REDUCTIO AD ESSEREM UMANUM

Quando si parla di cose brutte, Hitler è senza dubbio il termine di paragone più usato in tutta la storia dei termini di paragone. Un tempo, quando sterminare la gente rientrava nelle normali mansioni di un sovrano, c’era molta più scelta: Pisistrato, Artaserse III, Nerone, eccetera, in pratica bastava dire un nome a caso e nove volte su dieci il paragone era calzante, oggi invece sembra che ci sia solo Hitler: “razzista come Hitler”, “dispotico come Hitler”, “senza navigatore di serie come Hitler” e così via, tanto che quando una persona adulta e non ragionevolmente sbronza nomina Hitler viene subito bollata come sempliciotta. Sempliciotta come Hitler, ovviamente. Nessuno può negare che il paragone sia abusato, eppure ha una sua logica: Hitler è un ottimo esempio di essere umano.
È un caso estremo, è vero, ma solo riguardo a tutto quello che è riuscito a fare, non riguardo a quello che sognava di fare. Se si considera solo quello che sognava di fare, Hitler è un caso perfettamente comune. Anche l’uomo comune vorrebbe tanto prendere a sberle chi lo contraddice, dare fuoco a chi non ha le sue stesse abitudini alimentari e, soprattutto, avere tutto il mondo ai suoi piedi, miliardi e miliardi di persone che lo applaudono e gli dicono quanto è fuori del comune. In pratica l’unica differenza fra Hitler e l’uomo comune è che Hitler ha realizzato i suoi sogni.
Hitler non è nato già dittatore, con l’uniforme, la svastica e tutto quanto, non è andato a scuola da dittatore e non ha giocato al Piccolo Dittatore, ma è stato un bambino come tutti gli altri. A volte è veramente difficile rendersi conto che certi soggetti sono stati anche loro bambini.


Eppure è così. Anche Hitler aveva le guance paffute, rideva come un matto quando lo zio gli faceva le pernacchie e voleva tanto bene alla mamma. Crescendo ha fatto il chierichetto come tutti, ha fumato le sigarette di nascosto come tutti e come tutti ha sbirciato nei bagni delle ragazze. Poi, da grande, è diventato un comico. Anche questo come tutti, solo che mentre tutti diventano comici involontari, lui è diventato un comico professionista. Questa è una cosa che le biografie non dicono, ma del resto non dicono nemmeno che era un grande tifoso del Milan, cosa che spiega i colori sociali del nazismo.
Per anni Hitler si è esibito nei piccoli locali di Linz e dintorni, spesso davanti a poche decine di persone e dividendo il palco con gruppi folk o spogliarelliste, ma riscuotendo sempre un certo successo fra i presenti. Il suo umorismo caustico e politicamente scorretto era molto apprezzato, soprattutto negli ambienti colti della borghesia. Certo non era una celebrità, ma il lavoro non gli mancava mai «e questa è la cosa importante» gli diceva sempre sua madre. Come tutti Hitler aveva bisogno di qualcuno che gli facesse coraggio.
I suoi pezzi forti erano le imitazioni di Chaplin e Mussolini, fuse insieme in un nuovo irresistibile personaggio, nonché le arzigogolate teorie del complotto con cui riusciva a spiegare tutto, dalla sconfitta nella prima guerra mondiale agli alluci non opponibili. Per esempio, la grande depressione era dovuta al complotto delle banche controllate dai poteri forti controllati dalla massoneria controllata dai bolscevichi controllati dai tassisti controllati dagli alieni controllati dagli ebrei. Ogni complotto finiva immancabilmente con gli ebrei, erano il suo tormentone. Hitler diceva cose terribili sugli ebrei, ma questo non disturbava nessuno. Dopotutto era un comico. Tutti si divertivano da morire quando faceva la gag del rabbino al forno o si accendeva la pipa coi libri di Voltaire e Hobbes. Il pubblico aumentava di sera in sera e i giornali locali iniziavano a notarlo, così un giorno Hitler decide di fare il salto di qualità e presentarsi davanti a una grande platea: non studenti fuori corso o intellettuali più o meno di sinistra, ma gente normale. Allora si dà da fare e con l’aiuto di alcuni sponsor riesce a organizzare uno spettacolo in piazza a Norimberga, una cosa in grande stile, con scenografie, costumi e tutto.
Quando sale sul palco si trova davanti trentamila persone. Non cento o mille, ma trentamila: sessantamila occhi, seicentomila dita, chissà quanti peli del naso. Una persona normale sarebbe probabilmente svenuta, invece lui no, lui ha preso il Lexotan. Hitler inizia subito con uno dei suoi cavalli di battaglia: il monologo dei complotti. «Bisogna sempre partire col botto, dare la sveglia al pubblico» gli ha spiegato il suo consulente artistico (adesso aveva anche un consulente artistico). «E mi raccomando urla. Urla sempre». Il monologo riesce alla perfezione: i tempi sono giusti, la recitazione impeccabile, l’orchestra accompagna tutte le sue piroette e le sue smorfie come in un cartoon della Warner, eppure la gente non ride. Però applaude. Applaude così tanto che sembra voglia sbriciolarsi le mani. Hitler sulle prime è perplesso. Vorrebbe togliersi i baffetti adesivi e gridare «ehi, guardate che sto scherzando!» invece si presenta alle elezioni e prende il 37%.