LA MUSICA CLASSICA NON ESISTE

Spesso si sente dire che la “musica classica” è un genere: c’è il jazz, il pop, il rock, il liscio, il boogie-woogie e poi c’è la musica classica, come se la musica classica fosse un sottoinsieme della musica.


Ma la musica classica non è un genere, visto che di solito ci si mette dentro di tutto, dai mottetti del Cinquecento ai concerti per orchestra e sciacquone del Novecento. Che cosa significa allora “musica classica”? Potrebbe avere senso parlare di “musica classica” se si intendesse la musica del classicismo viennese o, più in generale, la grande musica del passato, come si fa coi classici greci e latini, ma di solito non si intende questo. Di solito con “musica classica” si intende semplicemente tutto ciò che non è una canzone. La gente dice “musica” e intende “canzone”, dice “musica classica” e intende “tutto il resto”, che è un po’ come se si parlasse di “letteratura classica” mettendo insieme tutto quello che c’è fra Omero e Giorgio Faletti, e poi si riservasse la parola “letteratura” solo agli aforismi. Perché è così: in quanto a complessità e possibilità espressive, una canzone sta a una sinfonia o a un concerto come un aforisma sta a un romanzo.
Quindi non si dovrebbe parlare di “musica” e “musica classica”, ma di “musica” e “canzoni”.


È la canzone che è un genere musicale: c’è la sinfonia, il concerto, la sonata, la cantata e poi c’è la canzone. Ciò non significa che le sinfonie siano belle e le canzoni siano brutte, ma solo che sono due generi musicali diversi, poi naturalmente ci sono le sinfonie brutte e le canzoni belle, così come un solo aforisma di Schopenhauer vale più di tutti i romanzi di Paolo Maurensig.
Le canzoni, cioè le monodie accompagnate semplici e cantabili, esistono da secoli, e le canzoni popolari contemporanee (dette anche “canzonette” o “canzoncine”) sono un tipo particolare di canzone ulteriormente semplificato, con la melodia che consiste di piccoli motivi ripetuti e l’armonia costruita su uno o più bassi ostinati. Quindi, a voler proprio essere precisi, le cose starebbero così:


Se abiti nell’Ottocento e vuoi comporre l’Allegro di una sinfonia, devi solo prendere un’orchestra e un paio di temi, esporre i temi in due tonalità diverse, svilupparli un po’ e poi riproporli nella stessa tonalità di partenza, per il resto puoi fare tutto quello che vuoi, anche l’assolo di chitarra. Se invece sei un compositore contemporaneo di canzoncine, le restrizioni sono molto più rigide: nessun contrappunto, nessun percorso tonale, nessuno sviluppo tematico, nessuno strumento concertante, niente di niente a parte strofa e ritornello su basso ostinato, perché in caso contrario c’è il rischio di essere bollati come “musica classica”. Con tutte queste limitazioni è forse più difficile comporre una canzone che una sinfonia, visto che riuscire a staccarsi dal già sentito con i pochi mezzi di una canzone è un’impresa quasi eroica. In pratica è come se un pittore volesse fare l’affresco del secolo avendo a disposizione solo due colori.


Al centro della volta vorrei delle storie della Genesi, belle grandi e colorate, poi intorno vorrei un po’ di sibille, profeti e cose così.

Solo con due colori?

Sì, arancione e verde marcio.

Posso almeno mischiarli?

No. Sulla parete dietro l’altare voglio anche un giudizio universale che faccia epoca.


La semplicità formale delle canzoni è un grosso limite, ma se una canzone vuole avere una possibilità di valere qualcosa deve prima di tutto accettare questo limite. Perché tirare in lungo quando il materiale musicale è già esaurito al primo ritornello? Perché mascherare una melodia con versi strani quando al netto dei versi hai i Ricchi e Poveri? Perché cambiare tonalità se la nuova tonalità non aggiunge niente di nuovo?
Per questo i Pet Shop Boys sono molto meglio di Vinicio Capossela.