La Pergola è senza dubbio il mio teatro preferito. Prima di tutto perché è a Firenze e Firenze è la città migliore d’Italia; certo non le ho viste tutte, per esempio non ho visto Rovigo, ma qualcosa mi dice che Rovigo sia peggio di Firenze. Tutta la Pianura Padana non vale un testicolo del Perseo di Cellini. Poi perché fanno due concerti alla settimana, a volte anche tre, perché suonano soprattutto Beethoven e non Rachmaninov, perché spaziano da Frescobaldi a Ligeti, non da Rachmaninov a Rachmaninov, perché ci suonano i migliori musicisti del mondo, perché il biglietto costa poco e, cosa non trascurabile, perché tutti sono gentili e sanno fare il loro mestiere. In particolare c’è una maschera che è un vero e proprio virtuoso della gentilezza.
Normalmente si pensa che strappare i biglietti sia una cosa che può fare chiunque, che ci vuole? Buonasera, strappo, grazie. Ma non è così. La maschera è l’ospite che ti invita a entrare in casa, se non ti accoglie come si deve ti fa sentire un intruso. Una maschera che strappi il biglietto in fretta, buttando lì un saluto standard senza nemmeno guardarti, ti farà provare la sgradevole sensazione di essere a una festa dove non sei stato invitato, quelle feste dove passi tutta la serata in un angolo da solo col tuo bicchiere di birra calda, mentre gli altri se la spassano ballando la Große Fuge.
La maschera della Pergola ti accoglie come se stesse aspettando proprio te. Appena ti vede sembra che non riesca a contenere la gioia: “oh, sei tu!”, sembra dire la sua faccia “che graditissima sorpresa! Se sapevo che venivi ti preparavo un bagno caldo!”. Ovviamente non è una faccia sincera (credo sia per questo che si chiama maschera), ma questo non conta, quello che conta è che sembri sincera. Se una faccia esprime così bene un sentimento non ha nemmeno senso chiedersi se sia falsa o sincera, perché per fare un’espressione così felice bisogna pur essere in qualche modo felici, bisogna ricreare dentro di sé una qualche genuina sensazione di felicità e la maschera della Pergola riesce a essere genuinamente felice settecentoquarantadue volte in mezz’ora. È una felicità che dura solo una frazione di secondo, ma è una frazione di secondo in cui ci si sente amati. Nemmeno mia moglie mi guarda così.
“Buonasera”, ti dice con un bellissimo sorriso, poi prende il biglietto e ne strappa un pezzettino per sé, probabilmente per conservarlo fra i suoi ricordi più cari, e quando te lo restituisce è talmente commosso che l’unica cosa che riesce a dire è “grazie!”. È chiaro che dopo un’accoglienza così la serata può solo peggiorare.
Una sera stavo quasi per perdermi tutto questo. A circa un quarto d’ora dall’inizio del concerto l’ingresso alla sala era ancora chiuso. Sicuramente doveva essere successo qualcosa di molto grave, tipo un asteroide sul pianoforte o l’accensione di Radio Deejay, fatto sta che quando aprono la sala rimane davvero poco tempo, così, per velocizzare le operazioni, alla maschera viene affiancato altro personale, gente che di solito si occupa d’altro e che non conosce l’arte della gentilezza.
Per la maschera della Pergola è una situazione avvilente, come se Krystian Zimerman fosse costretto a suonare con i Pooh. Quella sera non sorride e non saluta, si limita a prendere i biglietti che la gente gli sventola sotto il naso e a strapparli senza amore: buonasera, strappo, grazie. Che cosa triste. Appena lo intercetto inizio subito a nuotare nella folla per raggiungerlo. Io voglio lui, non me ne frega niente del ritardo, della ressa, di tutto, io voglio essere accolto da una maschera, non da un tornello umano. Certo non è facile, devo sgomitare fra torme di pensionati (i pensionati sono degli sgomitatori professionisti), ma alla fine lo raggiungo. Eccolo finalmente! Quando gli sono davanti mi chiede il biglietto senza guardarmi, come con tutti, ma io mi chino per intercettare il suo sguardo e pronuncio il più affabile “buonasera!” di cui sono capace. Lui alza la testa e mi guarda, ha le pupille che gli tremano. Io gli faccio un sorriso come a dire “hai visto? Sono proprio io”, e allora lui, felice come un bambino a Natale, mi sfodera la faccia “finalmente sei arrivato, amico mio, sei come un raggio di sole in una giornata nebbiosa, l’unica cosa per cui sia veramente valsa la pena aprire gli occhi questa mattina” e con un filo di voce mi dice “grazie!”.
Normalmente si pensa che strappare i biglietti sia una cosa che può fare chiunque, che ci vuole? Buonasera, strappo, grazie. Ma non è così. La maschera è l’ospite che ti invita a entrare in casa, se non ti accoglie come si deve ti fa sentire un intruso. Una maschera che strappi il biglietto in fretta, buttando lì un saluto standard senza nemmeno guardarti, ti farà provare la sgradevole sensazione di essere a una festa dove non sei stato invitato, quelle feste dove passi tutta la serata in un angolo da solo col tuo bicchiere di birra calda, mentre gli altri se la spassano ballando la Große Fuge.
La maschera della Pergola ti accoglie come se stesse aspettando proprio te. Appena ti vede sembra che non riesca a contenere la gioia: “oh, sei tu!”, sembra dire la sua faccia “che graditissima sorpresa! Se sapevo che venivi ti preparavo un bagno caldo!”. Ovviamente non è una faccia sincera (credo sia per questo che si chiama maschera), ma questo non conta, quello che conta è che sembri sincera. Se una faccia esprime così bene un sentimento non ha nemmeno senso chiedersi se sia falsa o sincera, perché per fare un’espressione così felice bisogna pur essere in qualche modo felici, bisogna ricreare dentro di sé una qualche genuina sensazione di felicità e la maschera della Pergola riesce a essere genuinamente felice settecentoquarantadue volte in mezz’ora. È una felicità che dura solo una frazione di secondo, ma è una frazione di secondo in cui ci si sente amati. Nemmeno mia moglie mi guarda così.
“Buonasera”, ti dice con un bellissimo sorriso, poi prende il biglietto e ne strappa un pezzettino per sé, probabilmente per conservarlo fra i suoi ricordi più cari, e quando te lo restituisce è talmente commosso che l’unica cosa che riesce a dire è “grazie!”. È chiaro che dopo un’accoglienza così la serata può solo peggiorare.
Una sera stavo quasi per perdermi tutto questo. A circa un quarto d’ora dall’inizio del concerto l’ingresso alla sala era ancora chiuso. Sicuramente doveva essere successo qualcosa di molto grave, tipo un asteroide sul pianoforte o l’accensione di Radio Deejay, fatto sta che quando aprono la sala rimane davvero poco tempo, così, per velocizzare le operazioni, alla maschera viene affiancato altro personale, gente che di solito si occupa d’altro e che non conosce l’arte della gentilezza.
Per la maschera della Pergola è una situazione avvilente, come se Krystian Zimerman fosse costretto a suonare con i Pooh. Quella sera non sorride e non saluta, si limita a prendere i biglietti che la gente gli sventola sotto il naso e a strapparli senza amore: buonasera, strappo, grazie. Che cosa triste. Appena lo intercetto inizio subito a nuotare nella folla per raggiungerlo. Io voglio lui, non me ne frega niente del ritardo, della ressa, di tutto, io voglio essere accolto da una maschera, non da un tornello umano. Certo non è facile, devo sgomitare fra torme di pensionati (i pensionati sono degli sgomitatori professionisti), ma alla fine lo raggiungo. Eccolo finalmente! Quando gli sono davanti mi chiede il biglietto senza guardarmi, come con tutti, ma io mi chino per intercettare il suo sguardo e pronuncio il più affabile “buonasera!” di cui sono capace. Lui alza la testa e mi guarda, ha le pupille che gli tremano. Io gli faccio un sorriso come a dire “hai visto? Sono proprio io”, e allora lui, felice come un bambino a Natale, mi sfodera la faccia “finalmente sei arrivato, amico mio, sei come un raggio di sole in una giornata nebbiosa, l’unica cosa per cui sia veramente valsa la pena aprire gli occhi questa mattina” e con un filo di voce mi dice “grazie!”.