RIDUZIONE DI PERSONALITÀ

Lei è licenziato.

Io non lavoro qui.

Quante volte l’ho sentita questa! Ora scommetto che attaccherà con l’elenco dei figli.

Ho sedici anni.

Lavoro in questa azienda da oltre venti minuti, crede che non sappia riconoscere un dipendente?

Devo solo sistemare la rete.

Lo dimostri.

Sto lavorando.

Lei è licenziato.

Non sono un suo dipendente.

Oh, senti senti... signor “independence day”! Allora se è così indipendente può anche fare a meno del nostro stipendio, che ne dice? O forse lei è indipendente a targhe alterne? Solo per andare e venire quando le pare, mangiare e bere a sbafo... be’, lasci che le dica una cosa, questa ditta non è un albergo!

Ah, no?

Lo è, ma non in quel senso.

Ho quasi finito.

Ora sentiamo che ne pensa il direttore di reparto. Pronto, signor Abrustigher, qui abbiamo un’altra testa calda.

...

Signor Abrustigher?

...

Le spiacerebbe parlare più forte?

Non c’è linea, ho staccato tutto.

Lei cosa?

È la prassi.

Cos’altro sa fare?

In che senso?

Cos’altro sa fare?

Un po’ di tutto.

Veramente?

Sì.

Sa fare imitazioni buffe?

So fare solo cose inerenti alle reti.

Imitare reti buffe?

Installo router, per dire.

NO!

Non è che ci voglia una laurea.

Si consideri assunto.

Ce l’ho già un lavoro, grazie.

Stare inginocchiato sotto le scrivanie della gente me lo chiama lavoro?

A me piace.

Senta, 1800 euro mensili netti, più un’indennità di 280 euro, tredicesima, ferie pagate e chiavetta del caffè.

Dice sul serio?

Deve solo fare una firma qui.

Okay.

Qui.

Sì.

E qui.

Ecco fatto.

Benissimo. Lei è licenziato.