ESSERE GLENN GOULD E NON SAPER SUONARE

La sera del mio primo concerto avevo ventinove anni e non avevo mai toccato un pianoforte in vita mia. Sapevo che aveva i tasti bianchi e neri, ognuno con la sua nota, e che i pedali non erano frizione, freno e acceleratore, ma a parte questo non sapevo niente, non sapevo nemmeno in che ordine fossero le note. Ciononostante il piano è sempre stato la mia grande passione. Ricordo che da bambino, la sera, stavo ore e ore ad ascoltare mio padre battere le nocche sul tavolo.


Sei bravissimo, papà!

Sciocchezze.

Bravissimo.

Se solo avessi fatto il conservatorio...

Cos’è il conservatorio?

Dove impari a suonare.

Jingle Bells?

Uno strumento.

Stru...?

Mento.

E io?

Cosa?

Io ho fatto il conservacoso?

No.

Suona Jingle Bells.

Tac-tac-tac! Tac-tac-tac! Tac-tac-tac-tac-tac!


È da lui che ho preso il talento musicale, l’agilità delle dita e la sindrome di Asperger.
A nove anni, esaurite tutte le possibilità sonore del mio corpo, mi sentivo pronto per un vero strumento.


Mamma.

Dimmi tesoro.

Voglio uno strumento.

Un rasoio elettrico va bene?

Più grande.


Mi comprarono una pianola elettrica. Bellissima. Aveva i tasti piccoli piccoli e tondi (tasticoli li chiamavo) e una specie di mantice nel mezzo. Purtroppo non siamo mai riusciti a trovare la spina, così alla fine l’abbiamo impanata, fritta e servita con un po’ d’insalata.
Per anni mi sono esercitato col carillon di zia Ines e ho ascoltato molto approfonditamente tutti i quarantacinque giri di Raffaella Carrà e Furia Cavallo del west, due compositori che amavo moltissimo. Questo per dire che, nonostante tutto, la sera del concerto non ero proprio a digiuno di musica, e anche se il mio curriculum lasciava molto a desiderare, potevo contare sul mio orecchio e la voglia di far bene.
L’unico problema era che avevo messo il vestito buono (completo di velluto beige, camicia fantasia, farfallino, cilindro e ghette), mentre tutti gli altri erano in jeans e maglietta. Così decido di andare a parlare col direttore d’orchestra. Di solito non sono uno che abusa della propria posizione, me ne sto buono come se fossi l’ultimo arrivato, ma stavolta era un’altra cosa, avevo paura di compromettere la mia performance.


Non si può rimandare l’inizio?

Sta scherzando?

La prego, maestro.

Come si fa?

Giusto dieci minuti, il tempo di cambiarmi.

Su, su, che sta benissimo così.

Ma, maestro...

E poi io mi occupo solo della portineria.

Sul serio?

Faccio l’usciere.

Fantastico... un usciere che dirige l’orchestra. Ora sì che sono tranquillo.

Non c’è nessuna orchestra.

Eh?

Sono pezzi solistici.

...

Si sente bene?

Cosa vuol dire “solistici”?


La sala era piena e io non mi sentivo per niente pronto, avevo anche dell’aria nell’intestino e sapevo che difficilmente sarei riuscito a nasconderlo, ma ormai era fatta.
Grazie al cielo i primi pezzi erano facili, tutti ben separati uno dall’altro, con le note forti e chiaramente distinguibili dal traffico in strada. Solo alla fine ho avuto un’incertezza, proprio all’ultimo, quando ho chiesto il bis durante una pausa di semibreve. Per il resto sono andato benissimo: ho applaudito al momento giusto e ho gridato “bravo!” più forte di tutti.
Nemmeno Glenn Gould avrebbe fatto di meglio.