CHE FINE HANNO FATTO LINTON E JANE?

Ero da Floyd la sera in cui fecero la pelle a Linton. Mi stavo scolando il terzo boccale di limoncello raccontando barzellette sconce a due mignotte che sostenevano di essere la mia terza moglie Natalee e mia figlia Sherry, quando a un certo punto vedo entrare Molly Gloryhole con una faccia che era tutta un programma.
Avevo conosciuto Molly a un party di Frank Ziegler, quando i party di Frank Ziegler erano ancora frequentati da gente come Tim Rivera, Jervis Spice, Bruce Mulligan e Yossel Paciarotti, quello che si è impiccato con una collana di caramelle dopo il fiasco di The Jeffersons Go To Leipzig, uno spin-off dei Jefferson in cui George si trasferisce nella DDR per studiare contrappunto da un certo conte Frankenstein.
Molly era una donna che avrebbe tolto il fiato anche a Kenenisa Bekele. Frank me l’aveva presentata come una grande appassionata di golf e grandi mazze in generale, aveva due mani con tante di quelle dita affusolate che ti veniva subito voglia di farti ispezionare il naso.
«Hai saputo?», mi dice con un filo di voce che la rendeva terribilmente “squitter beltzi”.
«Che cosa dovrei sapere? A parte che ti sei di nuovo dimenticata di metterti qualcosa di non trasparente addosso», le rispondo accendendomi un pacchetto di Pall Mall.
«Quella merda prima o poi ti ucciderà».
«Non preoccuparti, ho smesso da un pezzo di frequentare tuo marito».
«Linton è morto».
Conoscevo Linton Reed dall’estate del ’64, era il più grosso figlio di puttana che avessi mai conosciuto dopo Vincent Brown, Walt Harrison, Garth Miller, Nat Bumblebee, Lowell Smelling, Sergent Pepper, Melting Pot, Big Trouble, Sun Goesdown e Bernie Ecclestone di Chicago.
«Gli hanno fatto la pelle gli uomini di Smarty».
«Beh, allora condoglianze».
Come tutte le donne che vogliono scroccarti un paio di drink, Molly inizia a spremere tutte le sue ghiandole lacrimali, sia quelle principali che quelle accessorie, quelle che producono quello strato mucoso e lipidico che fa perdere la testa a così tanti cazzi mosci. Quando una donna decide di mettersi a piangere neanche Mosè la può fermare, intendo Mosè Slobovitz, l’illusionista della CBS che negli anni quaranta ha tenuto incollati alla radio milioni di sordomuti, non quel personaggio della Bibbia con la barba e due Gioppini in testa.
«Un po’ di Curaçao per la signora, Floyd».
«Sì, signore».
«E una pista di coca per me. Mi raccomando, tagliala con l’amianto se no non mi fa effetto».
Molly mi ricordava per qualche motivo la mia dodicesima moglie Molly: stessi occhi, stesso modo di passarsi le mani fra i capelli, stesso orologio. Che io sappia Molly e Molly si sono incontrate una sola volta e hanno fatto subito scintille, me lo ricordo come se fosse il giorno della mia nascita. Sul secondo canale della NBC davano ancora il campionato di Bowling subacqueo con la conduzione di Meredith Coin e Jude Lindberg, detta la bolscefica perché sembrava Jennifer Stowe in “Viaggio a Mosca senza andata”. Ricordo che eravamo a un raduno di majorette all’angolo della quarantasettesima strada con la settima avenue primo semaforo a sinistra nella Broadway, poi a destra sulla trentasettesima, prendere lo svincolo Lincoln Tunnel, proseguire per l’aeroporto di Newark e imbarcarsi per Firenze Peretola, imboccare viale Guidoni, seguire le indicazioni per il centro, oltrepassare Porta San Frediano e proseguire fino al chiosco dei lampredotti di Piazza dei Nerli, io, Molly, Molly, Meredith, Jude e Jennifer. Io avevo con me il mio solito stock di siringhe usa e getta e due confezioni di idraulico liquido, in pratica la serata era già fatta. Ma Molly aveva altri programmi. Al Washington Square c’era il suo gruppo preferito, i Rincodilly. Facevano una jam session per soli magnetofoni e sacchetti di Cipster, ma stavolta senza galli selvatici nei pantaloni. Da quando si sono beccati quella denuncia per vilipendio di molestie sessuali si guardano bene dal maltrattare i galli. Con Molly c’era anche Angel Spark e l’ispettore Molly Cumming, che da due anni indagava sulla strage di San Valentino detta anche Pig Abattoir, come la moglie di suo fratello, rimasta incinta nella Billboard Hot Chart per sei settimane consecutive con “let’s pray on the beach, baby”, let’s pray just me and you like breeze soda with narrow check points in my head let’s gamble again and again on the snowboard down the countryside of our love and Mr Jenkins... quanti ricordi. Ogni volta che penso a Molly (parlo di Olga Hallström) mi viene in mente quel quadro di Jean Pigalle in fibra ottica su vinile esposto alla Tate fra roba mainstream per quelli di San Francisco o di qualche altro stinco di santo beccato per furto con scasso nella villa dei Collins sui fiordi di Hammerfest alla ventesima ripresa per knockin’ on heaven’s door non la versione dei Los Angeles Lakers di Philadelphia ma quella degli Harley-Davidson dall’East Coast fino al Nebraska col gasolio contato al millilitro per un pranzo da Errol con pane secco del ’49 e sbirri a rapporto dal tenente Maupassant della seconda mano di poker coperto quando Ivy disse “adesso sta a vedere che un biscazziere non è uno con due cazzi”.