Se dovessi dare una definizione semplice e concisa di cosa sia un essere umano, direi che è un animale rumoroso. Se c’è una cosa in cui l’uomo surclassa di gran lunga tutti gli altri animali è il suo straordinario talento nel produrre rumori, i più svariati e fantasiosi rumori, tutti rigorosamente sparati al massimo volume nelle orecchie altrui. Più un rumore è fastidioso, più il suo volume sarà alto. È una legge di natura. Più uno non ha niente da dire, più lo dirà ad alta voce.
L’auto, per esempio. Tutti pensano che l’auto sia un mezzo per spostarsi e che, come effetto secondario, abbia quello di produrre rumori fastidiosi. Sbagliato. L’auto è prima di tutto un mezzo per produrre rumori fastidiosi col quale, volendo, ci si può anche spostare. Un’auto che non sgasi, non strombazzi e non appesti l’aria con musica di scarico a novemila decibel non è un’auto, è un’altra cosa.
Prima della comparsa dell’uomo, gli animali credevano che il suono più spaventoso del mondo fosse il ruggito di un leone. Ingenui. Che cos’è il ruggito di un leone in confronto al suono di una sveglia alle sette di mattina? I leoni, i rinoceronti e tutti gli altri animali fuggivano a zampe levate inseguiti da uomini con le sveglie. L’uomo era il nuovo rumorosissimo re della foresta.
Ormai mi sono rassegnato a vivere sommerso dai rumori degli altri, anche in casa mia. Non esiste un posto sulla Terra dove si possa trovare un po’ di silenzio. Dicono che sui fondali marini potrebbe esserci qualcosa di simile, ma io non ci credo, sono sicuro che anche lì c’è qualcuno che urla “dottore! dottore! dottore del buco del cul, vaffancul, vaffancul!”. Alla gente piace troppo infliggerti i suoi rumori. Il concetto è: i rumori che produco sono un’espressione del mio straordinario essere, importeli significa farti partecipe della mia straordinaria vita (in pratica ti faccio un favore). Se riesco a infilarti in casa i miei Striscia la notizia, i miei Coldplay e gli orgasmi simulati di mia moglie, io rendo la tua vita un po’ più straordinaria. Il massimo sarebbe cacarti direttamente nelle orecchie.
Da qualche giorno si è aggiunto alla collezione sonora dei miei vicini un nuovo assordante essere umano, una donna che a orecchio avrà sui trent’anni e che tutti i giorni (che sono, lo ricordo, lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica) spalanca le finestre che danno sul cavedio del palazzo, una specie di amplificatore architettonico, e a pieni polmoni urla “ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon...” e così via, ininterrottamente, per ore. Ecco un altro che vuole entrarmi in casa, ho pensato, che vuole somministrarmi il suo straordinario modo di essere. Non bastava il pianista a cui hanno evidentemente incasinato tutti i tasti, l’appassionato di televendite Miracle Blade 3, i due pensionati che si insultano in dialetti preistorici e gli ammassi di neonati che ululano dalla mattina alla sera, tutti accuratamente installati di fronte a una bella finestra aperta, ci voleva anche la sciroccata col mantra buddista, ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon...
Nel suo caso, però, c’è un aspetto che rende la sua attività sonora oltre che fastidiosa, anche contraddittoria.
Il mantra, mi sono documentato, è una cantilena in sanscrito che dovrebbe servire per concentrarsi, liberarsi dalle scorie mondane e riappacificarsi col tutto. Fin qui una bellissima cosa. Per l’induismo e il buddismo la moltitudine degli esseri viventi è solo un’illusione, perché in realtà esiste solo un unico grande essere di cui tutti siamo parte. Ed è qui che c’è la contraddizione. Se mi spari il tuo mantra nelle orecchie tutti i giorni, probabilmente tu ti rilassi e ti avvicini all’illuminazione, ma io me ne allontano, e ti garantisco che me ne allontano molto ma veramente molto di più di quanto tu te ne avvicini. In questo modo l’essere universale di cui tutti siamo parte (io, tu, il gatto, le ciabatte, eccetera) peggiora. Col tuo mantra ottieni l’effetto di peggiorare l’universo, non di migliorarlo, perché io, purtroppo, l’unica cosa che provo è il tormentoso desiderio di chiuderti la bocca a sediate.
Poi per curiosità sono andato a vedere cosa significa ghedelin-ghedelon in sanscrito. Bene, com’era prevedibile significa “dottore! dottore! dottore del buco del cul, vaffancul, vaffancul!”.
Le cose belle sono silenziose.
L’auto, per esempio. Tutti pensano che l’auto sia un mezzo per spostarsi e che, come effetto secondario, abbia quello di produrre rumori fastidiosi. Sbagliato. L’auto è prima di tutto un mezzo per produrre rumori fastidiosi col quale, volendo, ci si può anche spostare. Un’auto che non sgasi, non strombazzi e non appesti l’aria con musica di scarico a novemila decibel non è un’auto, è un’altra cosa.
Prima della comparsa dell’uomo, gli animali credevano che il suono più spaventoso del mondo fosse il ruggito di un leone. Ingenui. Che cos’è il ruggito di un leone in confronto al suono di una sveglia alle sette di mattina? I leoni, i rinoceronti e tutti gli altri animali fuggivano a zampe levate inseguiti da uomini con le sveglie. L’uomo era il nuovo rumorosissimo re della foresta.
Ormai mi sono rassegnato a vivere sommerso dai rumori degli altri, anche in casa mia. Non esiste un posto sulla Terra dove si possa trovare un po’ di silenzio. Dicono che sui fondali marini potrebbe esserci qualcosa di simile, ma io non ci credo, sono sicuro che anche lì c’è qualcuno che urla “dottore! dottore! dottore del buco del cul, vaffancul, vaffancul!”. Alla gente piace troppo infliggerti i suoi rumori. Il concetto è: i rumori che produco sono un’espressione del mio straordinario essere, importeli significa farti partecipe della mia straordinaria vita (in pratica ti faccio un favore). Se riesco a infilarti in casa i miei Striscia la notizia, i miei Coldplay e gli orgasmi simulati di mia moglie, io rendo la tua vita un po’ più straordinaria. Il massimo sarebbe cacarti direttamente nelle orecchie.
Da qualche giorno si è aggiunto alla collezione sonora dei miei vicini un nuovo assordante essere umano, una donna che a orecchio avrà sui trent’anni e che tutti i giorni (che sono, lo ricordo, lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica) spalanca le finestre che danno sul cavedio del palazzo, una specie di amplificatore architettonico, e a pieni polmoni urla “ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon...” e così via, ininterrottamente, per ore. Ecco un altro che vuole entrarmi in casa, ho pensato, che vuole somministrarmi il suo straordinario modo di essere. Non bastava il pianista a cui hanno evidentemente incasinato tutti i tasti, l’appassionato di televendite Miracle Blade 3, i due pensionati che si insultano in dialetti preistorici e gli ammassi di neonati che ululano dalla mattina alla sera, tutti accuratamente installati di fronte a una bella finestra aperta, ci voleva anche la sciroccata col mantra buddista, ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon-ghedelin-ghedelon...
Nel suo caso, però, c’è un aspetto che rende la sua attività sonora oltre che fastidiosa, anche contraddittoria.
Il mantra, mi sono documentato, è una cantilena in sanscrito che dovrebbe servire per concentrarsi, liberarsi dalle scorie mondane e riappacificarsi col tutto. Fin qui una bellissima cosa. Per l’induismo e il buddismo la moltitudine degli esseri viventi è solo un’illusione, perché in realtà esiste solo un unico grande essere di cui tutti siamo parte. Ed è qui che c’è la contraddizione. Se mi spari il tuo mantra nelle orecchie tutti i giorni, probabilmente tu ti rilassi e ti avvicini all’illuminazione, ma io me ne allontano, e ti garantisco che me ne allontano molto ma veramente molto di più di quanto tu te ne avvicini. In questo modo l’essere universale di cui tutti siamo parte (io, tu, il gatto, le ciabatte, eccetera) peggiora. Col tuo mantra ottieni l’effetto di peggiorare l’universo, non di migliorarlo, perché io, purtroppo, l’unica cosa che provo è il tormentoso desiderio di chiuderti la bocca a sediate.
Poi per curiosità sono andato a vedere cosa significa ghedelin-ghedelon in sanscrito. Bene, com’era prevedibile significa “dottore! dottore! dottore del buco del cul, vaffancul, vaffancul!”.
Le cose belle sono silenziose.