QI
Che cos’è l’intelligenza? Si dice la capacità di risolvere problemi. Bene. Ed è molto importante essere intelligenti? A giudicare da quanto la gente ci tiene si direbbe proprio di sì. Chi ha la sfortuna di fare l’insegnante su questo pianeta sa bene che non si può mai dire a un genitore che suo figlio è poco intelligente, nemmeno quando il suddetto figlio non riconosce la propria immagine allo specchio. I pedagogisti vietano persino di pensare che un bambino possa essere poco intelligente e spiegano che tutti, a loro modo, sono intelligenti, sta all’insegnante capire come facciano a fingere così bene di non esserlo. Come dice Isaac in Manhattan, l’intelligenza è molto sopravvalutata, ed è vero. Se solo la gente se ne rendesse conto potrebbe finalmente rilassarsi un po’ e smettere di fare tutte quelle cose stupide per sembrare intelligente. Io, per esempio, non ho difficoltà ad ammettere che non so fare le operazioni a mente. E non sto parlando di prodotti tensoriali o integrazioni in n dimensioni, sto parlando di addizioni e sottrazioni. Quando ci provo mi compaiono subito le rotelline colorate di OSX negli occhi e devo aiutarmi con le dita, cosa che mi limita molto con i numeri maggiori di dieci.
Se l’intelligenza consiste nel saper risolvere i problemi meglio e più velocemente degli altri, allora uno che riesce a realizzare il suo sogno di fare il Ministro della Repubblica è sicuramente una persona molto intelligente, e se l’intelligenza è la qualità intellettuale più importante di un essere umano, allora un qualsiasi Ministro a caso deve essere per forza una persona straordinaria, ma questo è in disaccordo con i dati sperimentali. È evidente che le capacità intellettuali di una persona non possono essere giudicate solo dalla sua capacità di risolvere i problemi, ma anche dal tipo di problemi che si pone. Che cosa bisogna pensare di uno il cui problema è diventare Ministro? Se un mio amico mi dicesse che vuole diventare Ministro, io penserei che è uno stupido, e se poi un giorno diventasse veramente ministro, non è che per questo mi sembrerebbe meno stupido. Uno stupido che risolve i suoi problemi da stupido resta sempre uno stupido. La verità è che esistono stupidi molto intelligenti. Per questo dico che, per valutare le capacità intellettuali complessive di una persona, bisogna considerare oltre all’intelligenza anche la comprensione, dove “comprendere” non è sinonimo di “capire”, checché ne dica la lingua italiana.
Ma che cos’è esattamente la comprensione? Non è per caso solo un espediente per dimostrare che, anche se non so fare le addizioni, sono comunque straordinariamente sveglio?
Non solo.
QI2
Ogni persona (p
i) vive in un suo mondo (M
i) dove si rappresenta come Io
i e in cui ci sono varie cose tutte più o meno collegate fra loro.
L’intelligenza è la capacità di cogliere i nessi fra le cose. Per esempio, una persona intelligente sa che le verze possono produrre fastidiosi spifferi e che mettersi un arbre magique nelle mutande non risolve il problema.
Ci sono cose che appartengono ai mondi di tutti e cose che appartengono solo al mondo di qualcuno. L’intersezione di tutti i mondi (∩M
i) è il mondo comune, quello con il quale tutti hanno più o meno a che fare.
Se la figura qui sopra sembra volgare, non è colpa della figura, è il mondo comune che è volgare. Ovviamente ognuno progetta la propria vita nell’ambito più o meno ristretto del suo mondo personale e le cose che stanno fuori è come se non esistessero. Per p
1 le rose canine non esistono, esistono i fiori, ma non le rose canine, mentre per p
2 non esiste il macropodus opercularis, al massimo esiste la frittura di pesce. Così quando p
1 e p
2 vogliono scambiare due chiacchiere si limiteranno a parlare di qualcosa che appartenga a ∩M
i.
Che caldo!
Non si respira!
Un caldo così non l’ho mai sentito.
È che non si respira.
Dicono che sia l’estate più calda degli ultimi seimila anni.
Se qui non si fa qualcosa...
Domani sarà anche peggio.
Ormai non sbagliano più, quando dicono che piove...
Piove.
Quando dicono che fa caldo...
Che caldo!
Piovesse almeno!
Che poi non è nemmeno il caldo.
È l’umidità.
Che umidità!
Scusa...
Dimmi.
Non mi ricordo più chi sono io e chi sei tu.
Se l’intelligenza è la capacità di connettere le cose fra loro, la comprensione è la capacità di includerle nel proprio mondo. Comprendere una cosa non significa capirla, ma piuttosto avere la possibilità di capirla. Ognuno esercita la propria intelligenza entro i confini di ciò che ha compreso, quindi si può dire che per capire una cosa bisogna prima averla compresa. Se uno è intelligentissimo, ma nel suo mondo ci sono solo verze, mutande e arbre magique, il margine che ha per destreggiarsi con la sua smisurata intelligenza è abbastanza limitato. È come avere una Porsche e abitare ad Alicudi.
La comprensione di una persona parte sempre dalle cose che le sono più vicine, cioè da se stessa, dai suoi bisogni immediati e dal suo benessere materiale, poi passa a quelle che la riguardano sempre meno direttamente e via via si allarga fino a includere cose anche molto distanti dal proprio entusiasmante ego. Le persone che comprendono poco vivono in mondi piccoli, il cui raggio è stimabile intorno ai due o tre palmi dal naso, e quando nel mondo di una persona ci sono poche cose, queste sono perlopiù quelle che appartengono a ∩M
i. Ciò fa sì che la gente col mondo piccolo abbia desideri comuni, apprezzi le cose che vanno di moda, parli per sentito dire, abbia opinioni banali e racconti un sacco di barzellette. Sono quelli che vanno nei posti dove vanno tutti, a fare quello che fanno tutti e, quando tornano, raccontano le cose che raccontano tutti, parola per parola. Queste persone sono una la fotocopia dell’altra, parlano tutte insieme con la stessa voce e si ammassano sgomitando e calpestandosi. Fra loro ci sono anche persone molto intelligenti, sono quelle che sgomitano e calpestano meglio degli altri. Inoltre più M
i è piccolo, più Io
i sembra grande. Per chi vive in un mondo piccolo tutto quello che c’è è noto e tutto quello che è noto è in relazione diretta con lui, così le persone che comprendono poco tendono inevitabilmente a parlare sempre di sé e sono incapaci di ascoltare. Primo perché sono storditi dalle smisurate dimensioni del proprio Io (dimensioni smisurate solo in relazione alla piccolezza del mondo in cui vivono), secondo perché nel loro mondo ci sono così poche cose che chiunque si rivolga a loro parlerà quasi sempre di qualcosa che non comprendono.
Quindi, per avere una valutazione più veritiera delle capacità intellettuali di una persona (QI2), il QI deve essere pesato con un coefficiente di comprensione (CC), cioè un numero compreso fra 0 e 1 che stimi le dimensioni del mondo della persona in questione (0 se inesistente, 1 se infinito).
QI2 = CC × QI
In questo modo si può avere il caso limite di una persona che capisce tutto (QI=miliardi) ma che non ha niente da capire (CC=0), e che è quindi indistinguibile da uno che non capisce niente (QI=0).
EG
Per esempio, una cosa che mi sono sempre chiesto è questa: come fa una persona intelligente a credere in Dio? Un ente metafisico, atemporale, onnipotente, onnisciente, creatore di tutto e di tutti, che si arrabbia se uno si mette sul pene una guaina di gomma? La risposta che mi sono sempre dato è che non può, chi crede in un Dio così intelligente che fa cose così stupide non è intelligente. Certamente è una risposta che viene spontanea, ma è sbagliata, perché se fosse un problema di intelligenza, allora uno che non si accorge di incongruenze così evidenti dovrebbe essere talmente stupido da radersi con l’affettatrice, entrare e uscire di casa passando per lo scarico del water, guidare la moto col casco alla rovescia e pretendere di far colpo sulla gente dandosi fuoco ai peli del naso. Invece non è così. Tolta la religione, i religiosi sono intelligenti tanto quanto gli altri. Allora si potrebbe pensare che è colpa dell’ignoranza: se uno non sa che sulla Terra esistono migliaia di religioni, alcune persino più assurde della sua e ciononostante seguite altrettanto ciecamente da milioni e milioni di fedeli, è più facile che continui a coltivare la sua spiritualità locale. Certo l’ignoranza aiuta, ma non basta, perché tutti sono più o meno al corrente dell'esistenza del Buddismo, dell’Induismo, dell’Islam, dei tarocchi, eccetera, ma non è che questo faccia loro una grande impressione.
Che cos’hai detto?
Quando?
Luddismo? Bullismo? Lollismo?
Buddismo.
E che cos’è?
È una religione.
Davvero!?
Sì.
Non sapevo che esistessero due religioni!
Dice che tutto è sofferenza, ogni cosa decade e si estingue, e l’Io non esiste.
Mm... mi torna.
Invece non va mai così. I riti degli altri sono sempre superstizioni senza senso, mentre stringersi la mano in chiesa è scambiarsi un segno di pace, mangiare una sottile sfoglia di frumento è ricevere il corpo di Cristo e raccontare le proprie perversioni sessuali a un vecchio chiuso in una cabina di legno è confessarsi. Questo perché la religiosità di una persona non è tanto una questione di intelligenza né di istruzione, quanto di comprensione. Non è che le incongruenze della propria religione non siano capite, non sono proprio nemmeno comprese. Un religioso ha nei confronti di queste incongruenze perlopiù lo stesso atteggiamento che ha nei confronti delle mosche: cerca di scacciarle.
Per chi nasce in Italia, Dio, l’immortalità dell’anima e la verginità della Madonna appartengono a ∩M
i.
Sono cose a cui uno dà importanza di default, non perché le abbia scelte. Si crede in Dio perché ci credono gli altri, senza averlo mai deciso, quasi senza saperlo, e questo non è di per sé stupido. Avere delle convinzioni basate sul sentito dire è normale. Se uno mettesse in discussione ogni volta tutto quanto, impiegherebbe due settimane solo per farsi una pasta coi broccoli. Anche nel Giappone molte persone credono solo per sentito dire: qualcun altro ci è stato e ne parla, Google Maps sostiene che quell’arcipelago a forma di banana si chiami Giappone, il sushi viene spacciato per cibo giapponese, eccetera, e finché nel loro mondo non entra qualcosa di incongruente col Giappone, queste persone non ne metteranno mai in discussione l’esistenza. La stessa cosa vale anche per le religioni, solo che per smettere di credere in Dio o nel Giappone non è sufficiente che un’incongruenza si presenti sulla porta del mondo e suoni il citofono, bisogna anche aprirle. Certo è una scocciatura, è troppo bello starsene chiusi in casa e non rispondere a nessuno, meno che mai a un’incongruenza, una che magari entra in casa con le scarpe sporche e butta all’aria tutto. Purtroppo però è l’unico modo per capire se un’incongruenza è veramente un’incongruenza o solo pubblicità in buca. In poche parole, per darsi una risposta bisogna prima essere disposti a farsi la domanda.
Come fa una persona intelligente a credere in Dio? Non se l’è mai chiesto.
CC
Il QI da solo non serve a niente, è solo un numero da giocare al lotto. Come si è detto, il QI diventa una valutazione attendibile delle capacità intellettuali solo se viene moltiplicato per CC, il coefficiente di comprensione. Quindi se si vogliono quantificare le capacità intellettuali di una persona, è necessario avere un test che stimi anche CC. Naturalmente preparare un test di questo genere va al di là degli scopi di questo blog, tuttavia è possibile farsene un’idea per mezzo di alcune domande qualitative. Per cercare di capire come potrebbero essere queste domande, partiamo dal seguente dato di fatto: le persone tracotanti hanno poca comprensione e più sono tracotanti meno comprensione hanno. Per convincersene è sufficiente tenere presente che la comprensione di un essere umano è fondamentalmente la sua apertura alla possibilità di essere stupido. “Stupido” non in senso clinico, ma in senso esistenziale. Gli stupidi clinici, cioè quelli col cervello difettoso, sono rari e sono persone da compatire. Non c’entrano niente con questo discorso. Generalmente, quando si dice che uno è stupido, si dà sempre per scontato che lo sia nello stesso senso di uno stupido clinico, ma non è così. La stupidità delle persone col cervello che funziona è un modo di essere, non una condizione fisica del cervello. Lo stupido è solo una persona che fa o dice cose stupide ed è stupido solo ed esclusivamente nel momento in cui dice o fa quelle cose. Per esempio, essere convinti di non dire e non fare mai cose stupide è una cosa stupida. È sbagliato pensare, come di solito fanno tutti, che esistano gli stupidi e i non stupidi, perché la stupidità è la condizione originaria e congenita di ogni essere umano, è il suo modo di essere più prossimo, quello che gli viene più spontaneo. Tutti siamo stati, siamo e saremo stupidi, almeno un po’, e l’unica cosa che si può fare è solo cercare di essere il meno stupidi possibile. Che cos’è la vita se non un graduale e continuo liberarsi della propria stupidità? Si nasce che si è dei perfetti stupidi e si dovrebbe sperare di morire un po’ meno stupidi di quando si è nati. Rendersi conto di essere stupidi è una cosa positiva, perché solo chi di tanto in tanto si sente stupido può provare a esserlo di meno.
Ecco quindi alcune domande attraverso cui chiunque può farsi un’idea del proprio CC, basta rispondere con sincerità. Purtroppo c’è l’inconveniente che chi ha una scarsa comprensione è di solito anche poco sincero con se stesso, il che renderebbe il test che segue completamente inutile se non fosse che ho una gran voglia di scriverlo.
Prima domanda: mi è mai capitato di avere torto?
Rispondere al volo “sì, un sacco di volte” non basta. Questo test non si fa fregare così facilmente. Per rispondere bisogna prendere carta e penna e menzionare nel dettaglio tutte le volte in cui si ha avuto torto (quando, dove, come e perché). La quantità di spazio bianco che resterà sul foglio sarà inversamente proporzionale al proprio CC. Importante: il foglio deve essere un A4, non un post-it.
Seconda domanda: conosco qualcuno più intelligente di me?
Rispondere “Einstein” non va bene. Anche rispondere “Einstein, Mozart, Socrate, Shakespeare e tutta la scuola di Francoforte” non va bene. Bisogna dire nomi di persone che si conoscono, gente con cui si ha a che fare più o meno tutti i giorni: amici, parenti, colleghi, vicini di casa, eccetera, meglio se antipatici. Troppo comodo ammettere la superiorità intellettuale di morti illustri, gente che se ne sta al sicuro sottoterra e non dà fastidio a nessuno. Se uno si sente più intelligente di tutti quelli che conosce, i casi sono due: o è effettivamente più intelligente di tutti o è stupido, non ci sono vie di mezzo. Beethoven pensava di essere il musicista migliore del suo tempo e aveva ragione, sarebbe stato stupido da parte sua non pensarlo, ma siccome l’apparizione di un Beethoven sulla Terra si verifica grosso modo due o tre volte al secolo, se uno si crede Beethoven ha ottime probabilità di essere semplicemente uno stupido. Sia chiaro, stupido sempre nel senso eccetera.
Terza domanda: mi sono mai sentito stupido?
Siccome sentire la propria stupidità è fondamentale per poterla superare e progredire verso forme di stupidità sempre meno grossolane, uno che non si è mai sentito stupido è uno che è rimasto esattamente com’era al momento della nascita, cioè un rompicoglioni egocentrico che detta ordini frignando. Rendersi conto di aver detto o fatto qualcosa di stupido dovrebbe essere un momento di festa e bisognerebbe essere per sempre grati a chi ce l'ha fatto notare, invece, cosa assurda, le persone si offendono. Anche far notare un semplice errore di grammatica, cosa che non mette minimamente in discussione l’intelligenza di una persona, è una cosa che fa imbestialire, e inevitabilmente succede che uno lotta con tutte le sue forze per difendere il suo errore. Così inizia la guerra dei dizionari, le discussioni sull’Accademia della Crusca e alla fine, quando proprio deve cedere di fronte all’evidenza che “vai a dritto” è solo un’espressione regionale, se la prende con l’irrazionalità della lingua italiana: “vai a sinistra, vai a destra, vai a dritto. Ovvio, no?”.
Quarta domanda: perché tutto quello che mi riguarda è così interessante?
Questa è una domanda trabocchetto.