AUTOCRITICA

Sento il bisogno di fare autocritica e, anche se un po’ mi pesa, devo ammetterlo: ho fatto un capolavoro. “Capolavoro” nel senso di opera di straordinario valore artistico destinata a essere ricordata e celebrata nei secoli a venire (e se non fosse per problemi legati al principio di causalità, anche nei secoli già venuti) come uno dei più alti esempi dell’espressività e della creatività umana, cioè precisamente quello che ho fatto io, né più né meno, a parte forse quell’aggettivo “umano”, visto che io mi sento più aragosta. Naturalmente sto parlando di The Colleagues, il primo capolavoro a episodi mai apparso su questo pianeta (sugli altri non saprei) e da oggi apprezzabile in tutto il suo mirabile ordine cronologico: qui.
Chi mi conosce (io) sa quanto sia penoso per me esprimere apprezzamenti nei miei confronti (uno strazio), e può immaginare lo sforzo che sto facendo nel costringermi a dire quello che sto dicendo, ma (congiunzione semplice) per rispetto della verità sento il dovere morale di ammettere pubblicamente di fronte a questo monitor che sì, lo confesso, The Colleagues è la mia Cappella Sistina, la mia Divina Commedia, il mio Anello del Nibelungo, sempre che questi paragoni non suonino troppo irriverenti (per The Colleagues).
So che forse non tutti saranno d’accordo con questo mio giudizio, giudizio che, lo ricordo a chi si fosse messo a leggere solo ora, può essere così riassunto:


tuttavia bisogna ricordare che stiamo parlando di un’opera che, come tutti i capolavori degni di questo nome (The Colleagues), potrà essere pienamente apprezzata solo fra un secolo o due, cioè quando l’umanità si sarà estinta e al mondo ci saranno solo aragoste.
A quanto pare non sono l’unico a pensarla così.

“Struggente, emozionante e seducente!”
(Corriere della Sera)

“Bellissimo!”
(Il Messaggero)

“!”
(La Repubblica)

e queste sono solo alcune delle lodi che i maggiori quotidiani nazionali avrebbero fatto a The Colleagues se solo l’avessero visto. In genere non faccio molto affidamento su quello che dicono i giornali, e non voglio certo iniziare adesso, tuttavia una parola voglio dirla: parpagliola.
Si pensi che per prepararmi adeguatamente alla realizzazione di quest’opera monumentale (ben tredici episodi, una durata complessiva di oltre cinquecento milioni di microsecondi), mi sono sottoposto a ben due settimane di lavoro impiegatizio. Un’esperienza terribile, durante la quale mi sono piegato a fare tutto quello che si fa in questi casi, per quanto sgradevole e snervante potesse essere: ignorare il telefono, spostare i faldoni, imitare la firma del capoufficio sui biglietti d’auguri, rimettere i faldoni dov’erano prima, chiacchierare al distributore del caffè, stampare comunicati con “pò” e “stà” e così via, e il risultato è The Colleagues.
The Colleagues ha tutti i pregi che i film al cinema di solito non hanno, pregi talmente evidenti che elencarli sarebbe del tutto inutile, e sono:
– Trenta secondi durano trenta secondi, non un’ora e mezza.
– Non ci sono storie d’amore, non viene mai pronunciata la parola “amore”, nessuno allude né pensa mai all’amore e, soprattutto, nessuno si azzarda a fare l’amore. Certo manca una scena in cui uno sceneggiatore di scene d’amore venga costretto a mangiare i propri escrementi (cioè le proprie sceneggiature), ma non si può avere tutto.
– Non ci sono messaggi edificanti per i perbenisti, né messaggi non edificanti per i perbenisti che fanno finta di non esserlo. Non ci sono proprio messaggi. Gli unici messaggi sono le scritte dei titoli.
– Non cerca di vendere detersivi, automobili o bibite fra una storia d’amore e l’altra.
– È pieno di effetti speciali, ma non si notano.
– Le musiche sono


e sono state espressamente (benché inconsapevolmente) composte da Max Jacob, che ringrazio (grazie).
– Infine il pregio più importante di tutti: fa vedere la verità.
Ma anche nella remota e improbabilissima ipotesi che The Colleagues non sia un capolavoro (ma lo è), rimane comunque senza dubbio la miglior produzione audiovisiva italiana dal 6 luglio 1984 a questa parte, perché credo sia evidente a tutti che oggi come oggi non esiste un Sorrentino, un Muccino o un qualsiasi altro registino italiano che possa reggere il confronto con un solo episodio di The Colleagues. Per esempio con questo.