SINCERITÀ E MODO DI FARE

Gadamer dice che ci sono tre modi di interagire con gli altri.


Un modo è quello di usarli come mezzo per raggiungere i propri scopi.


Sto interpretando. La chiami ermeneutica, se vuole.


In questo caso le persone non sono riconosciute come esseri umani ma come aggregati di materia ambulante da manovrare, attivare, indirizzare, manipolare, mungere o altre cose che uno cerca di far fare agli altri quando non gli importa assolutamente niente di loro, ma solo di ciò a cui gli possono servire. L’esempio più tipico è il comportamento del cosiddetto leader di partito, dove per “partito” non intendo solo i partiti che si chiamano “partiti”, ma anche quelli che si chiamano “movimenti”, “popoli” o “forze”. I leader di partito, chi più chi meno, parlano alle folle non per farsi capire ma per farsi acclamare, e la cosa che fa davvero paura è che queste folle, come se niente fosse, li accontentano.


Sì, però non ci scriverei un trattato.


Il secondo modo di interagire è quello di chi vuole solo avere ragione. Qui non serve fare esempi, basta accendere una persona a caso e parlarle per cinque minuti.


Sì, si può dire anche così. In questo caso gli altri vengono sì riconosciuti come esseri umani, ma non come esseri umani con qualcosa da dire. Ognuno pensa di essere lui quello che dice le cose a ragion veduta, mentre tutti gli altri dicono quello che dicono solo perché sono condizionati, suggestionati, disinformati, plagiati, alterati, accecati, in mala fede o semplicemente cretini. Quest’ultima è l’opzione in assoluto più amata.


Giusto. Invece il terzo modo è quello di chi è veramente interessato a ciò di cui si sta parlando e non al parlare in sé. In questo caso la preoccupazione principale è capire cosa l’altro sta dicendo e perché.


E per capirlo c’è una cosa sola da fare.


È incredibile come nelle discussioni tutti si affrettino a dare risposte e così pochi facciano domande. Ogni minimo dubbio viene subito preso come segno di debolezza, quando invece è segno che il cervello sta funzionando. Uno per far bella figura in società dovrebbe far finta di avere un sacco dubbi, fare continuamente domande e dire spesso “non lo so”, invece a tutti piace sfoggiare le proprie certezze. In tutti gli ambiti dello scibile umano, mondani e ultramondani, le risposte riscuotono sempre molto più successo delle domande. La società ha persino nominato degli appositi custodi delle risposte, incaricati di sorvegliare e tramandare di generazione in generazione le sacre risposte a domande che ormai nessuno più ricorda.


Sa quali sono le uniche persone che fanno domande?


Non tutti.


I bambini.


L’altro giorno sono passato per la Montagnola e ho visto un tizio che faceva stretching. In quel momento, per puro caso, passava di lì anche una donna con un bambino. Riesce a immaginare che cosa incredibile dev’essere per un bambino di tre anni vedere uno che fa stretching?


Beh, la madre, notando il grande stupore del figlio (sembrava avesse visto Batman in bikini), gli dice “sta facendo ginnastica”, al che il bambino fa la cosa più ovvia del mondo: domanda perché. “Perché fa ginnastica, mamma?”. A questo punto la madre aveva due possibilità: dire “non lo so” oppure andare direttamente alla fonte unica e originaria del sapere (il tizio che faceva stretching) e chiedergli “scusi? Perché fa stretching?”. Invece la madre cosa fa? Risponde. “Per stare bene”, dice al figlio. In realtà non lo sa, non può saperlo finché non chiede, eppure risponde, non riesce a sottrarsi al dovere morale di fornire al figlio La Risposta.


Poi ci pensano i genitori a renderli adeguatamente ottusi.