Si dice “il lavoro nobilita l’uomo” e io sono d’accordo, senza approfondire troppo cosa significhi “nobilitare”.
Un lavoro è una qualsiasi attività umana che produca qualcosa: olive sott'olio, giri veloci a Monza, poemi cavallereschi, eccetera, quindi cose utili, divertenti o belle che rendono la mia vita più comoda, piacevole e interessante. Anche quando il lavoro produce cose inutili, noiose e brutte, nobilita ugualmente l’uomo, perché per avere uno che combina qualcosa di buono ce ne vogliono mille che non combinano niente di buono. Per avere un Bach ci vogliono novantanove Telemann, mille Beatles, infiniti Festival di Sanremo. Bach ha potuto comporre l’Arte della Fuga solo perché Valerio Scanu ha vinto Sanremo.
Normalmente, però, è sottinteso che il lavoro, bello o brutto che sia, serio o stupido, utile o inutile, debba essere anche retribuito. Se non è retribuito non è lavoro, nemmeno se sudi. Passare un’intera giornata a potare le siepi per quindici euro all’ora è un lavoro, cioè una cosa seria e rispettabile, fare esattamente la stessa cosa per i fatti propri, nello stesso identico modo e con la stessa identica perizia o imperizia, è un hobby, cioè una cosa poco seria. Questo non ha senso.
La serietà e la rispettabilità di quello che faccio non sono giudicate in base a quanto serio e rispettabile è ciò che produco, ma a quanto serio e rispettabile è ciò che guadagno, e zero è una cifra molto poco rispettabile. Per essere seri e rispettabili con zero euro, bisogna fare cose come trapiantare cuori a bambini sufficientemente neri o scalare il K2 in mutande. Qualsiasi altra cosa fatta gratis rende chi la fa un povero cretino.
Una volta, a Milano, mi è capitato di vedere un uomo che suonava la fisarmonica in mezzo alla strada. Le strade delle grandi città sono sempre piene di pezzenti che cercano di racimolare qualcosa prendendo a cazzotti uno strumento. In genere la gente gli lancia una monetina sperando di centrarli in mezzo agli occhi. Questo qui però era diverso, suonava bene. No, non suonava bene, suonava straordinariamente bene. Con l’ausilio di sole dieci dita umane ha suonato da cima a fondo tutta l’Arte della Fuga, in modo così nitido e preciso che sembrava di vedere le note scorrere davanti agli occhi. Probabilmente era un professionista, magari uno venuto a Milano per un concerto e che, per puro divertimento, si era messo a suonare in mezzo alla strada per vedere la reazione della gente di fronte a un pezzente che sapeva suonare, o forse no, forse era proprio un pezzente che sapeva suonare, un raro miracoloso esempio di pezzente musicalmente dotato che invece di intraprendere la carriera di musicista aveva preferito fare la fame e regalare ai milanesi la musica di Bach. Tutto è possibile, fatto sta che nessuno lo considerava, a nessuno fregava niente del suo regalo. La gente gli passava davanti starnazzando e muggendo come se non ci fosse stato niente di speciale da ascoltare. In una sala da concerto lo avrebbero ascoltato in silenzio, avrebbero sfoggiato il loro repertorio di facce “intelligenti”, applaudito nei momenti prescritti dalla Costituzione Italiana e tossito rigorosamente a tempo, invece qui, gratuitamente e in mezzo alla strada, nessuno ascoltava, nessuno applaudiva, nessuno tossiva. Sono sicuro che se uno piazzasse sul palco di un teatro uno di quegli ubriaconi che massacrano Vivaldi a violinate, la maggior parte della gente lo applaudirebbe entusiasta, perché per la maggior parte della gente ciò che rende musicista un musicista non è la sua musicalità, ma il biglietto che paga per ascoltarlo.
Chi dice “il lavoro nobilita l’uomo” in realtà sta dicendo “lo stipendio nobilita l’uomo”. Sgobbare come un bue non è sufficiente per accedere all’ambitissima aristocrazia dei lavoratori, se vuoi essere apprezzato dalla società devi avere anche uno stipendio. Però, attenzione, se il lavoro non è abbastanza sgradevole, lo stipendio deve essere adeguatamente basso. Nemmeno questo ha senso.
Per esempio non è considerato molto nobile che un calciatore guadagni milioni per sgambettare in calzoncini in un prato, non importa se quello sgambettio fa guadagnare ancora più milioni a questo e quest'altro, e non importa nemmeno che il calcio occupi la maggior parte della vita della maggior parte delle persone. Queste stesse persone che vivono per il calcio pensano che non sia nobile che uno guadagni milioni giocando a calcio.
“Il lavoro nobilita l’uomo” significa “sgobbare tutta la vita per due soldi nobilita l’uomo”, e questo non ha proprio nessun senso.
Sgobbare tutta la vita per due soldi può essere una spiacevole necessità, non un’aspirazione. Se uno passa la vita a sgobbare per due soldi rischia di annullarsi nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo sgobbare. È terribile quando uno diventa il lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”. Quando uno finisce con l’immedesimarsi con il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco tempo libero che ha non lo dedica più a ciò che veramente gli interessa, ma a riprendere fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi per lo sgobbare. In questo modo uno si svuota, perde interesse per tutto e inizia a bere, a distruggersi di canne e a dilapidare i due soldi che guadagna con puttane e video poker.
Allora è meglio dire “il lavoro è il padre dei vizi”. Questo ha senso.
(Cfr. L’ozio nobilità l’uomo)
Un lavoro è una qualsiasi attività umana che produca qualcosa: olive sott'olio, giri veloci a Monza, poemi cavallereschi, eccetera, quindi cose utili, divertenti o belle che rendono la mia vita più comoda, piacevole e interessante. Anche quando il lavoro produce cose inutili, noiose e brutte, nobilita ugualmente l’uomo, perché per avere uno che combina qualcosa di buono ce ne vogliono mille che non combinano niente di buono. Per avere un Bach ci vogliono novantanove Telemann, mille Beatles, infiniti Festival di Sanremo. Bach ha potuto comporre l’Arte della Fuga solo perché Valerio Scanu ha vinto Sanremo.
Normalmente, però, è sottinteso che il lavoro, bello o brutto che sia, serio o stupido, utile o inutile, debba essere anche retribuito. Se non è retribuito non è lavoro, nemmeno se sudi. Passare un’intera giornata a potare le siepi per quindici euro all’ora è un lavoro, cioè una cosa seria e rispettabile, fare esattamente la stessa cosa per i fatti propri, nello stesso identico modo e con la stessa identica perizia o imperizia, è un hobby, cioè una cosa poco seria. Questo non ha senso.
La serietà e la rispettabilità di quello che faccio non sono giudicate in base a quanto serio e rispettabile è ciò che produco, ma a quanto serio e rispettabile è ciò che guadagno, e zero è una cifra molto poco rispettabile. Per essere seri e rispettabili con zero euro, bisogna fare cose come trapiantare cuori a bambini sufficientemente neri o scalare il K2 in mutande. Qualsiasi altra cosa fatta gratis rende chi la fa un povero cretino.
Una volta, a Milano, mi è capitato di vedere un uomo che suonava la fisarmonica in mezzo alla strada. Le strade delle grandi città sono sempre piene di pezzenti che cercano di racimolare qualcosa prendendo a cazzotti uno strumento. In genere la gente gli lancia una monetina sperando di centrarli in mezzo agli occhi. Questo qui però era diverso, suonava bene. No, non suonava bene, suonava straordinariamente bene. Con l’ausilio di sole dieci dita umane ha suonato da cima a fondo tutta l’Arte della Fuga, in modo così nitido e preciso che sembrava di vedere le note scorrere davanti agli occhi. Probabilmente era un professionista, magari uno venuto a Milano per un concerto e che, per puro divertimento, si era messo a suonare in mezzo alla strada per vedere la reazione della gente di fronte a un pezzente che sapeva suonare, o forse no, forse era proprio un pezzente che sapeva suonare, un raro miracoloso esempio di pezzente musicalmente dotato che invece di intraprendere la carriera di musicista aveva preferito fare la fame e regalare ai milanesi la musica di Bach. Tutto è possibile, fatto sta che nessuno lo considerava, a nessuno fregava niente del suo regalo. La gente gli passava davanti starnazzando e muggendo come se non ci fosse stato niente di speciale da ascoltare. In una sala da concerto lo avrebbero ascoltato in silenzio, avrebbero sfoggiato il loro repertorio di facce “intelligenti”, applaudito nei momenti prescritti dalla Costituzione Italiana e tossito rigorosamente a tempo, invece qui, gratuitamente e in mezzo alla strada, nessuno ascoltava, nessuno applaudiva, nessuno tossiva. Sono sicuro che se uno piazzasse sul palco di un teatro uno di quegli ubriaconi che massacrano Vivaldi a violinate, la maggior parte della gente lo applaudirebbe entusiasta, perché per la maggior parte della gente ciò che rende musicista un musicista non è la sua musicalità, ma il biglietto che paga per ascoltarlo.
Chi dice “il lavoro nobilita l’uomo” in realtà sta dicendo “lo stipendio nobilita l’uomo”. Sgobbare come un bue non è sufficiente per accedere all’ambitissima aristocrazia dei lavoratori, se vuoi essere apprezzato dalla società devi avere anche uno stipendio. Però, attenzione, se il lavoro non è abbastanza sgradevole, lo stipendio deve essere adeguatamente basso. Nemmeno questo ha senso.
Per esempio non è considerato molto nobile che un calciatore guadagni milioni per sgambettare in calzoncini in un prato, non importa se quello sgambettio fa guadagnare ancora più milioni a questo e quest'altro, e non importa nemmeno che il calcio occupi la maggior parte della vita della maggior parte delle persone. Queste stesse persone che vivono per il calcio pensano che non sia nobile che uno guadagni milioni giocando a calcio.
“Il lavoro nobilita l’uomo” significa “sgobbare tutta la vita per due soldi nobilita l’uomo”, e questo non ha proprio nessun senso.
Sgobbare tutta la vita per due soldi può essere una spiacevole necessità, non un’aspirazione. Se uno passa la vita a sgobbare per due soldi rischia di annullarsi nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo sgobbare. È terribile quando uno diventa il lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”. Quando uno finisce con l’immedesimarsi con il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco tempo libero che ha non lo dedica più a ciò che veramente gli interessa, ma a riprendere fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi per lo sgobbare. In questo modo uno si svuota, perde interesse per tutto e inizia a bere, a distruggersi di canne e a dilapidare i due soldi che guadagna con puttane e video poker.
Allora è meglio dire “il lavoro è il padre dei vizi”. Questo ha senso.
(Cfr. L’ozio nobilità l’uomo)