20. STUPIDITÀ DEL TERZO TIPO
Io non so chi sia alla guida di questo universo e che progetti abbia per il futuro, se stia portando tutti a un enorme party cosmico o se si sia semplicemente addormentato, quello che è certo è che la dose di amor proprio che ha versato dentro l’essere umano è una dose da cavallo, anzi molto più che da cavallo, visto che non si è mai visto un cavallo autocelebrarsi con tutta la costanza e la passione degli uomini, né un cavallo né nessun altro animale, nemmeno un pavone. È curioso che si usi il verbo “pavoneggiarsi” per riferirsi a qualcuno che fa sfoggio di sé, quando invece sarebbe molto più onesto dire “uomeggiarsi”. Forse tutto questo amor proprio ha una sua utilità, chi lo sa? Forse è indispensabile perché la gente possa dedicarsi spensieratamente alla propria vita senza vederne il lato ridicolo: chi mai si metterebbe a fare qualcosa di grandioso o presunto tale se il solo concetto di “grandioso” gli facesse venire da ridere? Certamente, utile o no, tutto questo amor proprio ha uno svantaggio evidente: è come una gigantesca fetta di prosciutto che avvolge tutto l’essere umano e gli ottura la vista. Per non creare altre inutili similitudini, diciamo che è come una gigantesca buca. Una buca di prosciutto.
Finora, parlando di obiettivi da raggiungere (parte 4), ci si è sempre implicitamente riferiti alla situazione ideale di una persona in un universo disabitato. In una situazione del genere, per raggiungere un obiettivo posto a distanza so dal proprio ego, uno deve solo avere una saggezza sufficiente (s≥so), cioè deve avere un amor proprio (a) non troppo alto e un’intelligenza (i) non troppo bassa, essendo l’equazione fondamentale della persona (parte 12)
In questo modo tutti i possibili obiettivi sono caratterizzati da una saggezza minima necessaria per raggiungerli, tutti: dal fare retromarcia nel parcheggio del supermercato (so=0.12) al capire l’evoluzione dell’universo (so=0.88), cioè un obiettivo non è altro che un numero che la saggezza di una persona deve solo uguagliare. C’è chi ce la fa e c’è chi non ce la fa, ma chi ce la fa ce la fa sempre e chi non ce la fa non ce la fa mai. Tutto molto semplice, se non fosse che purtroppo nella vita effettivamente vissuta non funziona così, perché, come chiunque sa, nella vita esiste un piccolo fondamentale intralcio alla realizzazione dei propri obiettivi: gli altri. Nella vita il raggiungimento di un obiettivo non è una cosa che si svolge comodamente nello spazio intergalattico, ma va a incrociarsi col raggiungimento di altri obiettivi da parte di altre persone, come per esempio quando l’obiettivo “fare retromarcia nel parcheggio del supermercato” si scontra con l’obiettivo “mettere la spesa nel bagagliaio tenendo il carrello in mezzo al parcheggio” di quello dietro. Già questa è una situazione delicata che può facilmente sfociare in reciproci scambi di segni digitali, figuriamoci quando due hanno anche in mente modelli cosmologici diversi.
Si potrebbe pensare che capire la retromarcia di un altro non possa essere poi molto più difficile che capire la propria, in fondo si sta sempre parlando di retromarce, ma questo è vero solo quando il comportamento altrui non interferisce coi propri propositi. In tutti gli altri casi per raggiungere l’obiettivo “capire il comportamento altrui” bisogna prima essere in grado di raggiungere un altro e ben più arduo obiettivo, cioè “essere obiettivi”. Chiamato s* il distacco che bisogna prendere da sé per essere obiettivi, diciamo che una persona è obiettiva solo quando
s* varia da situazione a situazione a seconda di quanto gli obiettivi altrui risultino molesti, ma deve comunque sempre essere un distacco tale da portare più lontani da sé che da tutto il resto
Questo significa che, data la definizione di saggezza (parte 12), chi non è saggio non può mai essere obiettivo, anche se chi è saggio non è detto che lo sia. Soprattutto quando ci sono in ballo cose di fondamentale importanza come il lavoro, i sentimenti o le retromarce, essere obiettivi può diventare un’impresa riservata a pochi (s*≈1).
Il semplice non essere obiettivi, però, non è sufficiente a far comportare una persona da stupida, cioè a farle fare e dire cose come se fosse stupida in senso stretto pur non essendolo. L’obiettività può anche essere irraggiungibile, ma non per questo uno smette di avere presente che anche gli altri sono mossi da una volontà propria e hanno i loro personali e incomprensibili obiettivi. Sarebbe stupido giudicare stupido chi fa una cosa che sembra stupida senza saperne il motivo, così è normale che uno che non riesce a capire il fastidioso comportamento di un altro riesca almeno a capire di non aver capito e quindi a sopportare. Tuttavia, in alcuni casi di estremo coinvolgimento emotivo, può facilmente succedere che uno non solo non capisca, ma non riesca nemmeno a concepire la possibilità di non aver capito. È quello che succede quando la saggezza necessaria per essere obiettivi è maggiore della saggezza del proprio obiettivo concepibile più lontano (parte 8)
cioè quando
Sono questi i casi in cui le persone, di fronte al comportamento inconcepibile di altre persone, si lasciano finalmente andare ai più sfrenati comportamenti animaleschi. Perché, ammettiamolo, essere umani è parecchio faticoso e a volte ci si sente in diritto di riposarsi un po’. Questo è il terzo tipo di stupidità.
Si osservi che mentre la stupidità in senso stretto è dovuta alla poca intelligenza (parte 11), e la stoltezza è dovuta a un misto di poca intelligenza e troppo amor proprio (parte 14), questo nuovo tipo di stupidità è dovuto solo al troppo amor proprio. Infatti si manifesta quando
Per questo lo chiamiamo “tracotanza”, e chiamiamo la soglia di amor proprio oltre la quale si manifesta “soglia della tracotanza”
Più grande è la saggezza necessaria per essere obiettivi, più bassa è la soglia della tracotanza, più è probabile che ci si comporti in modo tracotante. La tracotanza, se vista da osservatori esterni non coinvolti, è quel tipo di stupidità che più di ogni altro può far vergognare di appartenere alla specie umana. È la stupidità di chi fa causa ai vicini perché usano l’aria condizionata di notte, di chi minaccia di morte qualcuno per una precedenza non rispettata o di chi parla con disprezzo di una nuova scoperta scientifica solo perché deve rifare tutti i conti. È il tipo di stupidità più comune e frequente perché riguarda più o meno tutti, ma in particolar modo le persone che si amano molto.
Una persona può essere obiettiva in una certa situazione (s*≤s), non obiettiva ma non tracotante in un’altra (s<s*≤sC) e tracotante in un’altra ancora (sC<s*), tutto dipende dal valore che di volta in volta assume s*, così può succedere che chi non è saggio, e quindi nemmeno obiettivo, in molte situazioni riesca comunque a non essere tracotante (a<a*). Siccome però s* non può mai scendere sotto 0.5, c’è un limite oltre il quale a* non può crescere, quindi chiunque abbia un amor proprio superiore a questo limite sarà inevitabilmente condannato alla tracotanza in tutte le interazioni con gli altri, comprese quelle in cui gli altri nemmeno si accorgono di interagire con lui. Per scoprire qual è questo limite basta sostituire s*=0.5 nell’espressione di a*, e quello che si trova è √3, l’amor proprio di Alessandro Magno (parte 4): chiunque si ami più di Alessandro Magno sarà sempre tracotante, oltre che poco saggio, frustrato e infelice (parti 15 e 16).
Per fare un esempio concreto consideriamo uno di quei casi in cui l’amor proprio di una persona viene profondamente coinvolto, cioè quando non si trova posto al ristorante pur avendo prenotato. Poniamo che in questo caso la saggezza minima richiesta per essere obiettivi sia s*=0.7, dunque la soglia della tracotanza sarà a*≈1. In figura sono rappresentati sul piano dell’amor proprio e dell’intelligenza (parte 15) tutti e tre i possibili modi di affrontare questa situazione: obiettivo (O), non obiettivo non tracotante (NONT), tracotante (T).
Solo le persone particolarmente sagge (s≥0.7) riusciranno a vedere la situazione con distacco e a rendersi conto che si tratta di un semplice malinteso dovuto alla scarsa ricezione del telefono al momento della prenotazione. “Te l’avevo detto di non chiamare col cellulare”, diranno senza il minimo segno d’ira alla loro personale moglie, dopodiché, seguendo l’insegnamento del sedicente Buddha, si siederanno placidamente ai piedi dell’attaccapanni e mediteranno in silenzio. Invece per tutti gli altri essere obiettivi è un obiettivo irraggiungibile, ma chi non si ama troppo (a≤1) sarà comunque in grado di ritenere plausibile un qualche tipo di inconveniente e, benché irritato, si rassegnerà ad aspettare il proprio turno senza protestare, magari ordinando un paio di birre consolatorie. Al contrario, quelli il cui amor proprio è così grande da non poter sopportare un simile affronto (a>1) cederanno inevitabilmente alla tracotanza. Per queste persone sarà impossibile non solo giudicare la situazione con obiettività, ma persino metterla nella giusta prospettiva rispetto all’infinitezza dell’universo e alla finitezza della loro vita, dal momento che non riusciranno a concepire nient’altro che l’inaudito fastidio per l’ostacolo che è venuto a frapporsi fra loro e l’imprescindibile obiettivo che si erano posti: “cenare subito”. Questo li farà dare in escandescenze varie e dire cose come “lei non sa chi sono io”, “il mondo è mio” e “la gente è stupida”.
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Io non so chi sia alla guida di questo universo e che progetti abbia per il futuro, se stia portando tutti a un enorme party cosmico o se si sia semplicemente addormentato, quello che è certo è che la dose di amor proprio che ha versato dentro l’essere umano è una dose da cavallo, anzi molto più che da cavallo, visto che non si è mai visto un cavallo autocelebrarsi con tutta la costanza e la passione degli uomini, né un cavallo né nessun altro animale, nemmeno un pavone. È curioso che si usi il verbo “pavoneggiarsi” per riferirsi a qualcuno che fa sfoggio di sé, quando invece sarebbe molto più onesto dire “uomeggiarsi”. Forse tutto questo amor proprio ha una sua utilità, chi lo sa? Forse è indispensabile perché la gente possa dedicarsi spensieratamente alla propria vita senza vederne il lato ridicolo: chi mai si metterebbe a fare qualcosa di grandioso o presunto tale se il solo concetto di “grandioso” gli facesse venire da ridere? Certamente, utile o no, tutto questo amor proprio ha uno svantaggio evidente: è come una gigantesca fetta di prosciutto che avvolge tutto l’essere umano e gli ottura la vista. Per non creare altre inutili similitudini, diciamo che è come una gigantesca buca. Una buca di prosciutto.
Finora, parlando di obiettivi da raggiungere (parte 4), ci si è sempre implicitamente riferiti alla situazione ideale di una persona in un universo disabitato. In una situazione del genere, per raggiungere un obiettivo posto a distanza so dal proprio ego, uno deve solo avere una saggezza sufficiente (s≥so), cioè deve avere un amor proprio (a) non troppo alto e un’intelligenza (i) non troppo bassa, essendo l’equazione fondamentale della persona (parte 12)
s = i / √(a2+1)
In questo modo tutti i possibili obiettivi sono caratterizzati da una saggezza minima necessaria per raggiungerli, tutti: dal fare retromarcia nel parcheggio del supermercato (so=0.12) al capire l’evoluzione dell’universo (so=0.88), cioè un obiettivo non è altro che un numero che la saggezza di una persona deve solo uguagliare. C’è chi ce la fa e c’è chi non ce la fa, ma chi ce la fa ce la fa sempre e chi non ce la fa non ce la fa mai. Tutto molto semplice, se non fosse che purtroppo nella vita effettivamente vissuta non funziona così, perché, come chiunque sa, nella vita esiste un piccolo fondamentale intralcio alla realizzazione dei propri obiettivi: gli altri. Nella vita il raggiungimento di un obiettivo non è una cosa che si svolge comodamente nello spazio intergalattico, ma va a incrociarsi col raggiungimento di altri obiettivi da parte di altre persone, come per esempio quando l’obiettivo “fare retromarcia nel parcheggio del supermercato” si scontra con l’obiettivo “mettere la spesa nel bagagliaio tenendo il carrello in mezzo al parcheggio” di quello dietro. Già questa è una situazione delicata che può facilmente sfociare in reciproci scambi di segni digitali, figuriamoci quando due hanno anche in mente modelli cosmologici diversi.
Si potrebbe pensare che capire la retromarcia di un altro non possa essere poi molto più difficile che capire la propria, in fondo si sta sempre parlando di retromarce, ma questo è vero solo quando il comportamento altrui non interferisce coi propri propositi. In tutti gli altri casi per raggiungere l’obiettivo “capire il comportamento altrui” bisogna prima essere in grado di raggiungere un altro e ben più arduo obiettivo, cioè “essere obiettivi”. Chiamato s* il distacco che bisogna prendere da sé per essere obiettivi, diciamo che una persona è obiettiva solo quando
s ≥ s*
s* varia da situazione a situazione a seconda di quanto gli obiettivi altrui risultino molesti, ma deve comunque sempre essere un distacco tale da portare più lontani da sé che da tutto il resto
0.5 ≤ s* < 1
Questo significa che, data la definizione di saggezza (parte 12), chi non è saggio non può mai essere obiettivo, anche se chi è saggio non è detto che lo sia. Soprattutto quando ci sono in ballo cose di fondamentale importanza come il lavoro, i sentimenti o le retromarce, essere obiettivi può diventare un’impresa riservata a pochi (s*≈1).
Il semplice non essere obiettivi, però, non è sufficiente a far comportare una persona da stupida, cioè a farle fare e dire cose come se fosse stupida in senso stretto pur non essendolo. L’obiettività può anche essere irraggiungibile, ma non per questo uno smette di avere presente che anche gli altri sono mossi da una volontà propria e hanno i loro personali e incomprensibili obiettivi. Sarebbe stupido giudicare stupido chi fa una cosa che sembra stupida senza saperne il motivo, così è normale che uno che non riesce a capire il fastidioso comportamento di un altro riesca almeno a capire di non aver capito e quindi a sopportare. Tuttavia, in alcuni casi di estremo coinvolgimento emotivo, può facilmente succedere che uno non solo non capisca, ma non riesca nemmeno a concepire la possibilità di non aver capito. È quello che succede quando la saggezza necessaria per essere obiettivi è maggiore della saggezza del proprio obiettivo concepibile più lontano (parte 8)
s* > sC
cioè quando
s* > 1/√(a2 + 1)
Sono questi i casi in cui le persone, di fronte al comportamento inconcepibile di altre persone, si lasciano finalmente andare ai più sfrenati comportamenti animaleschi. Perché, ammettiamolo, essere umani è parecchio faticoso e a volte ci si sente in diritto di riposarsi un po’. Questo è il terzo tipo di stupidità.
Si osservi che mentre la stupidità in senso stretto è dovuta alla poca intelligenza (parte 11), e la stoltezza è dovuta a un misto di poca intelligenza e troppo amor proprio (parte 14), questo nuovo tipo di stupidità è dovuto solo al troppo amor proprio. Infatti si manifesta quando
a > √(1/s*2 - 1)
Per questo lo chiamiamo “tracotanza”, e chiamiamo la soglia di amor proprio oltre la quale si manifesta “soglia della tracotanza”
a* = √(1/s*2 - 1)
Più grande è la saggezza necessaria per essere obiettivi, più bassa è la soglia della tracotanza, più è probabile che ci si comporti in modo tracotante. La tracotanza, se vista da osservatori esterni non coinvolti, è quel tipo di stupidità che più di ogni altro può far vergognare di appartenere alla specie umana. È la stupidità di chi fa causa ai vicini perché usano l’aria condizionata di notte, di chi minaccia di morte qualcuno per una precedenza non rispettata o di chi parla con disprezzo di una nuova scoperta scientifica solo perché deve rifare tutti i conti. È il tipo di stupidità più comune e frequente perché riguarda più o meno tutti, ma in particolar modo le persone che si amano molto.
Una persona può essere obiettiva in una certa situazione (s*≤s), non obiettiva ma non tracotante in un’altra (s<s*≤sC) e tracotante in un’altra ancora (sC<s*), tutto dipende dal valore che di volta in volta assume s*, così può succedere che chi non è saggio, e quindi nemmeno obiettivo, in molte situazioni riesca comunque a non essere tracotante (a<a*). Siccome però s* non può mai scendere sotto 0.5, c’è un limite oltre il quale a* non può crescere, quindi chiunque abbia un amor proprio superiore a questo limite sarà inevitabilmente condannato alla tracotanza in tutte le interazioni con gli altri, comprese quelle in cui gli altri nemmeno si accorgono di interagire con lui. Per scoprire qual è questo limite basta sostituire s*=0.5 nell’espressione di a*, e quello che si trova è √3, l’amor proprio di Alessandro Magno (parte 4): chiunque si ami più di Alessandro Magno sarà sempre tracotante, oltre che poco saggio, frustrato e infelice (parti 15 e 16).
Per fare un esempio concreto consideriamo uno di quei casi in cui l’amor proprio di una persona viene profondamente coinvolto, cioè quando non si trova posto al ristorante pur avendo prenotato. Poniamo che in questo caso la saggezza minima richiesta per essere obiettivi sia s*=0.7, dunque la soglia della tracotanza sarà a*≈1. In figura sono rappresentati sul piano dell’amor proprio e dell’intelligenza (parte 15) tutti e tre i possibili modi di affrontare questa situazione: obiettivo (O), non obiettivo non tracotante (NONT), tracotante (T).
Solo le persone particolarmente sagge (s≥0.7) riusciranno a vedere la situazione con distacco e a rendersi conto che si tratta di un semplice malinteso dovuto alla scarsa ricezione del telefono al momento della prenotazione. “Te l’avevo detto di non chiamare col cellulare”, diranno senza il minimo segno d’ira alla loro personale moglie, dopodiché, seguendo l’insegnamento del sedicente Buddha, si siederanno placidamente ai piedi dell’attaccapanni e mediteranno in silenzio. Invece per tutti gli altri essere obiettivi è un obiettivo irraggiungibile, ma chi non si ama troppo (a≤1) sarà comunque in grado di ritenere plausibile un qualche tipo di inconveniente e, benché irritato, si rassegnerà ad aspettare il proprio turno senza protestare, magari ordinando un paio di birre consolatorie. Al contrario, quelli il cui amor proprio è così grande da non poter sopportare un simile affronto (a>1) cederanno inevitabilmente alla tracotanza. Per queste persone sarà impossibile non solo giudicare la situazione con obiettività, ma persino metterla nella giusta prospettiva rispetto all’infinitezza dell’universo e alla finitezza della loro vita, dal momento che non riusciranno a concepire nient’altro che l’inaudito fastidio per l’ostacolo che è venuto a frapporsi fra loro e l’imprescindibile obiettivo che si erano posti: “cenare subito”. Questo li farà dare in escandescenze varie e dire cose come “lei non sa chi sono io”, “il mondo è mio” e “la gente è stupida”.
(Parte successiva | Inizio | Appendice)