranti gli equiparatori,» rispose Adimanto. «Sono cittadini come noi, non schiavi o donne, e hanno facoltà di esprimere il loro pensiero».

«Risparmiami la tua morale, ti prego,» replicò Socrate, «giacché sai che la virtù non si conquista simulando di possederla. Piuttosto dimmi chiaramente il tuo giudizio».

«Se devo rispondere,» disse Adimanto, «penso che i sicofanti siano i peggiori: delatori e opportunisti sempre pronti a compiacere i potenti per ottenere favori. Il demagogo sfrutta passioni e istinti diffusi nella massa, ma sono i suoi sicofanti – consiglieri, sofisti, oratori – a trasformare la sua retorica in potere concreto. Costoro amplificano le sue falsità per trarre vantaggio dal disordine che essi stessi generano».

«Ciò che dici è corretto. Eppure,» ribatté Socrate, «i sicofanti hanno almeno un tornaconto personale, mentre gli euetei non solo non ottengono nulla, ma danneggiano anche se stessi».

«Questo è vero,» rispose Adimanto, «ma gli euetei sono vittime ingannate da falsità, timori e vane illusioni, mentre l’errore più grave resta dei sicofanti, poiché senza di loro il demagogo rimarrebbe solo una figura ridicola priva di potere, simile ai mimi di strada».

«Considera, tuttavia,» osservò Socrate, «che gli euetei, sostenendo i propositi iniqui del demagogo, agiscono spinti dall'odio senza ottenere nulla in cambio. A differenza dei sicofanti, il loro male è duplice, poiché alla malvagità uniscono l’incapacità di discernere. Chi dunque è peggiore, caro Adimanto: chi fa il male consapevolmente a proprio vantaggio o chi lo fa inconsapevolmente a proprio danno?»

«Peggiore,» rispose Adimanto, «è certamente chi agisce senza sapere ciò che fa».

«E allora chi è peggiore, gli euetei o i sicofanti?» domandò Socrate.

«Gli euetei,» disse Adimanto senza esitazione. «Perché un sicofante, per quanto meschino, può essere confutato con il ragionamento, mentre una massa cieca e adorante, incapace di ragionare, è incontrollabile».

«Sono d'accordo con te!» disse Socrate. «Ora dimmi, sai perché gli equiparatori sono persino peggio degli euetei?»

«Lo so bene,» rispose Adimanto, «perché essi, pur avendo in sé la capacità di discernere il giusto dall'ingiusto, vi rinunciano per ignoranza e affermano che tutto è uguale, sottraendosi così alla responsabilità di opporsi al male».

«Ben detto, Adimanto!» rispose Socrate, e aggiunse «gli equiparatori scambiano la loro ignoranza per un'indistinzione propria dell'essere, come chi avendo la vista offuscata crede che il mondo intero sia avvolto nella nebbia. Gli euetei almeno riconoscono la malvagità del demagogo e lo appoggiano proprio perché la trovano conforme ai loro desideri, invece questi maledetti isoti, a causa della loro superba ignoranza, non riescono nemmeno a vedere la differenza tra un uomo probo e un malfattore».

«L'ignoranza», aggiunse Adimanto, «è un vizio ben più grave della stupidità, poiché mentre lo stupido è privo di colpe, essendo tale per natura, l'ignorante è responsabile della propria condizione».

«Mi hai tolto le parole di bocca, Adimanto!»

«Bene, Socrate! Vedo che siamo sulla stessa linea. 🚀»

IL MIO AMICO CIOP

I ragni mi hanno sempre fatto paura. Fino a poco tempo fa, se per caso ne vedevo uno in casa, lo ammazzavo istantaneamente, senza nemmeno chiedermi se fosse un innocuo ragno arlecchino (Salticus scenicus) o un pericolosissimo ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney (Atrax robustus); nemmeno sapevo che esistessero i ragni arlecchino o i ragni di Sydney, l'unica cosa che sapevo dei ragni è che mi facevano paura. Non è colpa mia se sono creature mostruose.

Poi, qualche anno fa, ho iniziato a seguire Nicola Bressi su Twitter, un naturalista e zoologo che con grande pazienza risponde a tutti quelli che gli mandano foto di ragni, insetti e altri esseri immondi per sapere se sono innocui o se è il caso di bruciare la casa e cospargere le macerie di sale. Nella quasi totalità dei casi sono innocui (mai fidarsi delle apparenze). Piccolo inciso: non poter più seguire Nicola Bressi è uno dei motivi per cui mi spiace avere abbandonato Twitter, ma come si fa? Ormai pubblicare contenuti su quel social mi faceva sentire come uno dei 50000 dipendenti che lavoravano alla produzione di uniformi delle SS: il tuo contributo è irrilevante, ma ti senti comunque un po' una merda.

Pian piano, grazie a Nicola Bressi e alla sua attività divulgativa, ho imparato a conoscere i ragni, perlomeno quelli più comuni, e adesso posso dire di non avere più paura. O, meglio, non ho più paura dei ragni innocui, mentre ho ancora paura di quelli pericolosi, ma in ogni caso molta meno paura rispetto a prima, quando non ne sapevo assolutamente niente. È sempre così: l'ignoranza ti fa avere paura.

Ora so che in Italia ci sono solo due specie di ragni potenzialmente pericolosi: la malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus), che si trova solo all'aperto (dunque basta non uscire mai di casa) e il famoso ragno violino (Loxosceles rufescens) che, è vero, si è adattato a vivere nelle nostre case, ma ora so più o meno riconoscerlo: è grande circa 5 cm (zampe comprese), non fa ragnatele, vive nascosto sotto i mobili o dietro i quadri, esce solo di notte per cacciare, non caccia esseri umani.
Quindi, in sintesi: se trovi in casa un ragno piccolissimo o enorme, è innocuo; se è appollaiato nella sua ragnatela, è innocuo; se sta andando in giro per casa di giorno, è innocuo: probabile che si tratti di un banale ragno delle case (Tegenaria domestica). E poi, altro fondamentale motivo per non avere paura nemmeno dei ragni pericolosi, è che non sono interessati a noi; per un ragno noi siamo parte del paesaggio, non gli viene neanche in mente di attaccarci senza motivo (a parte il suddetto ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney, che però per fortuna sta a Sydney).
Per tutti questi motivi ho smesso di uccidere ragni a caso. Certo, se la sera, appiattendosi sotto la porta, mi entra in casa un Hogna radiata, lo prendo immediatamente a ciabattate. Mi spiace Hogna radiata, fai troppo schifo. Ma a parte questo, i ragni non hanno più niente da temere da me (ora che ci penso, anche gli Zoropsidi non possono stare del tutto tranquilli).

Un giorno, l'estate scorsa, vedo sul pavimento vicino alla finestra della cucina un mucchietto di moscerini morti. Strano. Com'è possibile che tutti questi moscerini siano andati a morire nello stesso posto nello stesso momento? Guardo in alto e sul soffitto, nell'angolo vicino alla finestra, vedo un ragno di circa 5 cm comprese le zampe (prendo la ciabatta) appollaiato nella sua ragnatela (poso la ciabatta) che se ne sta lì senza paura in pieno giorno (ho controllato, era giorno), dunque non può essere un ragno violino.
Infatti è un ragno ballerino (Pholcus phalangioides), che non solo è innocuo (i suoi cheliceri sono troppo piccoli per trapassare la pelle umana e inoltre non avrebbe mai la pazienza di avvolgere tutta una persona in un bozzolo di tela), ma è per di più estremamente utile, come stava lì a dimostrare il mucchietto di moscerini morti sul pavimento.
Poco distante, in una rientranza del controsoffitto, vedo che ce n'è un altro. Evviva!

Li ho chiamati Cip e Ciop: Cip è quello più defilato, Ciop è quello sopra la finestra della cucina. Sì, lo so, sono due nomi di merda, ma purtroppo sono i primi nomi che mi sono venuti in mente quando li ho visti. Se mi fossi preso un po’ più di tempo per pensarci, li avrei chiamati Secerno e Sgambetti, i nomi che avrei voluto dare ai miei figli se per sbaglio ne avessi avuti, ma ormai è andata così: Cip e Ciop.
Io do sempre i nomi alle cose, per esempio il Ficus elastica nello studio si chiama Rodrigo, il roomba si chiama Renato, il servo muto in camera si chiama Ambrogio. Che poi, mi dico, che bisogno c'era di chiamare Ambrogio un oggetto che ha già un nome così bello: "servo muto", le due caratteristiche che più si apprezzano di una persona.

Cip e Ciop sono due creature davvero eccezionali: se ne stanno sempre nello stesso posto, non sporcano (cadaveri di moscerini a parte) e le loro ragnatele sono praticamente invisibili, ma soprattutto ti ripuliscono la casa di moscerini e zanzare senza dovere spruzzare insetticidi o spendere due milioni e mezzo di euro per installare delle zanzariere. E non è finita, bonus aggiuntivo: se un eventuale ragno violino dovesse finire nella loro ragnatela, lo mangerebbero. È inevitabile che uno si affezioni.

Finalmente anch'io ho degli animaletti domestici da accudire. Per qualche motivo il mio preferito è Ciop, non so perché, sarà che è quello che ho incontrato per primo, ma anche Cip mi sta simpatico.
I ragni ballerini hanno molti pro rispetto a cani e gatti: non devi pulire lettiere o altro, non devi mai comprargli da mangiare, non ti distruggono la casa, non vanno portati fuori di tanto in tanto, non puzzano, sono perfettamente autosufficienti e non hanno quella discutibile abitudine che hanno i gatti di ostentare il loro ano, che, per quanto sia innocuo, è difficile dimenticare a cosa serva, soprattutto quando ti si siedono in faccia mentre dormi. I ragni ballerini non so nemmeno dove ce l'abbiano, l'ano; a dir la verità non so nemmeno se ce l'hanno, cosa che li renderebbe delle creature perfette.
Purtroppo hanno anche dei contro, per esempio non sono particolarmente affettuosi: non ti fanno le feste quando torni a casa, se provi ad accarezzarli scappano come impazziti e non cercano mai la tua compagnia, neanche per sbaglio.
Quanto sarebbe bello se Ciop venisse a dormire sul letto insieme a me quando Maria Paola è via per le sue missioni, se la mattina mi svegliasse delicatamente con le sue zampette, se si raggomitolasse sulle mie ginocchia quando leggo un libro.

Con la fine dell'estate, di moscerini in casa se ne sono visti sempre meno, finché a un certo punto, verso metà ottobre, sono scomparsi del tutto. Quanto può vivere un ragno ballerino senza mangiare? Due o tre mesi, dicono, ma c'è da fidarsi? Com'è ovvio ho iniziato a preoccuparmi per la salute di Ciop. Anche per quella di Cip, chiaro.
Ogni tanto lascio aperto il vasistas della finestra sotto la ragnatela di Ciop, nella speranza che entri qualcosa, ma niente. Dove cazzo vanno tutti i moscerini quando fa freddo? Emigrano nell'emisfero australe come le rondini?
Nel frattempo Ciop, in questi mesi, ha sferruzzato una ragnatela enorme: è uno spettacolo vederla ondeggiare come la superficie di un mare di seta mosso dall'aria del vasistas, ma purtroppo non serve a niente, di moscerini non ce ne sono.

Ogni mattina, quando mi alzo, controllo se per caso Ciop ha catturato qualcosa; niente, la ragnatela è sempre vuota; sempre più grande, ma sempre vuota. Una mattina però, colpo di scena, nella ragnatela trovo un ragno morto! In un angolo c'è Ciop, fresco e pieno di energia come non lo vedevo da tempo, e in mezzo alla ragnatela c'è questo ragno rinsecchito. Che sia un ragno violino? Sarebbe un grandissimo risultato, l'apice della carriera di un ragno ballerino. Osservando con più calma, vedo che non assomiglia per niente a un ragno violino, assomiglia di più a un ragno ballerino. Non avrà mica mangiato Cip? Un triste sacrificio, ma dopotutto necessario. In realtà Cip è ancora lì al suo posto che mi guarda sospettoso.

Alla fine viene fuori che il cadavere di ragno non è in realtà un cadavere di ragno ma la muta di Ciop. Proprio così: a differenza di cani e gatti, i ragni ballerini fanno la muta. Non so se questo può essere messo fra i pro.
Quindi niente, prendo uno stuzzicadenti e faccio un po’ di pulizia nella ragnatela. Ogni tanto va fatto, ma non è certamente disgustoso come pulire una lettiera. Sarà una mia impressione, ma a me sembra che Ciop abbia imparato a riconoscermi. Non scappa più come prima quando cerco di accarezzarlo. Cioè, scappa ancora, ma non come prima.

L'altro giorno mi chiedevo se non fosse il caso di andare in terrazzo a catturare qualche insetto e depositarglielo nella ragnatela. Poi però ho pensato: che morte orribile sarebbe? Immagina se qualcuno ti prendesse e ti lanciasse nella tana di una creatura gigantesca che ti immobilizza avvolgendoti in un bozzolo e poi, mentre sei ancora vivo, ti inietta degli enzimi digestivi che liquefano i tuoi tessuti interni e pian piano li aspira, trasformandoti lentamente in un sacchetto di pelle vuoto. Chi potrebbe mai augurare una morte del genere a una persona, anche se è un insetto?
Quindi che fare? Da un lato non voglio essere la causa diretta di una fine così tremenda, ma dall'altro sarebbe terribile se Ciop morisse, vero Cip?
Cip si limita a fissarmi senza nessun entusiasmo.
Peccato che non esistano le crocchette per ragni: piccole crocchette di mosca da versare tutti i giorni in una ciotolina nella ragnatela. Sono forse l'unico in tutto il pianeta ad avere in casa dei ragni? Non credo.

L'altra notte mi sono svegliato intorno alle quattro, ero agitato; dormo sempre male quando Maria Paola è via. Dopo qualche inutile rigirata nel letto, decido di farmi qualche goccia di Lexotan, così mi alzo per andarlo a prendere. Accendo la luce in camera e sul muro vedo un ragno! Un ragno di notte (✅), senza ragnatela (✅), circa 5 cm comprese le zampe (✅)! Prendo la ciabatta e lo ammazzo. Mi dispiace, ma non potevo mettermi a esaminarlo con attenzione, metti che nel frattempo scappava in qualche anfratto? Chi lo trovava più? Sì, ok, per i ragni siamo paesaggio, ti mordono solo se li schiacci eccetera, tutto vero, ma io col cazzo che dormo se ho il dubbio di avere in camera un ragno violino a briglia sciolta!
La mattina dopo, mentre mi faccio il caffè, guardo la ragnatela di Ciop e non c'è più. Cioè la ragnatela c'è ancora, è Ciop che non c'è più. Inutile che dica quello che ho provato.

Ma perché? Perché, dico io, hai lasciato la tua ragnatela per metterti a girare per casa di notte? Non potevi spostarti di giorno come fanno tutti i ragni innocui? Forse volevi venire nel letto con me a farmi compagnia? Il solo pensiero mi fa venire un nodo alla gola.
Leggo che i ragni ballerini abbandonano la loro ragnatela quando ritengono che il posto non sia più sicuro o per andare in cerca di cibo, e quando lo fanno, lo fanno di notte. Sarà...
Vediamo se lo farà anche Cip.

Ad ogni modo, non capisco come la gente possa abitare a Sydney.


LA COSIDDETTA CARBON FOOTPRINT

Il cambiamento climatico è un fatto accertato: ci sono i dati, c'è una spiegazione fisica, c'è il largo consenso della comunità scientifica (non dei media o dei tuttologi da social, ma di chi studia il clima per lavoro). Per gli stessi motivi (dati, spiegazione, consenso) è anche un fatto accertato che questo cambiamento sia dovuto alle attività umane e che, altro fatto ancora, senza contromisure di qualche tipo saranno cazzi non solo per i coralli e le foreste di kelp, ma anche per gli esseri umani.

Questi sono tutti fatti e tutte le persone informate e obiettive li riconoscono senza problemi; c'è invece più difficoltà a riconoscere un altro fatto altrettanto fattuale e molto più elementare, cioè che la mia iniziativa personale non ha nessun effetto sul clima del pianeta. Anche qui ci sono i dati: la concentrazione di CO₂ in atmosfera non è in nessun modo correlata con i chilometri che faccio in macchina ogni settimana (ho controllato); c'è una spiegazione fisica nota: io consumo molta meno energia rispetto a un intero pianeta; e c'è anche il largo consenso di tutte le persone che sanno contare: 1 è molto minore di 8 miliardi.
Io, da solo, non conto niente. Neanche tu conti niente, eh, non è un problema che ho solo io. Che io domani decida di andare a Pechino con un trattore a gasolio o in pattini a rotelle, per il clima del pianeta non fa assolutamente nessuna differenza. Purtroppo i problemi globali sono fatti così: li si può risolvere solo con politiche globali, non con l'iniziativa personale.

Ciononostante spesso mi capita di sentire qualcuno che rinuncia a prendere l'aereo perché gli aerei hanno un'alta carbon footprint, cioè emettono molta CO₂ per passeggero e per chilometro percorso. Magari si ponesse questo problema anche Putin prima di lanciare i suoi missili...
Sicuramente la preoccupazione è giusta, ma la conclusione è sbagliata: se tu, per conto tuo e senza consultare il resto del pianeta, decidi di non andare mai più in vacanza in aereo e di nutrirti solo con polpette di compost, il risultato che ottieni non è salvare l'umanità, è solo farti del male. Purtroppo i tuoi comportamenti privati non modificano la CO₂ in atmosfera nemmeno di un ppm.

L'obiezione che viene fatta in questi casi è "ma se tutti facessero così eccetera", che è vero: se tutti rinunciassero a usare l'aereo, questo ridurrebbe le emissioni globali di CO₂ di circa il 2 o 3%, ma ciò non significa che tutti rinunceranno a usare l'aereo dopo che ci avrò rinunciato io, perché fra quello che faccio io e quello che fa il resto del mondo non c'è nessun nesso di causa-effetto (anche questo è un fatto). Se una proposizione condizionale è vera, questo non fa avverare la sua condizione.

Se io fossi Leonardo DiCaprio o Taylor Swift sarebbe diverso, i miei comportamenti potrebbero essere di esempio per milioni di persone e magari contribuire a cambiare le abitudini del mondo, ma io sono io e, credo di averlo già detto, non conto niente. Aggiungiamo poi che Leonardo DiCaprio e Taylor Swift non solo prendono l'aereo senza problemi ogni volta che pare a loro, ma hanno pure il jet privato. Ti rendi conto? Ci sono persone comuni che rinunciano alle loro vacanze per salvare il pianeta (le conosco) e questi stronzi usano il jet privato anche per andare a fare la spesa. A me sembra ingiusto.

Ingiusto e anche concettualmente sbagliato, perché in realtà, basta pensarci un attimo, la rinuncia di prendere un aereo non solo non fa diminuire le emissioni di CO₂, ma le fa aumentare. È un effetto trascurabile e totalmente insignificante, ma pur sempre opposto rispetto all'effetto altrettanto trascurabile e totalmente insignificante che ci si era prefissati di ottenere con la decisione di non prendere l'aereo.
È molto semplice: supponiamo che il mio sogno sia andare in vacanza alle Maldive (c'è gente che ha queste perversioni), in questo caso la mia carbon footprint per un volo di andata e ritorno Bologna - Malè sarebbe circa 2000 kg di CO₂. Siccome 2 tonnellate è tantino, il senso di colpa potrebbe indurmi a rinunciare a un viaggio a cui tengo tanto e farmi ripiegare su San Benedetto del Tronto: 300 km con una macchina a benzina, andata e ritorno, corrispondono a circa 200 kg di CO₂, che è un fattore 10 in meno. Evviva! Farò delle vacanze di merda, ma almeno potrò illudermi di avere salvato l'umanità!
Invece no.
Se io non salgo su quel Boeing 777, non è che lui non parte; il volo parte né più né meno e emetterà tutta la CO₂ totale che deve emettere con o senza di me, visto che il peso di un solo passeggero è trascurabile rispetto al peso di tutto l'aereo. Quindi l'unico effetto che avrà la mia scelta ecologista di andare a San Benedetto del Tronto è che verranno immessi in atmosfera 200 kg di CO₂ in più rispetto a quelli che sarebbero stati emessi se fossi andato in aereo alle Maldive.

Salvare l'umanità da soli è più complicato di quello che si potrebbe pensare.