DIO PADRINO

L’Italia è un Paese di mafiosi. Non tanto nel senso che è un Paese di criminali più o meno organizzati, certo ci sono anche quelli, quanto nel senso che è un Paese di gente con una mentalità mafiosa. Gli italiani sono costituzionalmente mafiosi. Vista la coerenza e la spontaneità con cui si comportano da mafiosi, uomini e donne, vecchi e bambini, nullatenenti e berlusconi, non mi stupirei se gli italiani avessero il gene della mafiosità.
La mentalità mafiosa consiste nel dare per scontato che fra appartenenti a uno stesso clan ci si faccia dei favori, con conseguente danno per tutti quelli che non ne fanno parte. “Che vadano a farsi un clan” pensa il mafioso, dove con clan si intende un qualsiasi gruppo di persone accomunate da parentela, amicizia, partito, sindacato, religione, squadra del cuore, pettinatura o qualsiasi altra cosa in base alla quale due o più individui possono considerarsi idealmente vicini, escluso naturalmente l’abitare sullo stesso pianeta. La peculiarità della mentalità mafiosa non consiste solo nel fare o chiedere favori al proprio clan, ma anche e soprattutto nel dare per scontato che questo sia normale, che lo facciano tutti in tutto il mondo. Solo così può succedere che uno si lamenti pubblicamente della collusione tra mafia e politica e poi cerchi di influenzare una commissione per far assumere un suo amico, che un altro si lamenti di un concorso truccato e poi chieda al parroco di mettere una buona parola in Comune per sistemare il fratello, che un impiegato si lamenti di essere stato ingiustamente trasferito e poi chieda al macellaio juventino come lui di tenergli da parte il filetto, che uno si lamenti di aver dovuto ripiegare sulla salsiccia e poi implori Dio di occuparsi della sua colicisti. Ecco, Dio.
Il Dio degli italiani, con i suoi nascondigli segreti e le sue schiere di Santi picciotti, è la perfetta trasposizione metafisica della mafia. Un Dio che estorce l’anima alla gente in cambio di protezione dai crimini che egli stesso commette, che premia chi lo adula e punisce chi lo ostacola, che recluta nuovi adepti con misteriosi riti di iniziazione e che elargisce favori a suo insindacabile piacimento a chiunque gli lecchi adeguatamente il metafisico sedere. Quest’ultima è la cosa più inquietante della religione cattolica: che alla gente sembri normale pregare Dio in cambio della concessione di una grazia, un Dio che si presume giusto, non un pazzo scatenato come Shiva, un doppiogiochista come Odino o un bastardo come Ahriman. La gente quando ha un problema trova normale andare da Dio, entrare in casa sua col cappello in mano e chiedergli piagnucolando un favore personale, magari adulandolo un po’, ricordandogli subdolamente i propri servigi e promettendogli eterna riconoscenza. E per di più trova normale che questo Dio si lasci convincere: “tu che mi sei tanto caro sarai accontentato, tu invece che te la fai col clan degli Induisti beccati 300 mg al giorno di acido ursodesossicolico. A vita!”.
Questa è la giustizia divina per gli italiani, e di conseguenza questo è il senso di giustizia che gli italiani applicano nella loro vita di tutti i giorni. Quando un italiano cerca di essere giusto, cerca di esserlo nel senso in cui lo è il suo Dio Padrino: aiutare quelli del mio clan, danneggiare gli altri. E questo è un problema, visto che esiste sempre almeno un clan di cui uno non fa parte.