MACRODONTA DIGERICULARIS

Un ecosistema è un insieme di specie animali o vegetali che si mangiano fra loro, mantenendosi così in equilibrio. Se una specie si estingue l’equilibrio si rompe e possono succedere due cose: il sistema si assesta su un nuovo equilibro, cioè qualcuno si adatta a mangiare qualcun altro, oppure muoiono tutti.
La Terra nel suo insieme è un grande ecosistema, dove al momento c’è una specie che mangia tutti, ma non è mangiata da nessuno: è l’homo sapiens sapiens sapiens (non ricordo mai quanti “sapiens” si è dato). Il motivo per cui gli uomini non vengono mangiati non è che non sono buoni, ma che il loro predatore naturale si è ormai estinto. Perché anche gli esseri umani hanno un predatore, e non è il leone, lo squalo 3 o alien, ma una pianta carnivora specializzata nell’attirare, catturare e digerire esseri umani. Sto parlando della Macrodonta Digericularis.
Detta volgarmente “primula nera”, la Macrodonta Digericularis è una piccola pianta dai colori molto vivaci: solitamente giallo chiaro o verde-azzurro, ma a volte anche lilla, fucsia, turchese, rosa salmone e international klein blu. Si dice “nera” non per il colore, ma perché uccide.
In epoche antiche era presente praticamente ovunque. Cresceva in pianura come in montagna, nella giungla, nella steppa, nelle distese ghiacciate della tundra o fra la sabbia dei deserti tropicali, e non c’era da sorprendersi di trovarla anche nei crateri dei vulcani attivi, fra le esalazioni di zolfo e acido cloridrico, o sui fondali marini, dove non arriva nemmeno la luce del sole. Cresceva persino in quello che è forse il luogo più inospitale di tutta la Terra: la Pianura Padana. Invece oggi ne esistono solo pochi esemplari, largamente insufficienti a contenere la crescita ormai fuori controllo della popolazione umana. Istintivamente verrebbe da dire che è un’ottima cosa che questa pianta antropofaga sia scomparsa e che gli esseri umani possano finalmente proliferare indisturbati, ma purtroppo la Terra ha una superficie finita, e prima o poi arriverà il giorno in cui traboccherà e la gente cascherà fuori nello spazio. Paradossalmente un essere vivente per sopravvivere come specie ha bisogno di qualcuno che lo mangi: il mais ha bisogno dei polli, i polli hanno bisogno degli esseri umani e gli esseri umani hanno bisogno della Macrodonta Digericularis.
Proprio come la primula, la Macrodonta Digericularis è una pianta senza fusto, con i fiori e le foglie che spuntano direttamente dalla radice. Le foglie sono grosse e rugose, più lunghe che larghe, disposte a rosetta sul terreno e colorate di un verde spento, quasi grigio, che fa risaltare la vivacità dei fiori. Questi sono radunati in un unico mazzo che si apre a partire dal centro della rosa di foglie, allargandosi all’esterno come la raggiera di un fuoco d’artificio. L’effetto è spettacolare, e non a caso: serve per attirare la gente.
Il fiore è una perfetta imitazione della Primula Vulgaris, l’unica differenza sono i colori, nel senso che quelli della Macrodonta Digericularis sono ancora più vivaci. In una distesa di comuni primule, la primula nera spicca immediatamente per la sua luminosità, quasi come se brillasse di luce propria. È più primula delle primule, è l’idea platonica della primula, così colorata e perfetta che cattura subito l’attenzione anche dell’occhio più distratto. La primula nera vuole essere colta.
Ma come fa una pianta così piccola a mangiarsi un essere umano tutto intero? È molto semplice: le foglie e i fiori sono solo la parte superficiale della pianta, mentre il grosso è nascosto sottoterra. La primula è solo la punta dell’iceberg o, come dicevano gli antichi, “la punta della Macrodonta Digericularis”, un piccolo ciuffetto colorato posto in cima a un enorme stomaco sotterraneo, l’ascidio, una grande sacca a forma di sigaro che s’inabissa nel sottosuolo per decine e decine di metri. La primula spunta da una delle tante radici filiformi che si diramano dal bordo esterno del peristoma, lo spesso orlo carnoso che circonda l'apertura dell’ascidio, ed è tenuta sospesa al di sopra di questa bocca, come un piccolo specchietto per le allodole (allodole sapiens, naturalmente). La bocca, che ha un diametro di circa un metro, è nascosta immediatamente sotto la superficie del terreno e per tutta la sua circonferenza è munita di tre file di grossi denti affilati, come gli squali, solo che in questo caso non servono tanto a smembrare la preda, quanto a regolare l’accesso allo stomaco, infatti la bocca deve aprirsi solo al momento giusto, quando la preda si china a cogliere il fiore. Appena il fiore viene strappato dalla pianta, la bocca si apre di scatto e la preda precipita in fondo allo stomaco, dove affogherà nei fluidi digestivi. Subito dopo la caduta il peristoma si contrae e la bocca si chiude, mentre le numerose radici, tutte terminanti con una piccola protuberanza a forma di cucchiaino, iniziano ad agitarsi e a mulinare come tanti tentacoli, ricoprendo subito la bocca di terra. La digestione dura circa due settimane, trascorse le quali spunta una nuova coloratissima primula nera. Non è meravigliosa la Natura? Nell’improbabile eventualità che la preda riesca ad aggrapparsi al bordo dell’apertura, le sue mani verranno mozzate alla chiusura della bocca. Per questa ragione, quando si notano delle mani in putrefazione vicino a una bellissima primula, è meglio non coglierla.
Com’è possibile che una pianta così perfetta e così resistente sia quasi del tutto scomparsa? Cosa può avere provocato l’estinzione di una creatura in grado di resistere ai climi e agli ambienti più ostili? Di sicuro non i pesticidi o i diserbanti. Gli Unni, per esempio, i terribili guerrieri mongoli che hanno devastato l’Europa del V secolo, costruivano i loro elmi proprio con i petali della Macrodonta Digericularis. Cogliere i suoi fiori era un’impresa eroica, pochi sopravvivevano, e il premio era un elmo indistruttibile che nessun diserbante avrebbe mai potuto scalfire. Allora cosa può essere stato? Cosa ha “scalfito” la Macrodonta Digericularis?
L’ipotesi al momento più attendibile, è che sia stata annientata dalla musica leggera. Si ritiene che le vibrazioni acustiche prodotte dalla musica leggera interagiscano con i pigmenti presenti nei petali della primula nera, attenuandone il colore. Sembra infatti che i ritmi ripetitivi scanditi da strumenti a percussione, le armonie statiche e le melodie piatte e sempre uguali entrino in risonanza con le molecole dei pigmenti di questa pianta e sciolgano i loro legami chimici. Con il diffondersi della radio e della TV, la Macrodonta Digericularis ha iniziato a stingersi e lentamente i suoi fiori sono diventati come quelli delle normali primule. Questo l’ha privata della sua arma principale, facendola morire di fame.
Ecco perché a Sanremo non si è mai vista la Macrodonta Digericularis.